Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-02-2011) 15-03-2011, n. 10489 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’imputato in epigrafe ricorre per cassazione avverso la sentenza recante applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., lamentando la mancanza di motivazione sulla pena, sull’ammissione di prova decisiva e sull’applicabilità dell’art. 129 c.p.p..

Il gravame è manifestamente infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. un 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. Un. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purchè risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti vantazioni. Nè l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.

D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa.

Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.

Nel caso di specie il giudice da conto che, alla luce degli atti (che vengono analiticamente indicati e sinteticamente analizzati), la pena è correttamente determinata e che non vi sono le condizioni per una diversa e più favorevole pronunzia.

Il ricorso è quindi inammissibile. Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.500.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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