Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-02-2011) 15-03-2011, n. 10476 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Lecce, con ordinanza in data 9.11.2010, in parziale accoglimento del ricorso proposto da D.P.M. annullava la gravata ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brindisi, limitatamente all’imputazione provvisoria di cui al capo M) e confermava nel resto.

Il Tribunale evidenziava che, a seguito dell’arresto di B. F., sorpreso mentre usciva dalla abitazione dei fratelli D. P., portando indosso 7 dosi di cocaina, si acquisivano significativi elementi di reità a carico dei fratelli D.P., anche sulla base delle indicazioni spontaneamente fornite dal B.. Osservava il Tribunale che la valenza indiziaria dei predetti elementi veniva di poi ulteriormente confermata dagli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica.

Riferiva il Tribunale che il G.i.p. aveva effettuato una conferente disamina del compendio indiziario, giungendo a formulare una prognosi di reità a carico dell’esponente, con riguardo a "ciascun delitto di spaccio al lui contestato". Diversamente, con riguardo alla ipotesi di reato di cui al capo M), il Tribunale rilevava che il quadro indiziario non risultava conferente a fini cautelari. Infine, il Tribunale riteneva che sussistessero gravi indizi di reità con riguardo al capo Z), tenuto conto delle dichiarazioni rese dal tossicodipendente D.C.; il dichiarante aveva infatti riferito di avere acquistato quantitativi di hashish da D.P., secondo modalità operative conformi alla tecnica utilizzata da D. P., come accertata nel corso dell’indagine.

Sul versante cautelare, il Tribunale evidenziava che il carattere sistematico e continuativo della condotta criminosa e la disponibilità di svariati quantitativi di sostanze stupefacenti di diversa natura esprimevano disinvoltura ed abilità nella realizzazione della attività di spaccio; a fonte di tali evenienze, il Tribunale riteneva che permanessero attuali esigenze di cautela, nonostante lo stato di incensuratezza del prevenuto.

Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione D.P.M. a mezzo del difensore. La parte assume che il G.i.p., con riferimento ai capi L) ed M) abbia ritenuto sussistente unicamente la detenzione dello stupefacente e non lo spaccio.

Il ricorrente ritiene che il Tribunale abbia riformato in peius l’ordinanza genetica, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero; e ciò in relazione ai capi G) ed L) della rubrica. Oltre a ciò, l’esponente assume che il Tribunale non abbia dato risposta alle censure sollevate in sede di riesame, specificamente in relazione al contenuto dei motivi aggiunti depositati all’udienza del 9.11.2010. Al riguardo, il ricorrente considera di avere confutato la sussistenza dei gravi indizi di reità, rispetto alle fattispecie rubricate ai capi G) ed L), offrendo una interpretazione alternativa alle conversazioni intercettate, pure in relazione agli acquisiti elementi di riscontro.

Il ricorrente assume poi che il Tribunale neppure abbia motivato in ordine alla sussistenza della fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1. Infine, la parte censura il provvedimento adottato dal Tribunale del Riesame, che non conterrebbe giustificazioni in ordine alla scelta della estrema misura cautelare.

Il ricorso è inammissibile.

Primieramente, deve rilevarsi che il presente ricorso è stato proposto oltre il termine perentorio previsto dall’art. 311 c.p.p.;

invero, il ricorso risulta depositato in data 2.12.2010 a fronte della notifica dell’ordinanza gravata, effettuata in data 10.11.2010 alla parte ed in data 16.11.2010 al difensore.

E’ poi appena il caso di rilevare che in relazione alle censure mosse dal ricorrente in ordine al compiuto apprezzamento della gravità indiziaria va premesso, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti "de libertate", che, secondo giurisprudenza consolidata, il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. Sez. 4, 25/5/95, n. 2146, Rv. 201840). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23/3/95, n. 1769, Rv. 201177), sicchè, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandata al giudice di merito la valutazione del peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare se il detto decidente abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. 3/5/07, n. 22500, Rv. 237012; si veda anche Cass. Sez. Un. 1/8/95, n. 11, Rv. 202001).

Ciò premesso, va detto che l’esistenza della condizione di cui all’art. 273 c.p.p. è stata verificata dal Tribunale del riesame con adeguato apparato argomentativo, immune da vizi sindacabili in questa sede, apparato che è stato fatto oggetto nei motivi di gravame di critiche attinenti al merito. Si osserva che il Tribunale ha conferentemente chiarito di condividere la valutazione effettuata dal G.i.p., in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria, rispetto alle condotte oggetto di addebito: a D.P.M. si contesta la vendita continuata di sostanza stupefacente, condotta oggetto della norma incriminatrice di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1. Invero, il Collegio evidenziava di condividere l’orientamento espresso dal primo giudice, in ordine alla corresponsabilità di D.P.M. rispetto alle fattispecie contestate. Rilevava il Tribunale che le conversazioni intercettate testimoniavano il diretto coinvolgimento del prevenuto; e che le sommarie informazioni rese dagli acquirenti delle dosi di sostanza stupefacente e gli esiti dell’attività di pedinamento svolta dalla polizia giudiziaria rappresentavano efficacemente il contesto criminoso nel quale D.P. operava. Il Tribunale di Lecce si soffermava, quindi, su ciascuna imputazione. Con riguardo al capo b), il Tribunale richiamava le dichiarazioni rese da G., soggetto tossicodipendente che si rivolgeva a D.P. per il soddisfare il proprio fabbisogno di sostanze stupefacenti. Sul punto, il Collegio evidenziava che le dichiarazioni rese dal predetto acquirente trovavano riscontro nel tenore delle conversazioni intercettate, ove i colloquianti concordavano rapidamente luogo ed orario di incontri finalizzati a "prendere un aperitivo…prendere qualcosa", secondo il linguaggio convenzionale impiegato. Con riguardo alle condotte di cui al capo D), il Tribunale considerava che D.P.M., in alcune occasioni, aveva invitato i numerosi tossicodipendenti che si erano rivolti a lui per l’acquisto di droga a recarsi presso la sua abitazione, ove il fratello D. avrebbe provveduto alla materiale cessione delle sostanze. Ed invero, numerosi tossicodipendenti avevano riferito ai Carabinieri che D.M. P., D.P.D. e tale P.A. svolgevano sistematica attività di spaccio all’interno della abitazione dei fratelli D.P.. Il Tribunale di Lecce rilevava che gravi indizi di reità si registravano a carico del prevenuto pure con riferimento alla fattispecie contestata al capo G); anche in questo caso, le acquisizioni investigative erano scandite dalle dichiarazioni rese dagli acquirenti, poste a confronto con gli esiti delle operazioni di intercettazione. Il Collegio rilevava che il dichiarante M. risultava certamente non credibile, quando affermava che i contatti con i D.P. afferivano ad una attività di installazione di infissi; evidenziava, sul punto, che detta versione dei fatti risultava sconfessata dalle conversazioni intercettate, nel corso delle quali i colloquianti prendevano accordi per incontrarsi per "andare a pesca". Con riguardo al capo I), il Tribunale richiamava poi le dichiarazioni rese da F.M., pure indicative della attività di cessione di hashish e cocaina effettuata da D.P. M. e dagli altri correi. In relazione al capo L), il Collegio rilevava che il prevenuto, contattato da M.C. per l’acquisto di droga, aveva invitato l’acquirente a rivolgersi a P.A.; e che, nel frangente, D.P. aveva contattato immediatamente il P. per anticipargli che di lì a poco sarebbe stato chiamato da un amico "per andare a pesca".

Mette conto, altresì, rilevare che il Tribunale ha apprezzato l’insussistenza della gravità indiziaria, con riguardo ai fatti di cui al capo M), come sopra evidenziato, effettuando una valutazione "in melius" del compendio indiziario, rispetto a quella effettuata dal primo giudice.

In relazione alla scelta della misura di contenimento, si osserva che il Tribunale ha conferentemente osservato che le sopra evidenziate esigenze cautelari potevano essere salvaguardate solo con la misura carceraria in atto, tenuto anche conto della esiguità del lasso temporale intercorso rispetto alla verificazione degli accadi menti delittuosi.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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