T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 569 Aggiudicazione dei lavori Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’impresa Eredi C.C. s.a.s. partecipò nell’anno 1995 ad una gara d’appalto indetta dalla Provincia Regionale di Catania per l’esecuzione di lavori pubblici, e fu illegittimamente non dichiarata aggiudicataria. Propose, quindi, ricorso giurisdizionale avverso la mancata aggiudicazione, che venne accolto in primo grado con la sentenza Tar Catania, I, 545/2000, poi confermata in appello con decisione del C.G.A. n. 556/2001.

Col ricorso in epigrafe, notificato il 2 maggio 2005 e depositato il successivo 20 maggio, la T. s.r.l. ha chiesto la condanna della Provincia Regionale di Catania al risarcimento dei danni prodotti in ragione della illegittima nonaggiudicazione della gara, da liquidare per equivalente monetario a causa dell’avvenuto completamento dei lavori, articolandoli nelle seguenti voci:

Euro 34. 223,99 (pari al 10% dell’importo a base d’asta) a titolo di lucro cessante derivante dalla mancata esecuzione dei lavori;

somma da determinare tramite CTU, tendente a remunerare la mancata acquisizione di ulteriore qualificazione professionale ed economica spendibile in successive gare d’appalto;

danni e spese vive – da determinare tramite CTU – sostenute per la partecipazione alla gara d’appalto;

interessi e rivalutazione, dal dovuto fino all’effettivo soddisfo.

Tali voci sono state poi precisate con la successiva memoria difensiva che parte ricorrente ha depositato in data 27.12.2010, laddove ha specificato: a) che nella percentuale del 10% della base d’asta – decurtata del ribasso offerto – venga ricompreso anche il danno cd. "curriculare" o da perdita di chance; b) che l’indennizzo per spese generali sostenute debba essere quantificato nel "25% (spese fisse) del 12% dell’importo contrattuale netto depurato del 10% quale utile d’impresa"; c) che la rivalutazione monetaria venga calcolata secondo gli indici ISTAT dalla data di stipula del contratto da parte dell’impresa illegittimamente dichiarata aggiudicataria; d) che gli interessi legali decorrano dalla data di deposito della sentenza, fino all’effettivo soddisfo.

Si è costituita in giudizio per resistere l’intimata Provincia Regionale di Catania.

Con ordinanza istruttoria n. 504/2010 – al fine di acclarare al meglio la sussistenza della legittimazione a ricorrere in capo alla ricorrente – questa Sezione ha onerato la T. s.r.l. di documentare l’affermata sostanziale identità soggettiva che sussisterebbe con l’impresa Eredi C.C. s.a.s., ossia con l’impresa che partecipò alla gara, che fu illegittimamente non dichiarata aggiudicataria, e che ottenne poi favorevoli decisioni in primo e secondo grado dal G.A.

In ottemperanza alla predetta ordinanza, la ricorrente ha prodotto in data 30 settembre 2010 due atti notarili che attestano la trasformazione della "Eredi C.C. s.a.s.", prima, nella "T. di Coppola Eugenio Antonio & C. s.a.s.", e successivamente, nella "T. s.r.l.".

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2011 la causa è passata in decisione.

Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato, pur con le precisazioni che seguono, sussistendo i requisiti per configurare in capo alla resistente Provincia il denunciato illecito aquiliano, e conseguentemente per fondare l’obbligo risarcitorio.

In particolare, è ormai indiscutibile – in quanto sancita da decisioni conformi del giudice amministrativo di primo e secondo grado – l’illegittimità della condotta tenuta dalla stazione appaltante nell’espletamento della gara, allorchè è stata illegittimamente ammessa a partecipare l’impresa poi divenuta aggiudicataria dei lavori.

In secondo luogo, la stessa amministrazione resistente attesta (cfr. la nota prot. 479 del 31.05.1995 prodotta dalla ricorrente sub allegato D) che – ove non fosse intervenuta l’ammissione in gara dell’impresa poi dichiarata vincitrice – la concorrente Eredi C.C. s.a.s. sarebbe divenuta aggiudicataria (e ciò appare sufficiente a provare il necessario nesso di causalità fra la condotta illegittima e l’evento dannoso).

Sotto altro aspetto, sussiste anche il coefficiente psicologico del colpa della PA, necessario per dichiarare la sussistenza della responsabilità aquiliana. In proposito, si evidenzia che la mancata esclusione dalla gara dell’impresa illegittimamente ammessa (e dichiarata vincitrice) è stata considerata frutto di un negligente comportamento dal giudice amministrativo allorquando ha rilevato che "(…) la Sapco è stata ammessa in gara benchè, per le varie discordanze della documentazione prodotta, non vi fosse certezza dell’identità della persona giuridica concorrente, né, per conseguenza e più specificamente, della coincidenza tra la persona cui si riferiva il certificato del casellario giudiziale e quella che rivestiva la carica di direttore tecnico della concorrente. (…) In ogni caso la produzione in giudizio di documenti attinenti alle vicende della società Sapco non può rimediare alla carenza documentale verificatasi in sede di gara, in base alla quale la predetta concorrente sarebbe dovuta essere esclusa per incertezza sulla sua identità e sull’identità del suo direttore tecnico" (sentenza del C.G.A. n. 556/2001 che ha definito in appello la vicenda).

In altri termini, si vuole evidenziare che l’illegittima ammissione in gara (ed aggiudicazione dell’appalto) ad un’altra impresa non è imputabile alla difficile interpretazione di oscure norme di legge, o alla applicazione di divergenti soluzioni giurisprudenziali – circostanze, queste, che per giurisprudenza costante avrebbero potuto giustificare l’azione della PA – quanto piuttosto alla superficiale lettura della documentazione prodotta agli atti di gara, ed alla conseguente errata individuazione del soggetto concorrente. Si tratta, in definitiva, di condotta negligente ed inefficiente, quindi colposa, del seggio di gara.

Si ricorda in proposito che "L’imputazione della responsabilità nei confronti della Pubblica amministrazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché ciò si risolverebbe in un’inammissibile presunzione di colpa, ma comporta, invece, l’accertamento in concreto della colpa dell’Amministrazione, configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, così restando all’interno dei confini della disciplina della responsabilità aquiliana, rivelanti una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale, con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela." (Cons. Stato, V, 8091/2010)

In ordine al quantum del risarcimento vanno fatte le seguenti osservazioni.

1.- in relazione al lucro cessante, la ricorrente chiede il risarcimento dell’utile presuntivo non percepito, quantificandolo nel 10% della base d’asta; salvo poi precisare che la percentuale vada calcolata sul valore a base d’asta decurtato dal ribasso offerto in concreto, e che in essa percentuale venga ricompresa anche l’ulteriore voce di danno cd. "curriculare" (o da perdita di chance).

La ricostruzione operata è astrattamente corretta, in quanto l’utile presuntivo (stimato convenzionalmente dalla giurisprudenza nella misura del 10%) è stato riferito non al valore dell’appalto indicato nel bando, ma al valore netto risultante dall’applicazione del ribasso offerto dalla ditta ricorrente in sede di partecipazione alla gara.

Tuttavia, a parere del Collegio, questa voce di danno deve essere ulteriormente ridotta in applicazione del diffuso orientamento giurisprudenziale che tiene conto – nella stima del lucro cessante – anche della posta negativa rappresentata dall’aliunde perceptum. Ci si riferisce in particolare al filone giurisprudenziale che ha precisato: "(…) il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile. Si tratta, appunto, di una applicazione del principio dell’aliunde perceptum (ben nota alla giurisprudenza civilistica: basti pensare all’aliunde perceptum del lavoratore illegittimamente licenziato e poi reintegrato), in base al quale, onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell’illecito, va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio, quanto da lui percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione. Come questo Consiglio ha avuto modo di precisare, tuttavia, l’onere di provare (l’assenza del)l’aliunde perceptum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa. Tale ripartizione dell’onere probatorio, che ha sollevato in dottrina alcune perplessità (si è sostenuto che l’aliunde perceptum verrebbe in considerazione come fatto impeditivo del diritto al risarcimento del danno e non come fatto costitutivo, con la conseguenza che la relativa prova dovrebbe gravare sulla stazione appaltante e non sul privato), muove, tuttavia, come sopra si evidenziava, dalla presunzione, a sua volta fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili. In sede di quantificazione del danno, pertanto, spetterà all’impresa dimostrare, anche mediante l’esibizione all’Amministrazione di libri contabili, di non aver eseguito, nel periodo che sarebbe stato impegnato dall’appalto in questione, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata esecuzione chiede il risarcimento del danno.". (Cons. Stato, VI, 3144/2009; negli stessi termini, Cons. Stato, VI, 7004/2010; Cons. Stato, VI, 2751/2008; Tar Puglia Bari, 3456/2010; Tar Lazio Roma, III, 33406/2010; Tar Liguria Genova, II, 1213/2010).

Sebbene la soluzione rigorosa appena descritta non risulti unanimemente condivisa in giurisprudenza (cfr. in senso contrario C.G.A. 2126/2010; Tar Molise Campobasso, 128/2009), il Collegio ritiene di confermare l’opzione interpretativa in tal senso seguita fino ad ora dalla Sezione (cfr. Tar Catania, I, 2075/2009; Tar Catania, I, 1681/09), che risulta comunque conforme all’orientamento giurisprudenziale più diffuso.

In conclusione, il risarcimento per lucro cessante dovuto alla ricorrente – in mancanza della prova del mancato utilizzo di strumenti e maestranze in ulteriore e diverso impiego produttivo – va calcolato nella misura del 5% sul valore della base d’asta quale risulta dall’applicazione della percentuale di ribasso offerta dalla ricorrente al momento della partecipazione alla gara; a questa va aggiunta la percentuale del 2% – equitativamente stimata – per il risarcimento del cd. danno curriculare.

2.- Con riguardo ai danni ed alle spese sostenute per la partecipazione alla gara d’appalto, delle quali la ricorrente chiede il rimborso previa stima tramite CTU, va dichiarata la non risarcibilità. Infatti, a prescindere dall’analisi della questione se dette spese siano suscettibili di risarcimento o meno (sulla quale vedasi Cons. Stato, VI, 2751/2008), va rilevato che la ricorrente si è sottratta all’onere minimo di provarne l’entità, nonostante si tratti di voci che rientrano certamente nella sfera di conoscenza e dominio di ogni partecipante ad una pubblica gara, ed avrebbero potuto quindi essere facilmente documentate. Né si può far riferimento ai criteri di stima contenuti nella sentenza Tar Catania, IV, 1516/2009 che la ricorrente cita nella memoria del 27.12.2010, dato che in quella circostanza sembra essere stato calcolato tramite CTU – e poi risarcito – un diverso "costo" rappresentato dalle spese sostenute per l’avvio di lavori poi non completati per causa della PA.

3.- Quanto alle voci di danno rappresentate da rivalutazione monetaria ed interessi legali, valgono le seguenti considerazioni.

La rivalutazione monetaria riguarda la somma che la ricorrente avrebbe potuto percepire come utile ove fosse stata dichiarata aggiudicataria ed avesse stipulato il contratto, pertanto la somma indicata al punto 1 come percentuale di utile netto (5%), andrà rivalutata secondo gli indici Istat dalla data di stipulazione del contratto con l’aggiudicataria Sapco fino al momento della pubblicazione della presente sentenza. Dalla data di deposito della presente decisione (momento in cui il debito "di valore" diventa debito "di valuta"), e fino all’effettivo soddisfo, decorreranno poi gli interessi (espressamente richiesti per tale periodo nella memoria difensiva della ricorrente), al tasso legale, dovuti ex art. 1282 c.c. per crediti liquidi ed esigibili.

Alla luce di quanto esposto, in parziale accoglimento del gravame la Provincia Regionale di Catania corrisponderà a favore della ricorrente T. s.r.l., entro il termine di giorni quaranta dalla comunicazione o notifica della presente decisione, una somma calcolata secondo i criteri illustrati retro sub 1 e 3, per risarcire i danni causati.

Le spese del presente giudizio – liquidate in dispositivo – seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti sopra descritti, e per l’effetto condanna la Provincia Regionale di Catania a risarcire alla ricorrente i danni calcolati secondo i criteri individuati ai punti 1 e 3 della motivazione.

Spese a carico della Provincia resistente, nella misura di Euro 1.500, oltre IVA, CPA spese generali e contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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