Corte Costituzionale, Sentenza n. 264 del 2012, in materia di contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 48 del 5-12-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1,
comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione
lavoro, nel procedimento vertente tra l’INPS e Lorenzon Guido
Luciano, con ordinanza del 15 novembre 2011, iscritta al n. 10 del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonche’ l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice
relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato Sergio Preden per l’INPS e l’avvocato dello
Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio civile – promosso da un lavoratore
contro l’INPS, per ottenere la riliquidazione della maturata pensione
di anzianita’ sulla base della retribuzione effettivamente percepita
durante il periodo di lavoro in Svizzera, in luogo di quella,
inferiore, figurativamente rideterminata dall’istituto in rapporto
alle aliquote contributive svizzere, piu’ basse di quelle italiane –
la Corte di cassazione, adita su ricorso dell’INPS avverso la
sentenza d’appello favorevole al pensionato, ha sollevato, con
l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimita’ costituzionale
della norma, che il ricorrente lamentava violata, di cui all’articolo
1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007).
La norma denunciata – in dichiarata interpretazione dell’articolo
5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27
aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle
pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria) – prevede
sostanzialmente che la retribuzione percepita all’estero, da porre a
base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine
di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi
versati nel nostro Paese nel medesimo periodo.
La Corte rimettente ricorda che la predetta disposizione e’ gia’
stata oggetto di sindacato da parte di questa Corte, che, con la
sentenza n. 172 del 2008, ha respinto i dubbi – sollevati dalla
stessa Corte di cassazione – di contrasto con gli artt. 3, primo
comma, 35, quarto comma, 38, secondo comma, della Costituzione,
affermando, tra l’altro, che la disposizione impugnata aveva reso
esplicito un precetto gia’ contenuto nelle disposizioni oggetto
dell’interpretazione autentica.
Cio’ posto, il giudice a quo solleva un diverso dubbio di
illegittimita’ costituzionale della norma in questione, in
riferimento, questa volta, all’articolo 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed
esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, in particolare, con la sentenza della seconda
sezione del 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia, con la
quale e’ stato ritenuto che l’art. 1, comma 777, della legge n. 296
del 2006 ha violato i diritti dei ricorrenti, intervenendo in modo
decisivo per impedire che l’esito del procedimento in cui erano parti
fosse loro favorevole.
2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si e’ costituito l’INPS, che
ha concluso per la infondatezza della questione, ritenendo che la
valutazione di conformita’ a Costituzione della normativa impugnata,
gia’ espressa da questa Corte con la sentenza n. 172 del 2008 in
riferimento ad altri parametri, possa essere estesa anche a quello
oggi invocato. Rileva, al riguardo, che, secondo la stessa sentenza
della Corte europea richiamata dal Collegio rimettente, l’intervento
del legislatore ha sanato una situazione di ingiustificata disparita’
di trattamento sussistente tra i pensionati che hanno lavorato in
Italia e quelli che hanno prestato la propria attivita’ in Svizzera
trasferendo poi i contributi in Italia. L’estensione della norma ai
giudizi pendenti, secondo l’INPS, risulterebbe coerente con la
funzione di eliminare tale squilibrio.
3.- Nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale
dello Stato, che ha parimenti concluso per la infondatezza della
questione, rilevando che la norma censurata mira ad uniformare il
sistema previdenziale, garantendo parita’ di trattamento tra il
lavoro prestato all’estero e quello svolto in Italia. Ricorrerebbero,
pertanto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le ragioni
imperative di interesse generale che consentono interventi
interpretativi e retroattivi. La norma in questione, inoltre, sarebbe
stata adottata al dichiarato fine di escludere l’incidenza di effetti
onerosi tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli
impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea in materia di
contenimento della spesa pensionistica.

Considerato in diritto

1.- La Corte e’ chiamata a decidere se l’articolo 1, comma 777,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007), che, nel fornire la interpretazione dell’articolo 5, secondo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n.
488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico
dell’assicurazione generale obbligatoria), sostanzialmente prevede
che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo
della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo
stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel
nostro Paese nel medesimo periodo, introducendo nell’ordinamento una
interpretazione della disciplina de qua in senso non favorevole
rispetto alle posizioni degli assicurati, si ponga in contrasto con
l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo
1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
2.- In particolare, la pronuncia della Corte EDU cui si fa
riferimento e’ la sentenza del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio
ed altri contro Italia, secondo la quale con la censurata
disposizione lo Stato italiano ha violato i diritti dei ricorrenti
intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del
procedimento in cui esso era parte attraverso l’INPS gli fosse
favorevole, senza che sussistessero impellenti motivi di interesse
generale, e privando di rilievo, con lo stabilire la salvezza dei
(soli) trattamenti pensionistici piu’ favorevoli gia’ liquidati alla
data di entrata in vigore della legge, la prosecuzione del giudizio
per un’intera categoria di persone che si trovavano nella posizione
dei ricorrenti nel giudizio a quo.
3.- La questione non e’ fondata.
3.1.- E’ preliminarmente necessaria, al fine di un corretto
inquadramento del problema, una sintetica ricostruzione della
evoluzione legislativa sulla questione delle cosiddette "pensioni
svizzere", che ha origine dal diverso trattamento pensionistico
derivato dalla entrata in vigore della norma censurata ai lavoratori
che hanno prestato servizio nella Confederazione elvetica.
In base al sistema «retributivo» di computo delle pensioni
erogate dall’assicurazione generale obbligatoria introdotto dal
d.P.R. n. 488 del 1968, la pensione si calcola applicando alla
retribuzione annua pensionabile, cioe’ alla retribuzione annua media
percepita dal lavoratore durante un certo periodo di riferimento, un
coefficiente proporzionato al numero complessivo di settimane di
contribuzione vantate dall’interessato.
3.1.1.- Per cio’ che concerne il regime dei contributi versati in
Svizzera e trasferiti in Italia in forza dell’Accordo aggiuntivo alla
Convenzione tra l’Italia e la Svizzera relativo alla sicurezza
sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il 4 luglio 1969 e
ratificato con legge 18 maggio 1973, n. 283, si era affermato un
orientamento giurisprudenziale – sempre contestato dall’INPS –
secondo il quale il lavoratore italiano, che avesse chiesto il
trasferimento a detto ente dei contributi versati in Svizzera in suo
favore, aveva diritto di ottenere che la pensione venisse determinata
con il metodo retributivo sulla base della retribuzione
effettivamente percepita in Svizzera, nonostante i contributi cola’
accreditati fossero stati versati secondo l’aliquota prevista dalla
legislazione elvetica, inferiore a quella stabilita dalla
legislazione italiana. Espressione di tale orientamento sono, tra le
altre, le sentenze della Corte di legittimita’ n. 7455 del 2005, n.
4623 e n. 20731 del 2004.
Successivamente, era intervenuta, appunto, la legge finanziaria
2007 (legge n. 296 del 2006), che, all’art. 1, comma 777, aveva
stabilito che «l’articolo 5, secondo comma, del d.P.R. n. 488 del
1968, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in
caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria
italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri
in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza
sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro
svolto nei Paesi esteri e’ determinata moltiplicando l’importo dei
contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per
l’aliquota contributiva per invalidita’, vecchiaia e superstiti in
vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi
i trattamenti pensionistici piu’ favorevoli gia’ liquidati alla data
di entrata in vigore della presente legge».
3.1.2.- La Corte di cassazione aveva sollevato questione di
legittimita’ costituzionale di tale norma in riferimento agli
articoli 3, primo comma, 35, quarto comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione, ritenendo che essa avesse introdotto nell’ordinamento
una interpretazione della disciplina applicabile in senso non
favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati.
Questa Corte, con la sentenza n. 172 del 2008, aveva respinto
tali dubbi di contrasto con la Costituzione, affermando, tra l’altro,
che la disposizione impugnata ha reso esplicito un precetto gia’
contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica,
e che, quindi, sotto tale profilo, non e’ affetta da
irragionevolezza. Inoltre, aveva osservato al riguardo che essa,
assegnando alla disposizione interpretata un significato rientrante
nelle possibili letture del testo originario, non determina alcuna
lesione dell’affidamento del cittadino nella certezza
dell’ordinamento giuridico, anche perche’ nella fattispecie l’ente
previdenziale ha continuato a contestare la interpretazione sostenuta
dalle controparti private, ed accolta dalla giurisprudenza, rendendo
cosi’ reale il dubbio ermeneutico.
Del pari, era stata esclusa la violazione del principio di
eguaglianza, perche’ la salvezza delle posizioni dei lavoratori, cui
gia’ sia stato liquidato il trattamento pensionistico secondo un
criterio piu’ favorevole, risponde, questo si’, all’esigenza di
rispettare il principio dell’affidamento e i diritti ormai acquisiti
di detti lavoratori.
Ne’ era stato ravvisato alcun vulnus all’art. 35, quarto comma,
Cost., perche’ l’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 non
attribuisce al lavoro prestato all’estero un trattamento deteriore
rispetto a quello svolto in Italia, ma anzi assicura la razionalita’
complessiva del sistema previdenziale, evitando che, a fronte di una
esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le
stesse utilita’ che chi ha prestato attivita’ lavorativa
esclusivamente in Italia puo’ conseguire solo grazie ad una
contribuzione molto piu’ gravosa.
Infine, la Corte aveva escluso il contrasto con l’art. 38,
secondo comma, Cost., perche’ la norma censurata non determina alcuna
riduzione ex post del trattamento previdenziale spettante ai
lavoratori. Essa, in definitiva, non fa altro che imporre per legge
un’interpretazione gia’ desumibile dalle disposizioni interpretate.
Ne’ la rimettente offre – aveva sottolineato la Corte – elementi per
far ritenere che la norma determini un trattamento pensionistico
addirittura insufficiente al soddisfacimento delle esigenze di vita
del lavoratore.
A seguito di tale pronuncia, il giudice di legittimita’ aveva
modificato il proprio orientamento, sostenendo il carattere di
disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 777,
della legge n. 296 del 2006 (v. Cass., sez. un., n. 17076 del 2011;
Cass., n. 23754 del 2008).
3.1.3.- Tuttavia, successivamente, su identica questione e’
intervenuta la Corte EDU, la quale, con la richiamata sentenza resa
nel caso Maggio, ha ritenuto che con tale disposizione lo Stato
italiano abbia violato i diritti dei ricorrenti intervenendo in modo
decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era
parte gli fosse favorevole.
Detta sentenza pone a fondamento del decisum le seguenti
argomentazioni, come richiamate nella ordinanza di rimessione: 1)
benche’ non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove
disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il
principio della preminenza del diritto [rectius: rule of law] e la
nozione di equo processo contenuti nell’articolo 6 impediscono,
tranne che per impellenti motivi di interesse generale,
l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia
allo scopo di influenzare la determinazione giudiziaria di una
controversia; 2) benche’ le regole pensionistiche previste dalla
legge possano cambiare e non si possa fare affidamento su di un
orientamento giurisprudenziale come garanzia contro tali cambiamenti,
anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari di
prestazioni previdenziali, lo Stato non puo’ interferire in modo
arbitrario nella procedura giudiziaria; 3) nel caso in esame, la
legge ha escluso espressamente dal suo ambito di applicazione le
sentenze diventate irrevocabili (trattamenti pensionistici gia’
liquidati) e ha fissato retroattivamente i termini delle controversie
davanti ai tribunali ordinari. Invero la promulgazione della legge n.
296 del 2006, mentre i procedimenti erano pendenti, in realta’
incideva sul merito delle controversie, e la sua applicazione da
parte dei vari tribunali ordinari ha privato di rilievo, per una
intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei
ricorrenti, la prosecuzione del giudizio; 4) al fine di determinare
l’esistenza di un motivo impellente di interesse generale in grado di
legittimare l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della
giustizia, il rispetto della preminenza del diritto [rule of law] e
delle regole dell’equo processo impone che le ragioni addotte per
giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di
cautela possibile; 5) considerazioni di carattere finanziario non
possono, da sole, giustificare che il legislatore si sostituisca al
giudice al fine di risolvere le controversie; dopo il 1982, l’INPS ha
applicato una interpretazione della legge in vigore all’epoca che era
piu’ favorevole ad esso in qualita’ di autorita’ erogatrice: tale
ricostruzione normativa non era condivisa dalla maggioranza della
giurisprudenza; 6) quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge
si era resa necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema
pensionistico, eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone
che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, se
la Corte europea accetta questa come una ragione di interesse
generale, non e’ persuasa che si tratti di argomenti abbastanza
convincenti da superare i pericoli insiti nell’uso di una
legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la
determinazione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo
Stato era parte.
3.2.- Ed e’ proprio con riguardo alle esposte argomentazioni alla
base della citata sentenza Maggio che il rimettente sospetta ora la
illegittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge n.
296 del 2006 per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU come interpretato dalla
pronuncia medesima.
Sottolinea il giudice rimettente che spetta a questa Corte il
controllo del rispetto dei cosiddetti controlimiti, tanto piu’ nel
caso di specie, in cui e’ gia’ intervenuta una sua sentenza che ha
vagliato la disciplina sostanziale di cui si tratta in riferimento a
diversi parametri costituzionali, nonche’ avuto riguardo alle
affermazioni della stessa Corte EDU, secondo cui fare salvi i motivi
imperativi di interesse generale che suggeriscono al legislatore
nazionale interventi interpretativi deve lasciare ai singoli Stati
contraenti quanto meno «una parte del compito e dell’onere di
identificarli, in quanto nella posizione migliore per assolverlo,
trattandosi, tra l’altro, degli interessi che sono alla base
dell’esercizio del potere legislativo».
4.- Ai fini dello scrutinio della questione proposta, giova
richiamare la giurisprudenza costituzionale sulla efficacia e sul
ruolo delle norme CEDU chiamate ad integrare il parametro
dell’articolo 117, primo comma, Cost.
A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, questa Corte
ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU – nel significato
loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed
applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano,
quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso
dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n. 113, n. 80 – che
conferma la validita’ di tale ricostruzione dopo l’entrata in vigore
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – e n. 1 del 2011; n.
196 del 2010; n. 311 del 2009).
Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e
una norma della CEDU, quindi, «il giudice nazionale comune deve
preventivamente verificare la praticabilita’ di un’interpretazione
della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i
normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113
del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica da’
esito negativo e il contrasto non puo’ essere risolto in via
interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma
interna ne’ farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la
CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo,
e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata
incompatibilita’ proponendo una questione di legittimita’
costituzionale in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
ovvero all’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma
convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale
generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e
n. 311 del 2009).
4.1.- Nella giurisprudenza costituzionale si e’, inoltre,
reiteratamente affermato che, con riferimento ad un diritto
fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo’ mai
essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle gia’
predisposte dall’ordinamento interno, ma puo’ e deve, viceversa,
costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa.
Del resto, l’art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che
l’interpretazione delle disposizioni CEDU non puo’ implicare livelli
di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali.
Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla
Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve
essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie,
concetto nel quale deve essere compreso, come gia’ chiarito nelle
sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con
altri interessi costituzionalmente protetti, cioe’ con altre norme
costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali
che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela.
Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale – elaborato
dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento alla
rigidita’ dei principi formulati in sede europea – deve essere sempre
presente nelle valutazioni di questa Corte, cui non sfugge che la
tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non
frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale
conflitto tra loro.
4.2.- In definitiva, se, come piu’ volte affermato da questa
Corte (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n.
311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il
giudice delle leggi non puo’ sostituire la propria interpretazione di
una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua
applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con cio’
superando i confini delle proprie competenze in violazione di un
preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e
la ratifica, senza l’apposizione di riserve, della Convenzione, esso
pero’ e’ tenuto a valutare come ed in quale misura l’applicazione
della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca
nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento
in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., come norma
interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie
operazioni cui questa Corte e’ chiamata in tutti i giudizi di sua
competenza (sent. n. 317 del 2009). Operazioni volte non gia’
all’affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale, ma alla
integrazione delle tutele.
5.- E’ in applicazione di tali principi che deve essere risolta
la questione all’odierno esame.
5.1.- Il vincolo per la Corte, nel caso di specie, e’ costituito
dalla applicazione che la Corte EDU ha operato, nella sentenza
Maggio, dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, stabilendo che «benche’ non sia precluso al corpo
legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive,
diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza
del diritto e la nozione di equo processo contenuti nel richiamato
art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse
generale, l’interferenza del corpo legislativo nell’amministrazione
della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione
giudiziaria di una controversia». La Corte europea ha ritenuto di
"non essere persuasa" del fatto che il motivo di interesse generale
fosse sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti
all’utilizzo della legislazione retroattiva, e percio’ ha concluso
che, nel caso ad essa sottoposto, lo Stato aveva violato i diritti
dei ricorrenti ai sensi della citata disposizione convenzionale,
intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del
procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.
5.2.- Peraltro, siffatta impostazione risulta sostanzialmente
coincidente con i principi enunciati da questa Corte con riguardo al
divieto di retroattivita’ della legge, che, pur costituendo valore
fondamentale di civilta’ giuridica, non riceve nell’ordinamento la
tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del
2012, n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006). Il legislatore, nel
rispetto di tale previsione, puo’ emanare – come rilevato nelle
citate sentenze – disposizioni retroattive, anche di interpretazione
autentica, purche’ la retroattivita’ trovi adeguata giustificazione
nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di
interesse generale» ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU.
La richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla
Corte europea, integra, quindi, pianamente il parametro dell’articolo
117, primo comma, della Costituzione, rispetto al quale il Collegio
rimettente ripropone il dubbio di illegittimita’ costituzionale
dell’articolo 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006.
5.3.- Tuttavia, nell’attivita’ di bilanciamento con altri
interessi costituzionalmente protetti cui, come dianzi chiarito,
anche in questo caso e’ chiamata questa Corte, rispetto alla tutela
dell’interesse sotteso al parametro come sopra integrato prevale
quella degli interessi antagonisti, di pari rango costituzionale,
complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione
censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi quei preminenti
interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione
retroattiva.
Ed infatti, gli effetti di detta disposizione ricadono
nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza
tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in
ossequio al vincolo imposto dall’articolo 81, quarto comma, della
Costituzione, ed assicura la razionalita’ complessiva del sistema
stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della
disponibilita’ economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a
vantaggio di altri, e cosi’ garantendo il rispetto dei principi di
uguaglianza e di solidarieta’, che, per il loro carattere fondante,
occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri
valori costituzionali.
E’ ispirata, invero, ai principi di uguaglianza e di
proporzionalita’ una legge che tenga conto della circostanza che i
contributi versati in Svizzera siano quattro volte inferiori a quelli
versati in Italia e operi, quindi, una riparametrazione diretta a
rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, a livellare i
trattamenti, per evitare sperequazioni e a rendere sostenibile
l’equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che
usufruiscono delle sue prestazioni.
5.4.- Ne’ e’ priva di rilievo la circostanza che la sentenza
della Corte EDU, che e’ tenuta a tutelare in modo parcellizzato, con
riferimento a singoli diritti, i diversi valori in giuoco, da un
lato, ritenga sussistente, nella specie, la violazione del diritto
dei ricorrenti ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro
un indennizzo, e, dall’altro, escluda la violazione dell’articolo 1
del Protocollo n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto il profilo
dell’ingerenza nel pacifico godimento dei loro beni attraverso la
riduzione della pensione.
La esclusione della violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.
1 e’ motivata dai giudici europei alla stregua della considerazione
che la legge n. 296 del 2006 persegue un interesse pubblico, quello
di fornire un metodo di calcolo della pensione armonizzato, al fine
di garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato,
evitando che i ricorrenti possano beneficiare di vantaggi
ingiustificati, e che il sacrificio subito da costoro non e’ tale da
pregiudicarne i diritti pensionistici nella loro essenza, avendo essi
perso solo un ammontare parziale della pensione. Pertanto, la
sentenza, non senza considerare «l’ampio margine di apprezzamento
dello Stato nel disciplinare il suo sistema pensionistico», rigetta
la domanda di riliquidazione della pensione.
A differenza della Corte EDU, questa Corte, come dianzi
precisato, opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori
coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed e’, quindi,
tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella
specie, da’ appunto luogo alla soluzione indicata.
E cio’ anche considerando, a contrario, che una declaratoria che
non fosse di infondatezza della questione, e che espungesse, quindi,
la norma censurata dall’ordinamento, inciderebbe necessariamente sul
regime pensionistico in esame, cosi’ contraddicendo non solo il
sistema nazionale di valori nella loro interazione, ma anche la
sostanza della decisione della Corte EDU di cui si tratta, che ha
negato accoglimento alla domanda dei ricorrenti di riconoscimento del
criterio di calcolo della contribuzione ad essi piu’ favorevole.
Conclusivamente, la questione di legittimita’ costituzionale
sollevata con l’ordinanza in epigrafe deve essere dichiarata non
fondata.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata dalla Corte di
cassazione, sezione lavoro, in riferimento all’articolo 117, primo
comma, della Costituzione in relazione all’articolo 6, paragrafo 1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica
ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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