Cons. Stato Sez. III, Sent., 11-03-2011, n. 1579

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La sentenza appellata, in accoglimento del ricorso proposto dalla Azienda USL RM/A, anche nella sua qualità di soggetto subentrato nell’attività e nelle posizioni giuridiche della disciolta USL RM/3, ha annullato il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in data 1 aprile 2008, avente per oggetto il trasferimento all’IGED – Ispettorato Generale Enti Disciolti (ora IGF – Ispettorato Generale Finanze) di un immobile, sito in Roma, Via dei Frentani n. 6, appartenente alla soppressa Federazione Nazionale delle Casse Mutue di Malattia dei Coltivatori Diretti.

2. I Ministeri appellanti deducono l’infondatezza, nel merito, del ricorso di primo grado.

L’Azienda sanitaria RM – resiste al gravame.

Il comune di Roma si è costituito in giudizio, senza svolgere attività difensiva.

La Regione Lazio, pur ritualmente intimata, non si è costituita.

3. l TAR ha ritenuto fondate le censure concernenti la violazione dell’articolo 65, comma 1, della legge n. 833/1978, in forza del quale "in applicazione del progetto di riparto previsto dall’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 29 giugno 1977, n. 349, e d’intesa con le regioni interessate, con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e delle finanze, sia i beni mobili ed immobili che le attrezzature destinati prevalentemente ai servizi sanitari appartenenti agli enti, casse mutue e gestioni soppressi sono trasferiti al patrimonio dei comuni competenti per territorio, con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali".

A giudizio della sentenza di primo grado, risulta dimostrato che, tanto all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 833/1978, quanto alla data del contestato trasferimento, l’immobile in questione fosse destinato in modo esclusivo, o, quanto meno, prevalente, ad "attività sanitaria".

4. I Ministeri appellanti sostengono, in primo luogo, che l’edificio in questione avesse una originaria "destinazione intrinseca" non sanitaria, perché utilizzato come sede di uffici della Federazione Nazionale dei Coltivatori Diretti e della Cassa Mutua dei Coltivatori Diretti. Tale circostanza comporterebbe l’inquadramento del bene nella categoria dei beni "da reddito", esclusi dal trasferimento ai comuni e destinati agli uffici statali di liquidazione degli enti disciolti, ai sensi dell’articolo 65, comma 4, della legge n. 833/1978.

La censura non è fondata.

Il citato articolo 65, allo scopo di individuare i beni da assegnare ai comuni, per il funzionamento delle strutture sanitarie, fa riferimento alla oggettiva destinazione degli immobili, accertata al momento della entrata in vigore della nuova disciplina istitutiva del servizio sanitario nazionale. Pertanto, la circostanza che, in un primo tempo, l’edificio in questione fosse stato utilizzato quale sede di uffici amministrativi di Enti non aventi compiti sanitari non assume alcuna rilevanza. In particolare, non determina la creazione di un vincolo di destinazione immodificabile.

In concreto, risulta che l’immobile per cui è causa, sin dal 31 maggio 1961 e alla data di entrata in vigore della legge n. 833/1978, fosse condotto in locazione dalla Cassa Mutua Provinciale di malattia dei Coltivatori diretti di Roma (soggetto pubblico erogatore di servizi sanitari), sulla base di diversi contratti, per essere utilizzato come sede dei suoi uffici e quale Poliambulatorio.

In questa prospettiva, risulta pienamente coerente la successiva decisione del Commissario Liquidatore della Federazione nazionale dei coltivatori Diretti di concedere parte dell’immobile in godimento gratuito alla USL RM 3.

Risulta appurata, pertanto, la destinazione del bene a "servizi sanitari".

5. Non muta questa conclusione la circostanza che i canoni di locazione originariamente stabiliti quale corrispettivo per l’uso dell’immobile fossero "in linea con i valori di mercato dell’epoca", come affermato dai Ministeri appellanti.

È indiscutibile, infatti, che la funzione essenziale dei beni fosse proprio quella di assicurare lo svolgimento dell’attività istituzionale di enti fornitori di prestazioni sanitarie e non già quella di "produrre redditi".

Pertanto, nel caso di specie, l’immobile non rientra nel campo di applicazione del comma quarto dell’articolo 65 della legge n. 833/1978.

6. In secondo luogo, le amministrazioni appellanti deducono che non potrebbe avere rilievo la destinazione impressa al bene dal Commissario liquidatore della disciolta Federazione, attraverso la conclusione di un contratto di comodato, poiché mancherebbe la documentazione formale di tale accordo, riferito, oltre tutto, solo ad uno dei piani dell’immobile e non al bene nella sua interezza.

La tesi non ha pregio. Il contratto di comodato gratuito, che ha carattere reale, non è assoggettato ad alcuna forma scritta, anche nei casi in cui abbia per oggetto beni immobili.

In ogni caso, poi, l’articolo 65 fa riferimento esclusivo alla destinazione del bene, intesa in senso oggettivo, senza richiedere la preventiva formalizzazione in un determinato contratto. Dai documenti versati in atti emerge, con chiarezza, che, in concreto, l’immobile era stato destinato allo svolgimento di servizi sanitari, comprensivi tanto della diretta erogazione di prestazioni agli assistiti (poliambulatorio), quanto della connessa attività amministrativa.

La limitazione oggettiva del comodato, poi, non fa venire meno la finalità prevalente dell’immobile, utilizzato, nel suo complesso, per l’espletamento dei servizi sanitari.

7. Da ultimo, i Ministeri appellanti affermano che vi sarebbe stato il consenso della Regione Lazio al trasferimento del bene oggetto del presente giudizio agli organi statali liquidatori del patrimonio degli enti disciolti, implicitamente desumibile dalla posizione assunta in sede di Conferenza di Servizi.

Neanche tale argomento è condivisibile: non risulta che, nelle conferenze di servizi, la Regione abbia mai manifestato il proprio assenso al trasferimento all’IGF. Né questo potrebbe essere collegato, in alcun modo, alla mancata esplicitazione di un espresso dissenso al pro.

8. Emerge solo che, in alcune fasi degli incontri, la conferenza abbia ritenuto di poter qualificare l’immobile come bene destinato ad "altri usi" (non sanitari), nell’ambito del piano di riparto del patrimonio degli enti disciolti. Tale determinazione, meramente programmatica, non risulta poi formalizzata in altro atto riguardante il trasferimento del bene e, pertanto, non si è tradotta in una in equivoca manifestazione di volontà della Regione Lazio.

9. D’altro canto, non si vede come la conferenza di servizi avrebbe potuto assumere determinazioni incidenti sui beni utilizzati dalla ASL RM/A, senza coinvolgere tale amministrazione nel procedimento. Tale evidente illegittimità del procedimento è stata denunciata con il ricorso di primo grado e, dichiarata assorbita nella sentenza del TAR, è stata riproposta nel giudizio di appello.

In ogni caso, poi, l’eventuale assenso della Regione non sarebbe idoneo ad elidere l’illegittimità di un provvedimento di trasferimento del ben contrastante con la disciplina del citato articolo 65.

10. In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

Respinge l’appello.

Condanna i Ministeri appellanti, in solido tra loro, a rimborsare alle parti appellate le spese di lite liquidandole in euro quattromila (4000,00) in favore della ASL RM/A e euro mille (1000,00) in favore del Comune di Roma

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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