Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-02-2011) 15-03-2011, n. 10465 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con ordinanza 29 aprile 2004, accoglieva parzialmente la domanda, proposta da P. A., di riparazione per l’ingiusta detenzione subita a seguito dell’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere dal 25 gennaio 1988 al 22 giugno 1989 per reati dai quali era stato per una parte prosciolto con sentenza divenuta definitiva; per altra parte un reato era stato dichiarato estinto per prescrizione.

In particolare la Corte ha ritenuto indennizzabile il periodo di carcerazione subito per reati dai quali era stato assolto nel merito (tentato omicidio e partecipazione ad associazione di tipo mafioso) e ha escluso dalla riparazione l’intera custodia cautelare sofferta per il reato dichiarato estinto per prescrizione (porto e detenzione di armi).

2) Contro l’ordinanza della Corte d’Appello aveva proposto ricorso P.A. e le sezioni unite della Corte di cassazione – alle quali il ricorso era stato trasmesso da questa sezione che aveva rilevato un contrasto di giurisprudenza – con ordinanza 19 luglio 2006, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. nella parte in cui preclude(va) il riconoscimento dell’indennizzo nel caso di specie (il caso esaminato dalle sezioni unite si riferiva ad un’ipotesi di condanna intervenuta in primo grado per un reato dichiarato prescritto in appello; il giudice di secondo grado, in mancanza di appello del p.m., non avrebbe potuto infliggere una pena superiore a quella determinata dal primo giudice che era inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto).

La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 2008 n. 219, ha risolto positivamente l’incidente di costituzionalità dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. "nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito delle imputazioni secondo quanto precisato in motivazione".

La Corte ha ritenuto che non fosse possibile dare un’interpretazione "costituzionalmente orientata" della norma citata ma – rifacendosi alla sua precedente giurisprudenza ed in particolare alle decisioni che avevano riaffermato la natura "servente" della custodia cautelare rispetto al perseguimento delle finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli interessi in gioco (esigenze di tutela della collettività e temporaneo sacrificio della libertà personale per chi non sia stato ancora definitivamente giudicato colpevole) – è pervenuta alla conclusione che ove "la custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è di immediata evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha imposto al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto giustificato alla luce delle prime, ne travalica il grado di responsabilità personale".

E ha concluso precisando che "solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel merito dell’imputazione penale si distingue da quella di chi sia stato invece condannato (quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta)" perchè in entrambi i casi "l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di indennizzare il pregiudizio".

La naturale conseguenza di queste argomentazioni è stata la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 314 per violazione del principio di uguaglianza disciplinato dall’art. 3 Cost. secondo le argomentazioni contenute nella motivazione e succintamente riassunte in precedenza.

6) Come è agevole verificare dal contenuto della decisione del giudice delle leggi la decisione non ha intaccato il principio – da sempre accolto in modo uniforme dalla giurisprudenza di legittimità – che il proscioglimento per prescrizione preclude il diritto alla riparazione (si vedano in questo senso Cass., sez. 4, 10 giugno 2008 n. 26708, Galatolo, rv. 240382; 2 marzo 2007 n. 18343, Ferlini, rv.

236411; 4 dicembre 2006 n. 3590, Di Grazia, rv. 236010; 18 maggio 1995 n. 1566, Foti, rv. 201879).

Ha invece affermato il principio della indennizzabilità della custodia cautelare che abbia avuto una durata superiore alla pena inflitta o a quella che avrebbe potuto essere inflitta (come era avvenuto nel caso sottoposto alla Corte costituzionale).

Questa lettura è avvalorata anche dal contenuto dell’ordinanza 30 maggio 2006 con cui le sezioni unite di questa Corte avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. limitando il thema decidendum alla "parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta". 7) Le sezioni unite, investite nuovamente del procedimento di riparazione, hanno, con sentenza 30 ottobre 2008 n. 4187, recepito il principio affermato dalla Corte costituzionale e hanno affermato l’indennizzabilità del periodo di detenzione che superava la condanna inflitta in primo grado e che non avrebbe potuto essere determinata in misura superiore in mancanza dell’appello del pubblico ministero (anche il principio di diritto è stato affermato in questo senso).

La decisione ha riconosciuto implicitamente la non indennizzabilità della detenzione subita in relazione ad un reato dichiarato estinto per prescrizione; le sezioni unite erano vincolate dal tema loro devoluto, ma se la detenzione subita in relazione al reato prescritto fosse stata ritenuta integralmente riparabile non vi sarebbe stata la necessità di ribadirne l’indennizzabilita per quella sola parte che supera la pena astrattamente applicabile.

Con la sentenza indicata le sezioni unite hanno quindi annullato con rinvio, nei limiti indicati, la prima ordinanza (29 aprile 2004) della Corte d’Appello di Reggio Calabria.

8) La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con ordinanza 3 novembre 2009 pronunziata nel giudizio di rinvio, ha rideterminato l’indennizzo dovuto in Euro 105.000,00.

Il giudice della riparazione ha rilevato come fosse ormai precluso l’esame dei problemi riguardanti la riparazione per la detenzione subita in relazione ai reati per i quali era intervenuta assoluzione;

ha escluso che esistessero ragioni per escludere la riparazione in relazione alla detenzione subita per il reato poi dichiarato prescritto e ha incrementato la somma dovuta per il titolo in questione ritenendo indennizzabile, secondo il principio affermato dalle sezioni unite (e dalla Corte costituzionale), il periodo di carcerazione subita in eccesso rispetto alla pena inflitta in primo grado.

9) Contro questa ordinanza ha proposto ricorso il Ministero dell’economia e delle finanze che ha dedotto le seguenti censure:

– violazione di legge e vizio di motivazione (con riferimento al mancato accertamento dell’esistenza del dolo e della colpa grave preclusive della riparazione per i reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso e per quelli concernenti le armi) per non avere, la Corte di merito, preso in considerazione i numerosi elementi di fatto accertati nei giudizi di merito che, pur ritenuti insufficienti ai fini della responsabilità per i reati di cui all’art. 416 bis c.p. e per quelli concernenti le armi, ben potevano costituire elementi di colpa grave idonei a precludere la riparazione;

vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione dell’indennizzo per non avere, l’ordinanza impugnata, ritenuto che circostanze significative accertate (in particolare l’uso di un’autovettura blindata e gli accertati rapporti con gli esponenti di una famiglia mafiosa), anche se non ritenute gravemente colpose, ben potevano quanto meno valere al fine della riduzione dell’indennizzo per l’efficacia sinergica che avevano avuto nell’emissione del provvedimento cautelare;

– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al superamento del parametro giornaliero usualmente utilizzato per la determinazione dell’indennizzo senza che di tale superamento venisse fornita alcuna giustificazione.

Ha replicato al ricorso il difensore dell’istante che, dopo aver indicato le ragioni che rendevano infondato il ricorso, ne ha chiesto il rigetto.

10) Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.

Quanto al primo motivo va premesso che le censure proposte, riguardanti l’esistenza di condotte integranti la colpa grave preclusiva della riparazione, possono essere riferite esclusivamente al reato di porto e detenzione di armi. L’ordinanza 29 aprile 2004 della Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva infatti riconosciuto la indennizzabilità della detenzione subita per i reati di tentato omicidio e partecipazione ad associazione di tipo mafioso – per i quali era intervenuto proscioglimento nel merito – mentre l’aveva interamente esclusa per i reati concernenti le armi. Per i primi due reati aveva dunque escluso l’esistenza della colpa grave preclusiva della riparazione.

Per i reati concernenti le armi il problema non era stato esaminato perchè l’ordinanza aveva preliminarmente escluso la riparabilità in relazione ad un reato dichiarato prescritto. E difatti la sezioni unite, con la ricordata sentenza di annullamento con rinvio, hanno rimesso al giudice di merito di accertare per questo reato l’eventuale esistenza della colpa grave preclusiva della riparazione.

E’ vero che nella sentenza delle sezioni unite si fa riferimento anche al reato di associazione di tipo mafioso ma la preclusione formatasi sul punto non può che rendere consentito l’accertamento sulla colpa grave solo ai reati concernenti le armi atteso che in relazione al reato di associazione di tipo mafioso (così come per il tentato omicidio) la mancata impugnazione da parte dell’avvocatura dello stato e del pubblico ministero ha comportato la formazione del giudicato interno o comunque di una preclusione.

11) Ristretto dunque il thema decidendum alla sola imputazione per cui è intervenuta la dichiarazione di estinzione per prescrizione devono ritenersi infondate, e in parte inammissibili, le censure proposte con il ricorso.

La Corte di merito, in ossequio ai principi enunciati dalle sezioni unite nella sentenza di annullamento con rinvio, ha infatti esaminato il problema relativo all’esistenza della colpa grave con una motivazione che riguarda unitariamente sia il reato di cui all’art. 416 bis c.p. che i reati concernenti le armi.

Orbene per quanto riguarda l’associazione di tipo mafioso si è già detto che questo esame era precluso dalla formazione del giudicato interno. Per quanto riguarda le armi la riparazione è stata esclusa per una parte perchè la condanna in primo grado è stata travolta dalla dichiarazione di estinzione del reato pronunziata dal giudice di appello. L’istante si è dunque visto negata la riparazione per la parte corrispondente alla condanna riportata in primo grado per la quale, ovviamente, non si pone il problema della colpa essendo stato negato l’indennizzo.

Per il dippiù (corrispondente alla detenzione subita in aggiunta rispetto alla misura della condanna in primo grado) il problema della colpa grave preclusiva della riparazione potrebbe porsi (essendo non ingiusta la prima parte della detenzione) esclusivamente sotto il profilo del prolungamento della detenzione subita ma non per l’applicazione, non ingiusta, della misura cautelare cui è anche seguita un’affermazione di penale responsabilità. Se una misura cautelare viene applicata non ingiustamente ed è la sua prosecuzione nel tempo che, per una qualsiasi ragione, diviene ingiusta è a questa sola prosecuzione che deve farsi riferimento ove si intenda escludere la riparabilità e dunque le condotte preclusive non possono consistere in quelle precedenti che hanno dato luogo alla detenzione ma in quelle, eventuali e successive, che hanno avuto efficienza causale sul prolungamento ritenuto ingiusto.

Ma, sotto questo profilo, alcuna censura viene proposta dal Ministero ricorrente che non indica alcun elemento idoneo ad avvalorare la tesi che la prosecuzione della detenzione sia avvenuta per una condotta colposa dell’istante.

12) Parimenti infondati sono il secondo e il terzo motivo di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente.

La Corte di merito ha proceduto ad una liquidazione di tipo equitativo prendendo in considerazione il periodo di carcerazione sofferta indennizzabile secondo i criteri indicati e, tra le conseguenze di essa, ha ritenuto provate soltanto le conseguenze derivate al ricorrente nel suo ambiente familiare e sociale dalla privazione della libertà personale; non ha invece ritenuto provata l’esistenza di diversi danni conseguenti alla privazione della libertà personale.

La Corte ha quindi tenuto in considerazione i parametri legali previsti dalle legge ed in particolare quelli previsti dall’art. 643 c.p.p., comma 1 in materia di riparazione dell’errore giudiziario (istituto cui le norme sulla riparazione per l’ingiusta detenzione rinviano, qualora non sia diversamente disposto e in quanto compatibili: art. 315 c.p.p., u.c.) che indica, unitamente alla durata (che viene indicata per prima ma non quale criterio prevalente), le "conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna".

Come è comunemente riconosciuto la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma (e qui il consenso è meno univoco) di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale.

La natura di indennizzo della somma liquidata a titolo di riparazione conduce a importanti conseguenze anche nel giudizio di legittimità perchè i criteri, necessariamente equitativi, utilizzati dal giudice di merito non possono essere sindacati in questo giudizio se non nei limiti di seguito indicati e non certo quando, con il ricorso, si intende in realtà non denunziare la violazione di legge o un vizio di motivazione del provvedimento impugnato ma evidenziare l’insufficienza o l’eccessività della somma liquidata a favore dell’istante.

Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione – quale tipico giudizio di merito – è dunque sottratto al giudice di legittimità che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non certo sindacare la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione a meno che, discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti – che fanno riferimento al tetto massimo liquidabile correlato alla durata massima della custodia cautelare – il giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta.

Nel caso in esame non è ravvisabile alcuno di questi casi; il giudice ha motivato sull’applicazione dei criteri di liquidazione e la somma liquidata, di poco superiore al parametro indicato, non assume carattere arbitrario.

Nè può invocarsi, ai fini della riduzione dell’indennizzo, l’esistenza di una colpa lieve; le ragioni indicate che non consentono di affermare la natura colposa della prosecuzione della detenzione precludono infatti anche questa valutazione.

13) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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