T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 127 Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente dichiara di essere stata assunta alle dipendenze del Comune di Senise a partire dal 27/4/1987, in forza di atto deliberativo giuntale del 20/10/89 n.232, e di avervi lavorato ininterrottamente svolgendo le mansioni di bidella presso il servizio scolastico. Fa presente che, con delibera del 31/7/95 n.31 avente ad oggetto "dotazione effettiva del personale dipendente- discussione e provvedimenti" si deliberava testualmente "fino alla rideterminazione della pianta organica…. da effettuarsi dopo la rilevazione dei carichi di lavoro….la dotazione organica….è provvisoriamente determinata nel contingente numerico di 77 unità" e che nell’allegato risulterebbe il suo nominativo come inserita nella III qualifica funzionale col profilo di bidella, assunta in data 27/4/87 presso il servizio scolastico.

A sua volta, la sezione decentrata di controllo sugli atti degli enti locali, con fonogramma del 23/8/95, prot. n.1209, chiedeva chiarimenti al fine di conoscere la natura del rapporto di lavoro del personale non di ruolo, il numero del detto personale, il profilo professionale di ciascuno e la data e le modalità di assunzione. Con delibera del 20/9/95 n.41 il Consiglio comunale formulava i chiarimenti richiesti e il Co.Re.Co. il 31/10/95 non riscontrava vizi di legittimità.

La delibera impugnata (G.M. n. 186/95) veniva a sua volta sottoposta a controllo e vistata.

Con nota del 23/9/95 l’istante contestava la deliberazione n.186 chiedendo la revoca della risoluzione del rapporto di lavoro, la reintegra nel posto, il pagamento delle differenze retributivo e la regolarizzazione della posizione previdenziale; l’istanza restava senza risposta.

Col presente gravame, notificato il 13/11/95 e depositato il 17/11/95, si deduce quanto segue:

1.violazione del giusto procedimento- contraddittorietà- errata prospettazione dei fatti- illogicità- sviamento.

La delibera giuntale impugnata sarebbe illegittima perché contrastante con quella consiliare del 31/7/95 che effettua una ricognizione di tutti i lavoratori dipendenti del comune di Senise, con l’indicazione dei profili professionali e relativi inquadramenti.. Fra i dipendenti, infatti, vi sarebbe anche la ricorrente che risulta essere stata assunta alle dipendenze del comune di Senise fin dall’1/4/87 con la qualifica di bidella e inserita nel III° livello del servizio scolastico. La delibera impugnata darebbe atto che tra la ricorrente e il comune di Senise vi sarebbe stato un rapporto di convenzionamento in contraddizione con quanto sancito nella delibera consiliare n.31/95;

2.Illegittimità- errata applicazione dell’art. 53 della legge n.142/90- mancanza dei presupposti di cui all’art. 47 della legge n. 142/90.

La delibera impugnata sarebbe comunque illegittima in quanto il parere favorevole formulato dal segretario comunale non esprime alcuna valutazione tecnica. E neppure risulterebbe regolare la sottoscrizione del parere espresso dal responsabile dell’ufficio ragioneria. La delibera sarebbe altresì illegittima perché dichiarata immediatamente eseguibile senza la ricorrenza degli estremi di cui all’art. 47 della legge n. 142/90;

3.violazione degli articoli del CCNL per i dipendenti degli enti locali e d.p.r. n.268/90.

La delibera impugnata sarebbe illegittima per violazione delle disposizioni in rubrica perché non sarebbe stato rispettato l’accordo sottoscritto tra i rappresentanti del comune di Senise e le OO. SS. del 27/7/95 con cui si stabiliva l’impegno delle amministrazioni a prorogare il rapporto di lavoro in essere del personale di cui al precedente punto fino al 31/12/95 al fine di garantire l’erogazione dei servizi pubblici essenziali assicurati dal personale precario, con impegno a concludere il processo di ristrutturazione organizzativa dell’ente al fine di verificare le possibilità d’una eventuale sistemazione definitiva di detto personale;

4.violazione del giusto procedimento- sviamento- illogicità- mancata applicazione degli articoli 7, 8, 10 e 11 del C.C.N.L. per i dipendenti degli enti locali.

Si sostiene che la delibera impugnata contrasterebbe con le disposizioni contrattuali indicate in epigrafe dato che la risoluzione del rapporto comunque incide sull’organizzazione del lavoro e sulla gestione del rapporto di lavoro per cui non sono stati individuati i criteri concernenti l’organizzazione del lavoro e i parametri. L’ente era obbligato a rispettare il diritto all’informazione nei confronti dei sindacati e, comunque, a consultarli, anche ai sensi dell’art. 10 del d. lgs. n.29/93;

5.- violazione del giusto procedimento e degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90.

Non sarebbe stata rispettata la disciplina sulla partecipazione di cui alla legge in rubrica;

6.- rapporto di lavoro subordinato- articoli 2094 c.c.- retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto- art. 36 Costituzione- CCNL per i dipendenti degli enti locali.

Il comune sarebbe obbligato a corrispondere alla ricorrente una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto, in riferimento all’art. 36 Cost. e CCNL di categoria. Il rapporto di lavoro con l’istante si sarebbe in concreto configurato come rapporto d’impiego pubblico; fin dal 27/4/87 vi sarebbe stato rispetto dell’orario di lavoro, di direttive e ordini di servizio impartiti dall’ente. Le energie lavorative della ricorrente sarebbero state messe ad esclusiva disposizione dell’ente. Ciò sarebbe stato ampiamente riconosciuto dal comune con la delibera consiliare n.31/95 che individua l’istante fra i propri dipendenti. Precisa di aver percepito come retribuzione la somma di Lire 500.000 mensili nel 1987 e lire 1.000.000 negli anni compresi fra il 1988 e il 1994. Alcun compenso avrebbe invece percepito a titolo di 13^ mensilità e indennità sostitutiva di ferie.

Si è costituito il Comune di Senise che resiste e deduce l’infondatezza del gravame.

Con ordinanza collegiale n.461/95 del 13/12/95 è stata rigettata l’istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2011 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La questione centrale da risolvere consiste nell’accertamento della natura del rapporto intrattenuto dalla ricorrente con il Comune di Senise fin dal 1987. In quell’anno, con nota del 27/4/87, il sindaco comunicava alla ricorrente e ad altre due incaricate la stipula di convenzione per l’espletamento del servizio di pulizia in alcuni locali comunali, con la specificazione dello svolgimento dell’incarico per tre giorni alla settimana per ciascuno degli ambiti assegnati (ufficio di collocamento, distretto scolastico, pescheria, uffici comunali a richiesta) e l’indicazione che le pulizie si sarebbero effettuate dopo la chiusura dei servizi o dell’orario di ufficio e con libertà per le interessate di lavorare in collaborazione o separatamente). La successiva delibera giuntale n.232 del 20/7/89, anche in sanatoria (dal 1987), affidava alla ricorrente e alle altre due persone l’affidamento dei servizi di pulizia dei locali adibiti a distretto Scolastico, ufficio di collocamento e pescheria. Il servizio avrebbe dovuto essere assicurato da ciascuna delle tre lavoratrici per 3 ore giornaliere e per tre giorni alla settimana col compenso forfettario di L. 500.000 mensili da pagarsi dietro presentazione di fattura. Successivamente (delibera giuntale n.323 dell’1/10/90) tale incarico veniva riconfermato con aumento delle ore lavorative (raddoppio) e aumento del compenso.

Successivamente, il comune di Senise prima approvava i carichi di lavoro ai sensi degli articoli 30 e 31 del d. lgs. n.29/93 (delibera consiliare n.17 del 12/6/95), poi costituiva una dotazione organica provvisoria di personale in attesa della pianta organica e, nell’ambito dell’elenco allegato, figurava il nominativo dell’istante riferito al profilo di bidella. Ai chiarimenti richiesti dall’organo di controllo circa la natura del rapporto di lavoro dell’ istante l’amministrazione rispondeva che la stessa, assieme alle due altre due lavoranti, erano da considerare "incaricati di taluni servizi di pulizia, giusta atto deliberativo di Giunta del 20/7/89". Dopo di che interveniva l’atto impugnato, con cui il Comune stabiliva di "risolvere dalla data del 1° settembre 1995 il rapporto di lavoro attualmente in essere…." con le tre lavoratrici, fra cui appunto la ricorrente.

Soltanto dopo la proposizione del presente gravame (e quindi dopo la delibera recante "risoluzione del rapporto di lavoro"), per la precisione con la deliberazione consiliare n.22 del 3/4/96, sulla base della predetta rilevazione dei carichi di lavoro, veniva rideterminata la pianta organica comunale nel complessivo numero di 75 posti, comprensivi dei posti previsti per le tre incaricate dei servizi di pulizia.

Tutto ciò esposto, deve essere a questo punto esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa comunale, basata sull’impossibilità di ricondurre alla fattispecie del rapporto di pubblico impiego quello di collaborazione instauratosi fra l’ente e la D.M..

L’eccezione va esaminata tenendo presenti le domande formulate dalla ricorrente: una domanda impugnatoria dell’atto giuntale, citato, di risoluzione del c.d. rapporto di lavoro, preordinata al suo annullamento, e un’altra di riconoscimento del rapporto di pubblico impiego di fatto venutosi a realizzare fra il Comune e la ricorrente, avente contenuto patrimoniale in relazione al periodo di lavoro pregresso.

Su quest’ultima domanda vale la giurisdizione di questo TAR atteso che, concernendo per questo profilo la controversia il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, l’accertamento di un tale tipo di rapporto rientra, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 1992, alla quale la giurisprudenza amministrativa si è uniformata e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, ha infatti chiarito che la domanda di accertamento della natura di un rapporto di lavoro intercorso con l’amministrazione pubblica rientra nella competenza del giudice amministrativo ogni volta sia accompagnata dall’indicazione di circostanze che, in linea generale e salvo l’accertamento specifico, possono ritenersi indici dell’esistenza di un rapporto di pubblico impiego. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nelle controversie promosse per conseguire la retribuzione dovuta in relazione a prestazioni lavorative subordinate svolte a favore di enti pubblici, non resta infatti inibita dalla nullità del relativo rapporto per violazione di norme imperative, atteso che, sia pure ai limitati fini della retribuzione, l’art. 2126 c.c. pone una "fictio iuris" di validità del rapporto nullo.

Ora, alla luce di quanto in precedenza chiarito e tenute presenti le prospettazioni rese pure dalla difesa dell’Ente, osserva il Collegio che il Comune ha inteso, all’epoca, ovviare al blocco delle assunzioni di personale da parte degli enti locali (per effetto delle leggi susseguitesi dal 1983 in poi) attraverso il conferimento di incarichi a convenzione preordinati all’effettuazione di alcune necessità indifferibili quali la pulizia di locali e uffici comunali.

Come pure di recente ricordato (cfr. p.e. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 03 settembre 2010, n. 3595), con riferimento alle norme in materia di assunzione del personale degli enti locali, va detto che queste escludono che il rapporto di pubblico impiego possa essere costituito di fatto, ma non sono di ostacolo all’applicabilità dell’art. 2126 c.c. e, quindi, al riconoscimento del diritto del lavoratore, ancorché non assunto a conclusione di una procedura concorsuale, alle differenze retributive, all’indennità di fine rapporto e alle altre prestazioni contributive e previdenziali quando risulta comprovata la sussistenza degli indici che, secondo la giurisprudenza amministrativa, rivelano lo svolgimento di fatto di un rapporto impiegatizio, quali la subordinazione gerarchica, l’esclusività e la continuità delle prestazioni, l’osservanza di un orario di lavoro, la retribuzione in misura fissa e continuativa e l’inserimento del lavoratore nella struttura organizzativa dell’ente (cfr. Consiglio Stato, V, 10 novembre 2008, n. 5582).

Ciò detto, nella fattispecie, va tenuto presente che l’amministrazione ha dedotto e documentalmente provato, in primo luogo, l’inesistenza in pianta organica di posti di addetti alle pulizie dei locali comunali, nonché l’indisponibilità del posto di bidella del servizio scolastico, già coperto da personale in servizio alla data del 27/4/87 (data di conferimento dell’incarico a convenzione), come appunto si evince dal prospetto allegato B del regolamento organico comunale approvato nel 1982; il che fa dubitare dello stabile inserimento della ricorrente nella struttura organizzativa dell’ente. Oltre a ciò, depongono a sfavore della natura di rapporto di impiego pubblico l’orario di lavoro strutturato, come si è visto, sullo svolgimento, per ciascuna delle tre incaricate fra cui la ricorrente, di tre ore giornaliere, alla fine del 1990 raddoppiatesi, e per 3 giorni la settimana nonché l’assenza di prova alcuna a sostegno del requisito della subordinazione gerarchica atteso ché non pare certo sufficiente, sotto questo profilo, la produzione di tre o quattro ordini di servizio con cui si indica per una determinata giornata (o periodo determinato) e per un certo orario questo o quel locale municipale, anche non scolastico, da pulire, a sostanziare da solo il citato elemento della subordinazione. In vero, anche in un rapporto di lavoro autonomo, il vincolo convenzionale può autorizzare il committente a richiedere al prestatore d’opera parziali e temporanee modifiche di alcuni aspetti della prestazione (p.e. la pulizia della sede municipale anziché d’un plesso scolastico) senza con ciò necessariamente dare luogo all’ipotesi di subordinazione in senso stretto tipica del rapporto di lavoro dipendente. D’altra parte, neppure l’adozione della delibera n. 31 del 31/7/95, intervenuta appena un mese prima della risoluzione del rapporto di lavoro, recante inserimento della D.M. nell’elenco nominativo della dotazione organica provvisoria di cui all’art. 3 comma 6 della legge n.537/93 può essere di per sè considerata implicita conferma dell’esistenza d’un rapporto di lavoro dipendente spettando semmai al Giudice la valutazione sulla ricorrenza dello stesso nel periodo di tempo considerato, col correlato onere della ricorrente di fornire in concreto la prova dell’esistenza dei sopramenzionati indici rivelatori: prova che nella fattispecie non risulta essere stata data.

In quest’ottica, inoltre, la ricorrente non ha altresì dimostrato che la retribuzione ricevuta in costanza di rapporto sia sproporzionata rispetto alla quantità dell’impegno richiestole.

Corrisponde ad orientamento (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 09 giugno 2009, n. 1417) che il Collegio condivide, il principio secondo il quale qualora venga instaurato un rapporto di fatto, non può essere data per scontata la circostanza che al lavoratore spetti per intero la retribuzione corrispondente a quella del livello assimilabile alle mansioni che gli sono state affidate.

Spetta, ancora una volta, al dipendente provare che il rapporto si è svolto in termini tali da comportare il suo diritto all’integrale equiparazione, sotto il profilo retributivo, a quello instaurato regolarmente.

Deve in sostanza emergere con chiarezza che l’attività svolta è equiparabile a quella di un dipendente di ruolo sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo (cfr ex multis Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1043/2008).

La domanda di accertamento è quindi infondata. Ne consegue che, alla luce dell’accertata natura privatistica (rapporto di prestazione d’opera) del cd. rapporto di lavoro svolto dalla ricorrente, la cognizione intorno alla domanda (sorretta dagli altri motivi di gravame) rivolta avverso la delibera risolutiva dello stesso impugnata, spetta non già al G.A. bensì al Giudice Ordinario trattandosi di materia di diritti soggettivi.

Conclusivamente il gravame è in parte inammissibile e in parte infondato.

Sussistono comunque giusti motivi per compensare le spese di giudizio fra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, con indicazione, ai fini della "translatio iudicii", dell’A.G.O. quale autorità giurisdizionale competente, e in parte lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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