Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-01-2011) 15-03-2011, n. 10456 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 24 marzo 2009 la Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da V.A. con riferimento alla custodia cautelare sofferta per la durata di diciotto mesi in relazione al procedimento penale a suo carico per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 conclusosi con sentenza di assoluzione.

La Corte territoriale ha motivato tale provvedimento considerando l’esistenza della colpa grave da parte dell’istante ostativa alla concessione della richiesta riparazione; in particolare la Corte d’Appello ha ravvisato tale colpa nella disponibilità del V. a ricevere la droga destinata allo spaccio manifestata in una conversazione telefonica intercettata.

Il V. propone ricorso avverso tale ordinanza lamentando violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione ed interpretazione di legge in relazione all’art. 314 c.p.p., e dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

In particolare il ricorrente deduce che l’intercettazione telefonica posta a base del provvedimento impugnato non consentirebbe l’interpretazione datane e, comunque, la detenzione subita sarebbe sproporzionata rispetto alla gravità dell’indizio, tanto che a conclusione del giudizio abbreviato, e quindi senza alcuna ulteriore indagine, lo stesso P.M. ha chiesto l’assoluzione dell’imputato per il reato in relazione al quale pativa la detenzione preventiva chiedendo la condanna solo per il tentativo di commissione del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15 ottobre 2002, Ministero del Tesoro in proc. De Benedictis, secondo la quale "in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità".

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (di recente, ex pluribus, Sez. 4^, 19 giugno 2008, Bedini ed altro).

In una tale prospettiva, secondo un assunto interpretativo anch’esso pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la nozione di "colpa grave" di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuato in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale.

A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale;

onde, l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (cfr., ancora, Sez. 4^, 19 giugno 2008, Bedini ed altro).

E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dal V. ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’istante nella organizzazione criminale della quale è stata accusato far parte.

Nella specie, non vi è dubbio che la Corte territoriale, con motivazione logica ed ampia, ha spiegato che le condotte ascritte al V., pur non costituendo illecito penale, sono state idonee a determinare l’applicazione della misura cautelare.

In particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato, come evidenziato sopra nella parte espositiva, proprio quegli elementi che erano disponibili al momento in cui il provvedimento restrittivo venne reso e non quelli, eventualmente diversi, emersi a conclusione del processo.

In concreto le telefonate intercettate dalle quali risultava incontrovertibilmente che il V. colloquiava con lo spacciatore B. dichiarandosi disponibile a ricevere ed occultare la droga, creando, in tal modo, per sua grave colpa, un quadro indiziario che lo vedeva pienamente coinvolto nel traffico di stupefacenti, e quindi che giustificava all’epoca, la detenzione.

Siffatte condotte senz’altro consentono di configurare la colpa grave, così come individuata dalle SS.UU..

Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione (v. sezioni unite, 23 dicembre 1995, Sarnataro ed altri), ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1 ha escluso il diritto della istante alla riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee a far ritenere – anche se limitatamente all’emissione di una misura cautelare – il coinvolgimento del V. nella fattispecie criminosa contestata.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese in favore dell’Amministrazione resistente e liquida le stesse in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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