Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 15-03-2011, n. 10453 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Firenze in data 16.11.2009, con la quale veniva qualificata come ingiusta la detenzione subita da F.G., in relazione ai delitti a lui contestati di violenza sessuale continuata ed aggravata, in carcere per il periodo di 71 giorni ed agli arresti domiciliari per giorni 60, e liquidata in suo favore la somma di Euro 29.500,00 (di cui Euro 14.500,00 per il periodo detentivo secondo il metodo aritmetico, assumendo Euro 142,22 per ogni giorno di custodia carceraria e la metà di tale importo per ciascun giorno di arresti domiciliari, ed Euro 15.000,00, in via equitativa, per il danno biologico e morale) dichiarando interamente compensate le spese legali.

La ricorrente Avvocatura deduce, con un primo motivo, la violazione di legge in riferimento all’art. 314 c.p.p. e il vizio motivazionale, assumendo che l’ordinanza suddetta aveva adottato una interpretazione erronea della norma nella parte in cui non aveva ritenuto la sussistenza della colpa grave del ricorrente che aveva contribuito all’emissione del provvedimento con conseguente non debenza della somma richiesta a titolo di indennizzo.

Con il successivo motivo, unitamente ad altri due analoghi, l’Avvocatura denunzia, ancora, l’erronea applicazione dell’art. 314 c.p.p., comma 1, e dell’art. 315 c.p.p. ed la mancanza o manifesta illogicità della motivazione rispetto agli atti del processo, contestando il sistema di calcolo della Corte di Appello che aveva riconosciuto, senza alcuna motivazione, una consistente somma per gli ulteriori danni derivati all’istante dalla lunga detenzione e deduceva altresì l’illogicità della motivazione per quanto riguarda la somma liquidata a titolo di indennizzo.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio, in accoglimento del secondo motivo di ricorso e rigetto nel resto.

Il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.

La prima censura addotta in ricorso è infondata.

Per quel che riguarda la sussistenza della colpa grave in capo al richiedente va posto il rilievo che la Corte di cassazione ha ritenuto che "In tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che se adeguata e congrua, e incensurabile in sede di legittimità.

Il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto". (Cass. pen. Sez. Un. 26.6.2002 n. 34559, Rv. 222263).

Ora, nel caso di specie l’ordinanza impugnata applica correttamente tali principi e resiste, sotto tale profilo, alle censure di carenza di motivazione.

In particolare, la Corte fiorentina rileva che il provvedimento restrittivo – ingiustamente emesso nei confronti del richiedente in relazione ai delitti di violenza sessuale ai danni delle minori P.E. ed Pa.Em. figlie della sua convivente – non ha avuto causa nella condotta gravemente colposa del ricorrente laddove invece, la condotta posta in essere dall’istante non aveva contribuito a determinare l’emissione del provvedimento custodiale nei suoi confronti.

Il procedimento penale a carico del F. si concluse, infatti, con una sentenza di assoluzione, con la formula perchè il fatto non sussiste, divenuta irrevocabile.

L’assoluzione dell’istante era stata determinata dall’integrale ritrattazione, in sede di giudizio, operata da P.E., la quale aveva affermato di aver architettato, con la propria sorella, un piano calunnioso nei confronti del F. originato da motivi economici.

Il Tribunale aveva ritenuto che la citata ritrattazione aveva fatto venir meno anche la credibilità di Pa.Em., che invece aveva confermato le su accuse e che agli atti non vi erano altri elementi per pervenire ad una pronuncia di colpevolezza nei confronti dell’imputato.

La Corte di Appello, nella decisione impugnata, ricostruisce il complesso procedimento in cui il richiedente era stato coinvolto, richiama i passaggi fondamentali della sentenza del Tribunale che aveva assolto il F. e rileva, con adeguata motivazione, che, sulla scorta degli atti del procedimento, non poteva affermarsi che il richiedente avesse determinato con dolo o colpa grave l’emissione o il mantenimento del provvedimento restrittivo disposto nei suoi confronti.

La Corte di Appello di Firenze pone in evidenza che il provvedimento restrittivo non era stato emesso per un comportamento addebitabile, in rapporto di causa ad effetto, al F., bensì a seguito delle dichiarazioni delle parti lese e delle altre acquisizioni effettuate nel corso delle indagini preliminari e non poteva costituire un elemento a carico dell’imputato nè poteva considerarsi colpa grave a lui addebitabile, la circostanza che il nucleo familiare composto dall’istante, dalle parti lese e dalla madre di queste ultime vivesse in un clima di pesante degrado.

Il richiedente, secondo la Corte di Appello, non aveva compiuto alcuna azione che potesse avere influito sull’emissione dell’ordinanza atteso che il provvedimento cautelare era stato emesso sostanzialmente in base alle dette dichiarazioni rese dalle parti lese, nè poteva addebitarsi all’istante la circostanza di essersi legittimamente avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio ex art. 294 c.p.p. e reso le proprie dichiarazioni soltanto al pubblico ministero.

L’ordinanza impugnata appare quindi, sotto tale profilo, adeguatamente motivata in quanto nella stessa viene specificato, con riferimento al caso concreto, che l’istante non ha posto in essere comportamenti caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica trascuratezza o evidente imprudenza tali che non sarebbero stati tenuti nemmeno dall’uomo non particolarmente avveduto o prudente.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Avvocatura dello Stato lamenta che la Corte di appello ha liquidato senza adeguata motivazione, l’importo di Euro 29.500,00 quale indennizzo per la detenzione subita dall’istante di gg. 131 di cui 71 in carcere e 60 agli arresti domiciliari.

Tale censura è fondata.

Con riferimento alla durata della carcerazione, per il calcolo dell’indennizzo è stato adottato il criterio aritmetico, che tiene conto della durata della carcerazione ed è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita.

Calcolo grazie al quale si perviene alla individuazione della somma liquidabile di circa Euro 235,00, per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere (Cass. pen. Sez. Un., n. 24287 del 9.5.2001, Rv. 218975; Sez. 4^, n. 34664 del 10.6.2010, Rv. 248078).

Tale criterio non è vincolante in assoluto ma comunque raccorda a dati certi e paritari il pregiudizio scaturente dalla perdita della libertà personale e, pertanto, è il criterio base della valutazione del giudice della riparazione che potrà comunque derogarvi in senso ampliativo – purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge – o restrittivo a condizione che, in un caso o nell’altro, dia adeguata contezza della valutazione dei relativi parametri di riferimento e ciò pur nel contesto di una delibazione guidata dal metodo equitativo, in coerenza con l’indole indennitaria e non risarcitoria della somma liquidata a titolo di riparazione.

Ora, deve convenirsi con il P.G. che nel caso di specie il provvedimento impugnato non applica i cennati principi così incorrendo nella denunciata manifesta illogicità della motivazione.

In particolare, la Corte di appello fiorentina liquida l’indennizzo nella misura di 29.500,00 Euro, tenendo conto della durata della custodia cautelare ingiustamente patita pari a gg. 71 di detenzione in carcere e 60 di detenzione domiciliare e delle altre conseguenze connesse alla ingiusta detenzione.

La determinazione consegue perciò a valutazione inadeguata perchè l’applicazione del criterio aritmetico, in base ai criteri sanciti dalla S.C., porta ad un quantum in misura superiore (Euro 16.743,93 + 7074,9 = 23.818,83) a quella determinata (Euro 14.500,00) dal momento che un giorno di detenzione intramuraria equivale a Euro 235,83 ed un giorno di detenzione domiciliare nella metà di detta somma – quantum che nel caso di specie viene vistosamente ridimensionato, dal momento che la Corte di appello liquida per ciascun giorno di detenzione in carcere la somma di Euro 142,22 e per ciascun giorno di detenzione domiciliare l’importo di Euro 71,11 senza l’indicazione dei motivi che hanno condotto a tale ridimensionamento.

A tale importo la Corte, però, aggiunge la somma di Euro 15.000,00 per il danno biologico e di quello morale subito dall’istante, anche qui senza l’indicazione degli elementi che hanno portato a liquidare l’importo corrisposto a tale titolo e senza l’indicazione dei parametri utilizzati per effettuare la valutazione operata.

L’operazione di calcolo appare eseguita, quindi, senza idonea ed adeguata motivazione in quanto la Corte di Appello non ha indicato i criteri che l’hanno indotta ad operare, in relazione alla detenzione subita dall’istante, un vistoso ridimensionamento del quantum previsto per ciascun giorno di detenzione subito e non ha indicato i criteri ed i parametri in base ai quali ha liquidato un consistente importo a titolo di danno morale e biologico per la detenzione subita dall’istante.

La Corte non ha fatto alcun riferimento alle conseguenze professionali e personali connesse all’ingiusta detenzione subita, nè alla documentazione prodotta dall’istante e che attestasse i danni subiti ed ha adottato, senza idonea motivazione, un criterio equitativo per liquidare un consistente importo a titolo di danno morale.

Consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza limitatamente alla determinazione dell’indennità attribuita e alla relativa motivazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

Il ricorso dev’essere, nel resto, rigettato.
P.Q.M.

Annulla, con rinvio, il provvedimento impugnato limitatamente alla quantificazione della somma attribuita e alla relativa motivazione, e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, altra sezione.

Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *