Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-01-2011) 15-03-2011, n. 10376 Falsità ideologica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.S. ricorre per cassazione, avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila del 18 dicembre 2008, con la quale è stato dichiarato di n.d.p. nei suoi confronti in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 483 e 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7, essendo gli stessi estinti per prescrizione.

Il ricorrente lamenta l’erroneità della declaratoria di improcedibilità, in quanto la Corte avrebbe dovuto assolverlo pienamente nel merito, in base all’applicazione dell’art. 47 c.p., comma 3, per manifesta illogicità della motivazione, per omessa motivazione in ordine alla prova del concorso con le sorelle L. in ordine alla commissione dei reati,e per l’omessa motivazione in ordine alle statuizioni civili.

Il ricorrente censura in particolare la ritenuta insussistenza del reato di cui all’art. 483 c.p., in quanto la dichiarazione delle sorelle L., in ordine alla loro qualità di eredi esclusive del fratello G., si basava sul testamento redatto dallo stesso, anche se nullo, perchè privo di sottoscrizione del testatore. In questo senso anche la responsabilità del S. doveva essere esclusa in quanto si limitò a recepire la dichiarazione presentata in banca per la devoluzione degli averi alle due sorelle. In ogni caso la Corte non avrebbe motivato in ordine agli elementi da cui deriverebbe l’affermazione del concorso del S. nell’attività criminosa, nè in ordine alla sussistenza della sua responsabilità con riferimento alle statuizioni civili.

I motivi sono manifestamente infondati e il ricorso è inammissibile.

Osserva la Corte che in apparenza, si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità.

Con sentenza sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369, questa Corte ha ribadito che: "Nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.

(In senso conforme anche Cass., sez. 5, 13 maggio 2003, Pagano ed altri, non massimata nonchè Sez. un., 29.9.2003, Petrella; SU n 6402/97, rv 207944; SU n. 24/99, rv 214794; SU n 12/2000, Jakani, rv 216260).

Orbene in presenza di una causa estintiva della prescrizione del reato l’obbligo del giudice di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. postula che le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicchè la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento (Cass., sez. 6, 18 novembre 2003, n. 48527, C.E.D. Cass., n. 228505); per cui nell’ipotesi in cui le risultanze processuali siano tali da condurre anche a diverse ed alternative interpretazioni, senza che risulti evidente l’estraneità dell’imputato al fatto criminoso, deve essere dichiarata la causa estintiva della prescrizione.

Ciò premesso la motivazione del provvedimento impugnato è esaustiva, immune da palesi vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte e, pertanto, supera il vaglio di legittimità, con riferimento alla circostanza che nessuno degli imputati ha sostanzialmente contestato la falsa attestazione fatta davanti all’ufficiale comunale dalle L. e dal dato oggettivo dell’intervento del S. nello svolgimento della pratica per la riscossione delle somme depositate presso l’istituto di credito a nome del defunto e in favore delle due sorelle, e della successiva appropriazione, in larga parte, delle somme medesime. Dalla sussistenza del fatto storico relativo alla commissione dei reati contestati e dichiarati estinti per prescrizione, e dalla riferibilità degli stessi al medesimo ricorrente, discende correttamente la conferma delle statuizioni civili a carico del S. in favore delle parti civili costituite.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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