Cassazione Civile, Sez. III – sentenza 15 aprile 2010 n. 9037. Responsabilità ex art. 2052 cc. : “Il rispetto del canone della diligenza nella custodia dell’animale non esonera il proprietario da responsabilità per i danni dallo stesso cagionati”.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Il giudice di pace ha accolto (nei limiti di € 2.582,28) ed il tribunale di (OMISSIS) rigettato (con sentenza n. 2081.05) la domanda proposta da L. S. nei confronti di L. e F. T., volta al risarcimento dei danni subiti per il morso di un cane pit-bull, di proprietà del secondo e custodito dal primo, dal quale era stato assalito alle 9,30 del 26.12.2000, immediatamente dopo l’ingresso nello stabile tramite un cancello aperto.
Ha ritenuto il tribunale che i convenuti in primo grado avessero provato il fortuito per gli effetti di cui all’art. 2052 cc. per le seguenti ragioni, così testualmente enunciate a pagina 6 della sentenza:
a) "perché avevano adottato tutte le misure idonee in regime di normalità ad evitare che il cane potesse aggredire terzi (catena di tre metri, cane legato in posto distante dal cancello di ingresso, cartelli sui cancelli)", peraltro ritenuti non visibili a cancello aperto sulla base delle risultanze istruttorie;
b) perché del tutto imprevedibile doveva considerarsi la circostanza che "pur avendo i T. un’attività produttiva stagionale (frantoio) alcuno potesse recarsi da loro per affari la mattina del 26 dicembre, quando in casa non c’era nessuno …. e si spingesse all’interno fino al frantoio senza citofonare o avvisare" benché il cancello fosse aperto, anche per la presenza di altre abitazioni nello stabile;
c) perché il S. aveva 80 anni, "con la conseguente minore prontezza a ritirarsi dall’attacco di un cane legato alla catena".
2.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione il soccombente, affidandosi ad un unico motivo col quale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2052 cc. e vizio della motivazione.
Resistono con controricorso gli intimati T..
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorso è manifestamente fondato.
La conclusione del tribunale che la condotta del S. (entrato di mattina in uno stabile con cancello aperto che – secondo le risultanze di cui pure si dà atto in motivazione – rendeva per questo non visibile il cartello "attenti al cane", dal quale era stato poi aggredito) sia stata idonea ad assorbire per intero il rapporto causale è del tutto contrastante con gli accertamenti in fatto compiuti, univocamente attestanti una condotta assolutamente ordinaria da parte della vittima. E’, in particolare, erroneo in diritto l’assunto che la prova del fortuito potesse essere costituita dal fatto che gli appellanti avevano adottato tutte le misure idonee in regime di normalità ad evitare che il cane potesse aggredire terzi, dovendo il fortuito identificarsi in un evento imponderabile ed imprevedibile, che si inserisca all’ improvviso nel meccanismo causale, soverchiando ogni possibilità di resistenza o contrasto da parte dell’uomo (Cass., ri. 4752/1999).
In senso diametralmente opposto alla decisione assunta militano, del resto, gli stessi precedenti richiamati dal tribunale, dal più recente dei quali (Cass., n. 12161/2000, relativo al caso di una bambina che si era addirittura avvicinata a un cane legato e nel quale il cartello di pericolo era perfettamente visibile) è stato tratto il principio secondo il quale "la responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ., prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell’animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell’intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità: all’attore compete solo di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell’animale".
Principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza successiva (da ultimo, da Cass., n. 11570/2009), che va anche in quest’occasione confermato.
E’, infine, del tutto inconsistente il presupposto logico del rilievo conferito dal tribunale al fatto che la vittima avesse ottant’anni e fosse per questo meno agile; rilievo che presuppone, in un contesto nel quale il cancello era aperto e gli avvisi di pericolo non erano dunque visibili, che il tribunale abbia opinato che un uomo anziano compie un atto decisamente pericoloso per la sua incolumità (tanto da integrare la causa determinante dell’aggressione subita da un cane) se solo varchi un cancello aperto che dia accesso ad un immobile nel quale siano collocati un frantoio ed alcune case di abitazione.
2 . – La sentenza va cassata, con rinvio allo stesso tribunale in persona di diverso giudicante, perché decida sull’appello dei T. nel rispetto degli enunciati principi.
Alla condanna dei resistenti alle spese del giudizio di cassazione può provvedersi con la presente sentenza.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa e rinvia al tribunale di (OMISSIS) in persona di diverso giudicante; condanna i controricorrenti, in solido, alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 1.700, di cui 1.500 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Nota

1. Il caso deciso.

La questione è la seguente.
Un ottantenne, dovendosi recare presso l’abitazione di due produttori stagionali di olio per affari, veniva aggredito da un pitbull legato ad un frantoio mediante una catena.
Infatti l’anziano, poiché il cancello di entrata dello stabile era aperto, non si era avveduto del fatto che il padrone dell’animale avesse ivi posto un cartello, con il quale avvisava chiunque facesse ingresso nello stabile medesimo di prestare attenzione a causa della presenza di un cane.
Successivamente all’aggressione, l’ottantenne faceva causa sia al padrone che al custode dell’animale al fine di ottenere il risarcimento dei danni ed il Giudice di Pace di … accoglieva il suo ricorso.
Il Tribunale di …, al contrario, respingeva la suddetta domanda di risarcimento, ritenendo che i convenuti in primo grado avessero provato il caso fortuito ai sensi dell’art. 2052 cc.
Infine, il soccombente ricorreva alla Corte di Cassazione, la quale rinviava la questione allo stesso tribunale in persona di diverso giudicante, perché decidesse sull’appello nel rispetto dei principi enunciati dalla medesima.

2. La questione.

In tema di danno cagionato da animali, chi risponde dell’aggressione da parte di un cane nei confronti di un soggetto che, imprudentemente, trovando il cancello aperto, è entrato nel giardino dove il cane medesimo si trova legato mediante una catena?

3. La risposta della Cassazione Civile, Sez. III – sentenza 15 aprile 2010 n. 9037.

Osserva la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione che è il padrone del pitbull a dover rispondere dell’aggressione da parte del medesimo, consistente nell’avere morso colui che, avendo trovato il cancello aperto, è entrato nel giardino dove il cane è legato.
Infatti, a parere del Supremo Collegio, solo il caso fortuito, il quale presenti i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità o assoluta eccezionalità, deve reputarsi idoneo ad escludere la responsabilità del proprietario o dell’utente dell’animale in caso di aggressioni da parte del medesimo, non avendo rilievo alcuno il fatto che il padrone e/o il custode dell’animale abbia usato la maggiore diligenza possibile per evitare il danno (consistente, nel caso di specie, nella predisposizione di un cartello all’entrata dello stabile, nonchè di una catena che tenga legato il cane al frantoio).

4. Nota esplicativa.

La questione giuridica affrontata dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione concerne il tema della responsabilità per danni cagionati da animali ex art. 2052 cc, la quale viene risolta in base al principio secondo cui tale responsabilità è da imputarsi al padrone e/o al custode dell’animale, eccettuata la prova del caso fortuito.
Si deve rilevare che l’applicabilità del suddetto principio conduce al riconoscimento di una responsabilità dei soggetti sopra indicati di carattere quasi (salvo solo il fortuito) illimitato: trattasi, infatti, di un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
Peraltro, è opportuno notare che la massima elaborata ad opera della Corte di Cassazione nella sentenza considerata era già stata espressa, in termini analoghi, da numerose pronunce del Supremo Collegio (ex multis, Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 19 maggio 2009 n. 11570; Cassazione Civile, Sez. II, sentenza 19 marzo 2007 n. 6454; Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 4 dicembre 1998 n. 12307).
Tuttavia, l’affermazione di un siffatto genere di responsabilità, gravante sul proprietario e/o sull’utente dell’animale, pur essendo conforme ai precedenti giurisprudenziali in materia, non sempre si giustifica in relazione alle circostanze del caso concreto.
Infatti, il nostro ordinamento giuridico (v. ad es. artt. 1001, 1148, 1176, 1227, 1587, 1710, 1768 e 1804 cc.) fa spesso riferimento al canone della diligenza quale criterio di massima, che deve essere osservato da ciascun consociato nei rapporti con gli altri.
Così, il rispetto della diligenza è previsto dal legislatore, ad esempio, con riguardo agli istituti dell’usufrutto, del possesso, della locazione, del mandato, del deposito e, più in generale, con riferimento all’adempimento delle obbligazioni.
In particolare, relativamente ai rapporti obbligatori, la disposizione normativa dell’art. 1176 cc. afferma testualmente che, nell’adempimento dell’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Successivamente, l’art. 1227 cc. statuisce che, in caso di concorso del fatto colposo del creditore, il risarcimento dei danni è diminuito proporzionalmente alla colpa del medesimo, e, addirittura, che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore stesso avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Ciò significa che la legge esige che il criterio della diligenza media del buon padre di famiglia (emblema dell’uomo attento e coscienzioso nel valutare le situazioni che di volta in volta si presentano nel caso concreto) debba sempre essere osservato nelle relazioni sociali: esso, dunque, deve reputarsi un principio di carattere generale.
A sostegno di tale tesi, è opportuno evidenziare che anche la sentenza considerata fa riferimento al canone della diligenza con riguardo al comportamento del proprietario e/o del custode del cane, seppure in senso negativo, ovvero affermando che la stessa non lo esonera da responsabilità per i danni cagionati dall’animale, eccettuata, si ribadisce, l’ipotesi del caso fortuito.
Chi scrive, tuttavia, reputa che la diligenza di cui si tratta debba essere rispettata non soltanto dal proprietario o da colui che si serve dell’animale per un periodo di tempo limitato, ma anche dal terzo che entri in relazione con l’animale medesimo.
Poichè il Codice Civile prevede che al canone della diligenza debbano conformarsi le condotte di entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio, debitore e creditore, non si comprende per quale ragione, nel caso di danno cagionato da animali, tale criterio non debba essere parimenti osservato sia dal proprietario e/o custode dell’animale sia dal terzo, che con l’animale medesimo entri in contatto.
Infatti, in tal caso, pur non ricorrendo un’ipotesi di rapporto obbligatorio tra padrone e/o utente dell’animale, da una parte, e terzo dall’altra, tuttavia è innegabile che si instauri tra di essi un rapporto sociale, con riguardo al quale il legislatore esige sempre l’osservanza dei principi generali dell’ordinamento giuridico, da parte di ciascun consociato.
E tra questi principi è indubbio che debba essere annoverato quello della diligenza, il quale presenti i caratteri dell’attenzione, accortezza, prudenza che sopra si sono evidenziati.
Infatti, sebbene sia chiaro, per espresso disposto dell’art. 2052 cc., nonché in base alle richiamate statuizioni della Corte di Cassazione, che soltanto il caso fortuito è idoneo ad esonerare da responsabilità il proprietario e/o custode dell’animale per i danni dal medesimo cagionati, tuttavia si deve riconoscere che anche il mancato rispetto del canone della diligenza da parte del terzo che con l’animale venga in contatto possa talvolta concorrere, almeno in parte, a causare il danno.
Pertanto, si ritiene opportuna una più attenta valutazione, da parte della giurisprudenza, circa le conseguenze che l’inosservanza del canone della diligenza da parte del terzo possa provocare in ordine alla produzione del danno dal medesimo subito.
In altri termini, si reputa che la negligenza del danneggiato, ove ne sia accertata la sussistenza nel caso concreto, debba essere valutata alla stregua di un concorso di colpa nella verificazione del danno, con conseguente riduzione da parte del giudice, in sede di condanna, della somma dovuta a titolo di risarcimento.
Si vuole, dunque, sostenere che ancorare la responsabilità dei soggetti indicati nell’art. 2052 cc. al mero fatto oggettivo dell’animale, qualora lo stesso danneggiato abbia almeno parzialmente contribuito alla produzione del danno, debba reputarsi in contrasto con i più noti principi di giustizia sociale.
Infatti l’animale, con il quale il terzo entri in contatto, non è una res, bensì un essere animato, i cui impulsi sono spesso difficili da controllare, ragion per cui, una volta che il padrone e/o l’utente del medesimo si sia adoperato con la maggiore diligenza possibile per custodirlo, si deve ritenere che anche il terzo debba parimenti fare tutto ciò che è in suo potere al fine di evitare il danno che potrebbe essergli cagionato dall’animale.
In particolare, con riferimento al caso di specie, l’osservanza delle più comuni regole di diligenza avrebbe imposto all’anziano signore, protagonista della vicenda in esame, di non fare ingresso nell’abitazione del proprietario senza avvisarlo, quanto meno suonando il campanello.
Al contrario, proprio tale comportamento era stato omesso dall’ottantenne.
Anzi, il ricorrente, essendo entrato da un cancello aperto senza alcun preavviso nei confronti del proprietario, a fortiori avrebbe dovuto prestare attenzione nell’evitare possibili pericoli all’interno dello stabile.
Infatti, adoperando una maggiore cautela nell’entrarvi, l’anziano signore si sarebbe accorto del cartello posto sul cancello, ancorché aperto, nonché della presenza del pitbull legato al frantoio da una catena.
Pertanto, si deve concludere che, nell’affermare il principio secondo il quale il proprietario dell’animale o chi lo ha in custodia risponde sempre dei danni cagionati dallo stesso, indipendentemente dalla diligenza prestata nella custodia dell’animale, salva soltanto la prova del caso fortuito, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione mostra di aver omesso di considerare che, qualora l’accertata negligenza da parte del terzo, che venga a trovarsi in contatto con l’animale, sia stata, almeno in parte, causa del danno subito dal medesimo, una valutazione della fattispecie prevista dall’art. 2052 cc. quale ipotesi di responsabilità oggettiva debba ritenersi contrastante con i più noti principi di giustizia sociale, conformandosi ad essi soltanto una considerazione di tale fattispecie in termini di responsabilità concorrente tra proprietario e/o utente dell’animale e danneggiato.

5. I precedenti conformi.

Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 19 maggio 2009 n. 11570; afferma che: “il proprietario dell’animale risponde anche nell’ipotesi in cui un cane, legato per mezzo del guinzaglio al corrimano delle scale di accesso ad una stazione della metropolitana e lasciato incustodito, si avventi contro una persona anziana in atto di sorreggersi al medesimo corrimano per scendere le scale, facendola cadere e provocandole lesioni, a nulla rilevando che la vittima avesse la possibilità di evitare l’animale seguendo un percorso piú discosto da esso".
Cassazione Civile, Sez. II, sentenza 19 marzo 2007 n. 6454; afferma che: “La responsabilità del proprietario dell’animale, prevista dall’art. 2052 cod. civ., è presunta, ovvero fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale.
Ne consegue che il proprietario risponde in ogni caso ed in toto per i danni cagio¬nati dall’animale al terzo, a meno che non dia la prova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo. Ne consegue al¬tresì che, se la presunzione di responsabilità non può ritenersi totalmente vinta, non rimane al giudice che condannare il proprietario dell’animale al risarcimento dei danni per l’intero e non in parte, secondo una graduazione di colpe tra il medesimo ed il danneggiato”.
Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 4 dicembre 1998, n. 12307; afferma che: “La responsabilità del proprietario dell’animale, ex art. 2052 cod. civ., costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale. Ne consegue che il proprietario (o l’utilizzatore) dell’animale che ha causato il danno, per andare esente da responsabilità, deve fornire la prova positiva che il danno sia stato causato da un evento fortuito, non essendo sufficiente fornire la prova negativa della propria assenza di colpa”.

6. Gli spunti bibliografici.
F. Caringella, Responsabilità civile e assicurazioni, 2008, Ed. Giuffrè;
AA.VV., Istituzioni di diritto privato, 2005, Ed. Giuridiche Simone;
M. Bianca, Diritto Civile, 2003, Ed. Giuffré;
G. Cassano, Nuovi diritti della persona e risarcimento del danno, 2003, Utet:
F. Gazzoni, Manuale di Diritto privato, 2003 Ed. Scientifiche Italiane;
Studium Iuris a cura di A. Zaccaria, La giurisprudenza delle Sezioni Unite, 2003, Cedam.

Sara Piffari

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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