Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 15-03-2011, n. 10392 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il difensore di fiducia di C.A., indagato per i reati di cui agli artt. 110, 643, 479 e 48 e art. 61, nn. 2 e 7, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Campobasso – in sede di riesame – che, il 3.6.2010, rigettava la richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Campobasso, in data 10.05.2010, nonchè del successivo provvedimento di integrazione, in data 13.05.2010.

Premesso che si trattava del sequestro di un immobile, con successiva disposizione di allontanamento degli occupanti ( C.A. e Ci.An.), il ricorrente lamentava l’insussistenza dei due requisiti richiesti per l’emanazione del provvedimento di sequestro preventivo: il fumus delicti ed il periculum in mora; sosteneva che non era presente il presupposto della commissione di un reato, sia pure accertato in via incidentale, nella sua astratta configurabilità; che difettava anche il periculum, che deve intendersi non come generica ed astratta eventualità, ma come concreta, imminente ed elevata possibilità di dispersione del bene.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Si deve, innanzi tutto, ricordare che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge; che in tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43068 del 13/10/2009 Rv. 245093).

Nessuno dei detti vizi è rilevabile nel provvedimento impugnato, che si dimostra basato su un impianto argomentativo solido ed ancorato a consolidati principi.

Per vero, in sede di verifica della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo vanno ribaditi due principi: 1) pur essendo precluso sia l’accertamento del merito dell’azione penale sia il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, il giudice deve operare un attento controllo sulla base fattuale del singolo caso concreto, secondo il parametro del "fumus", tenendo conto delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18078 del 26/01/2010 Rv. 247134); 2) il pericolo va inteso in senso oggettivo come probabilità di danno futuro in conseguenza dell’effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa che può derivare non solo dalla potenzialità della "res" oggetto del provvedimento cautelare di recare una lesione all’interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità di contribuire al perfezionamento o protrazione del reato del reato (v. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 31409 del 23/06/2005 Rv. 231750).

Entrambi questi principi il tribunale del riesame ha applicato correttamente: ha messo in evidenza che vi erano non arbitrari elementi idonei a far ritenere delittuose le modalità di vendita in favore degli indagati dell’immobile di proprietà della vittima;

altamente sfavorevoli le concrete dazioni in pagamento;

l’approfittamento delle menomate condizioni di discernimento della vittima stessa. Per altro verso ha sottolineato il periculum consistente nel fatto che gli indagati (il ricorrente e la Ci.) hanno effettuato rilevanti interventi edilizi comportanti la trasformazione dell’immobile anche al fine di una più proficua vendita.

Il ricorso è quindi inammissibile per manifesta infondatezza, poichè esula, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una mera rilettura degli elementi di fatto già vagliati e posti a fondamento della decisione impugnata, magari prospettata in maniera più utile per il ricorrente.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di 1.000,00 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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