Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. I ricorrenti appartengono al Corpo di Polizia Penitenziaria, e prestano tutti servizio presso il carcere milanese di Bollate. A ciascuno di essi l’Amministrazione di appartenenza ha assegnato alloggi di servizio situati in palazzine collocate all’interno della recinzione che delimita l’area del predetto carcere.
Con note datate 31 marzo 2009, recapitate a ciascun interessato nei giorni 7 e 8 aprile 2009, l’Agenzia del Demanio provvedeva a determinare l’ammontare dei canoni di concessione relativi ai suddetti alloggi..
Avverso tali atti di determinazione del canone è diretto il ricorso in esame.
Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate per resistere al gravame.
La Sezione, con ordinanza n. 809 del 26 giugno 2009, ha accolto l’istanza cautelare.
Tenutasi la pubblica udienza in data 20 gennaio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Come anticipato la presente controversia riguarda gli atti con i quali l’Autorità amministrativa ha determinato l’ammontare dei canori relativi ad alloggi di servizio concessi in uso ai ricorrenti.
Ciò premesso, il Collegio ritiene opportuno preliminarmente precisare, quanto alla giurisdizione, di condividere la tesi prospettata da parte ricorrente (peraltro non confutata dalla difesa erariale), la quale, nel caso specifico, afferma la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Va invero osservato che la concessione degli alloggi di servizio agli interessati costituisce una prestazione che si innesta nell’ambito del rapporto di pubblico impiego che intercorre fra questi e l’Amministrazione di appartenenza. Il rapporto concessorio così instaurato è dunque funzionalmente collegato al rapporto lavorativo; con la conseguenza che tutte le controversie che ne scaturiscono debbono essere conosciute dal giudice che ha la giurisdizione in materia di rapporto di lavoro (cfr. Cass. Civ., sez. un., 30 aprile 2008 nn. 10870 e 10871). Nel caso specifico, trattandosi di personale pubblico non contrattualizzato, la controversia appartiene, ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che, in tale ambito, non soffre la limitazione prevista dall’art. 5 della legge n. 1034/71 (il cui contenuto è oggi trasfuso nell’art. 133, comma 1, lett. b c.p.a.) il quale, dopo aver attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di concessione di beni pubblici, riserva, come noto, al giudice ordinario le controversie relative ai canoni concessori.
3. Fatta tale precisazione può ora passarsi all’esame del merito del ricorso.
I ricorrenti deducono innanzitutto che per i canoni afferenti al periodo anteriore al 7 aprile 2004 sarebbe maturato il periodo di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2948, nn. 3 e 4, del codice civile.
3.1. La doglianza è fondata.
La richiesta di corresponsione del canone di concessione è stata inoltrata per la prima volta agli interessati in data 7 aprile 2009. L’Amministrazione intimata non ha dimostrato di aver inviato in precedenza altri atti idonei ad interrompere la prescrizione.
In proposito, la difesa erariale deduce che in data 31 ottobre 2003 e in data 12 maggio 2008, il Direttore del carcere ha invitato l’Agenzia del Demanio a procedere con la determinazione dei canoni.
Questi atti tuttavia, in applicazione dell’art. 2944 del codice civile, non possono avere effetto interruttivo sulla prescrizione in quanto, al di là di ogni altra considerazione, non provengono dal soggetto contro il quale il diritto può essere fatto valere. E’ di palmare evidenza infatti che l’obbligazione della corresponsione dei canoni di concessione non grava sull’Istituto Penitenziario (né tantomeno sul suo Direttore), ma direttamente sul personale dipendente beneficiario dell’assegnazione.
La difesa di parte pubblica deduce inoltre che dal verbale di assegnazione degli alloggi, redatto in data 14 gennaio 2003, risulta che i ricorrenti (peraltro non tutti) avevano anch’essi direttamente sollecitato l’Amministrazione a procedere con la determinazione dell’ammontare del canone.
Anche questo atto tuttavia non può essere utilmente invocato in quanto, pur ammettendo che esso avesse effettivamente interrotto la prescrizione, le successive richieste di corresponsione del canone sono pervenute ai destinatari solo in data 7 e 8 aprile 2009, e quindi dopo il decorso del termine quinquennale (decorrente dal 15 gennaio 2003) previsto dall’art. 2948 codice civile che, come noto, fissa in cinque anni il termine prescrizionale per i corrispettivi delle locazioni ed in generale per tutti i crediti che debbono pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi.
Se si considera infatti che, in base alla giurisprudenza, la disponibilità provvisoria di un alloggio demaniale di servizio è assimilabile ad un rapporto di locazione (cfr. T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 07 settembre 2010, n. 5698) deve di conseguenza ritenersi che, in applicazione della succitata norma, il diritto dell’Amministrazione alla percezione dei canoni anteriori al 7 aprile 2004 sia ormai prescritto.
3.2. I ricorrenti deducono inoltre che se dovesse ritenersi che le somme pretese dall’Agenzia del Demanio fossero comprensive di oneri accessori, il termine prescrizionale sarebbe addirittura di soli due anni ex art. 6, ultimo comma, della legge n. 841/73.
La doglianza, oltre a presentare profili di inammissibilità, data la sua formulazione ipotetica, è, al di là di ogni altra valutazione, anche infondata in quanto basata su una allegazione di fatti (la pretesa di pagamento di oneri accessori) del tutto indimostrata.
4. Con ulteriore doglianza i ricorrenti censurano i provvedimenti impugnati nella parte in cui, con riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. n. 314/2006 (regolamento che ha disciplinato specificamente i criteri di calcolo del canone per le concessioni in uso degli alloggi di servizio assegnati al personale dell’Amministrazione penitenziaria), determinano il canone di concessione degli alloggi assumendo a parametro di calcolo il valore di mercato degli stessi.
I ricorrenti propongono tre diverse modalità di calcolo a loro più favorevoli.
In via principale affermano che, nonostante il succitato d.P.R. non fosse ancora entrato in vigore, avrebbe comunque dovuto trovare applicazione il metodo di calcolo in esso previsto in quanto già contenuto in una bozza di regolamento risalente all’anno 2002, e richiamato dalle parti nel verbale di consegna degli alloggi del 14 gennaio 2003.
In subordine chiedono che venga applicato per analogia il decreto interministeriale n. 68/98, regolante i criteri per la determinazione del canone di concessione degli alloggi di servizio delle Forze di Polizia.
In ulteriore subordine chiedono che venga applicato il criterio dell’equo canone di cui alla legge 392/78, richiamato dall’art. 23 della legge n. 146/98.
4.1. In proposito il Collegio osserva quanto segue.
Con riferimento al primo dei criteri proposti, al di là di ogni altra considerazione, va rilevato che dal verbale di consegna del 13 gennaio 2003 non risulta affatto che le parti avessero raggiunto un accordo in ordine alle modalità di quantificazione del canone di concessione. In detto verbale si legge semplicemente che "in risposta ad una richiesta degli interessati la Commissione comunica che il (…) canone (…) sarà fissato dall’Agenzia del Demanio (…) sulla base di parametri e criteri di carattere tecnico economico previsti dalla normativa vigente in materia". La frase si conclude poi con il rimando ad un imprecisato "art. 9 del regolamento" che, in ragione della sua genericità, prima ancora che essere inidoneo a costituire fonte di accordo, non consente neppure di comprendere quale sia il criterio di calcolo cui la stessa Commissione ha inteso far riferimento.
4.2. In subordine i ricorrenti chiedono che venga applicato il decreto interministeriale n. 68/98.
Ma tale decreto non può essere applicato in quanto, per il periodo anteriore all’entrata in vigore del regolamento n. 314/2006, deve trovare applicazione la disposizione normativa di rango primario, avente carattere generale, contenuta nell’art. 23 della legge 8 maggio 1998 n. 146, in base al quale "A decorrere dal 1° gennaio 1994, il rapporto di locazione avente ad oggetto gli immobili del demanio e del patrimonio dello Stato destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici è disciplinato dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni".
4.3. Ciò premesso – e qui si viene all’esame del terzo criterio proposto dai ricorrenti – occorre considerare se il rinvio operato alla legge n. 392/78 sia di tipo dinamico ovvero di tipo materiale atteso che, nella prima ipotesi, dovrebbero trovare applicazione nel caso di specie le norme sull’equo canone, contenute nella citata legge n. 378/92; mentre, nella seconda ipotesi, a tali disposizioni non potrebbe più farsi riferimento in quanto abrogate dalla successiva legge n. 431/98.
Ritiene il Collegio che sia corretta la prima opzione.
Va invero considerato che l’assegnazione di un alloggio di servizio ad un dipendente pubblico non è funzionale solo al soddisfacimento dell’interesse abitativo che fa capo a quest’ultimo, ma risponde anche ad esigenze di interesse pubblico, giacché l’Amministrazione, mediante l’assegnazione, persegue il fine di agevolare lo svolgimento delle mansioni del dipendente e di assicurarne una maggiore presenza e una migliore reperibilità nel luogo di prestazione dell’attività lavorativa (cfr. Cass. Civ, sez. un., n.. 10870/2008 cit.).
E’ emblematico in proposito proprio il caso degli agenti di polizia penitenziaria, posto che risponde ad un preminente interesse dell’Amministrazione assicurare la costante presenza all’interno o in prossimità dell’istituto di pena – anche al di fuori dell’orario di servizio – di una parte del personale di polizia.
Ed è per questa ragione che il legislatore ha sempre sentito l’esigenza di dettare norme di favore circa l’entità del canone d’uso degli alloggi di servizio (da ultimo ad esempio proprio con il d.P.R. n. 314/2006).
Ciò premesso va osservato che con l’art. 23 della legge n. 146/98 si è inteso uniformare il trattamento di favore riservato per la generalità dei conduttori di immobili ad uso abitativo, prevedendo che anche i dipendenti pubblici, cui fossero assegnati alloggi per ragioni di servizio, beneficiassero dell’istituto dell’equo canone.
Successivamente, il legislatore, con la legge n. 431/98, ha abrogato le norme della legge n. 392/78 riguardanti l’equo canone; e l’Amministrazione ne ha tratto la conseguenza (qualificando dinamico il rinvio operato a quest’ultima legge) che per il calcolo del canone dovesse assumersi a parametro il valore di mercato degli alloggi da assegnare.
Deve al contrario osservarsi che la legge n. 431/98 ha carattere generale: il legislatore l’ha emanata in quanto ha ritenuto che le mutate esigenze abitative, espresse in ambito nazionale, non fossero più tanto gravi da giustificare l’esistenza di una legge che imponesse in via generale canoni di locazione calmierati.
La legge n. 431/98 non prende quindi in considerazione gli specifici interessi sottesi ai rapporti che si instaurano fra le amministrazioni pubbliche ed i propri dipendenti allorquando vengono a questi assegnati alloggi di servizio.
Tali interessi – che, come detto, spingono comunque, al di là delle esigenze abitative generali espresse dal Paese, alla previsione di canoni calmierati per il godimento di alloggi di servizio – fondano invece l’art. 23 della legge n. 146/98; con la conseguenza che il trattamento di favore da essa introdotto, tramite il rinvio alla legge n. 392/78, non può ritenersi venuto meno dopo l’abrogazione delle disposizioni contenute in quest’ultima legge.
Il riferimento alle "successive modificazioni ed integrazioni" contenuto nel ridetto articolo 23, va dunque letto nel senso che il legislatore ha inteso con esso dar rilievo alle norme che appunto avessero nel tempo integrato e modificato il trattamento di favore, ma non anche a quelle norme che ne avessero invece disposto la soppressione.
In conclusione del ragionamento svolto, va affermato che, nel caso concreto, per il periodo anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. n. 314/2006, il criterio di calcolo dei canoni di concessione deve esser quello di cui alle disposizioni sull’equo canone contenute nella legge n. 392/78, cui fa rinvio l’art. 23 della legge n. 146/98.
5. Con il secondo motivo, i ricorrenti sollevano censure relative al calcolo del canone di concessione per il periodo successivo all’entrata in vigore del d.P.R. n. 314/2006 che, come visto, ha introdotto nuove norme disciplinanti i criteri di calcolo del canone connesso alle concessioni in uso degli alloggi di servizio assegnati al personale dell’Amministrazione penitenziaria.
5.1. Innanzitutto rilevano i ricorrenti che il decreto sarebbe entrato in vigore dal giorno 1 marzo 2006, sicché erroneamente l’Amministrazione avrebbe fatto applicazione dei criteri da esso previsti solo per il periodo successivo al 13 marzo 2006.
Il rilevo è fondato posto che il succitato decreto è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 14 febbraio 2006, e che quindi il periodo di vacatio legis è venuto a scadenza il giorno 28 febbraio 2006.
5.2. In secondo luogo si evidenzia che l’Amministrazione avrebbe calcolato il canone assumendo che la superficie degli appartamenti fosse di mq. 166, e non di mq. 135,80 come in realtà dovrebbe essere.
Il rilevo è infondato in punto di fatto, atteso che dalla scheda di valutazione tecnico – estimativa afferente al periodo successivo all’entrata in vigore del d.P.R. n. 314/06, depositata in giudizio dalla difesa erariale, emerge che l’Agenzia del Demanio ha calcolato l’importo del canone assumendo a riferimento una superficie complessiva di 133,34 mq., addirittura inferiore rispetto a quella indicata dagli interessati.
5.3. Infine i ricorrenti sostengono che, per il calcolo del canone, l’Amministrazione avrebbe dovuto applicare i coefficienti di abbattimento previsti dall’art. 10 del d.P.R. n. 314/06, e precisamente: a) 0,90 in quanto gli alloggi si troverebbero in zona agricola; b) 0,80 in quanto gli alloggi verserebbero in stato di conservazione mediocre; c) 0,50 in quanto gli alloggi sarebbero siti nell’area di pertinenza dell’istituto penitenziario.
Per ciò che concerne il primo coefficiente, il rilevo è infondato in quanto gli alloggi sono ubicati nella Città di Milano in area, secondo quanto risulta dalla stessa perizia depositata dai ricorrenti in giudizio, non classificata come agricola.
Anche il secondo coefficiente non può trovare applicazione, giacché dai verbali di consegna sottoscritti dagli stessi ricorrenti risulta che gli appartamenti si trovavano, all’epoca della consegna appunto, in buono stato di conservazione.
Va invece applicato il terzo coefficiente in quanto, contrariamente a quanto afferma l’Amministrazione nelle proprie difese, esso non presuppone che l’alloggio costituisca pertinenza del carcere ai sensi dell’art. 817 del codice civile, ma semplicemente che, in base all’art. 10, comma 13, del d.P.R. n. 314/06, esso sia situato sull’area di pertinenza dell’istituto penitenziario; e dalla scheda di valutazione tecnico – estimativa, depositata in giudizio dall’Amministrazione stessa, risulta che gli alloggi di cui è causa sono situati "…all’interno del Carcere di Bollate del Comune di Milano". Non rileva, in contrario, la circostanza dedotta dalla difesa erariale, in quanto la presenza di un accesso al complesso residenziale autonomo rispetto a quello principale alla casa di reclusione, non elimina il fatto che le palazzine sono inserite all’interno del perimetro recintato dell’area penitenziaria.
Per queste ragioni il motivo è parzialmente fondato.
6. In conclusione il ricorso deve essere accolto nelle parti sopra precisate e per l’effetto va disposto l’annullamento degli atti impugnati, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di procedere ad una nuova determinazione dei canoni di concessione attenendosi alle prescrizioni sopra indicate.
7. Può essere disposta la compensazione delle spese in ragione della relativa complessità delle questioni affrontate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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