T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 11-03-2011, n. 714

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso depositato il giorno 23 novembre 2010, il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe con il quale è stato disposto nei suoi confronti il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono competizioni sportive ed ha chiesto al Tribunale di disporne l’annullamento, previa sospensione incidentale, deducendo i vizi di violazione di legge, in relazione all’art. 6 della legge 1989 n. 401.

Si è costituito in giudizio il MINISTERO DELL’INTERNO, chiedendo il rigetto del ricorso.

Disposto, nei confronti dell’amministrazione resistente, l’ordine di depositare il fascicolo fotografico citato nella nota della Questura di Milano (depositata in atti il 24 novembre 2010), la causa è stata discussa all’odierna udienza camerale del 2 marzo 2010.

2. Preliminarmente, ritiene il Collegio che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte dal Presidente del Collegio di tale eventualità.

3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

In via pregiudiziale, è utile premettere (stante le deduzioni svolte sul punto dal difensore dell’istante) che il provvedimento di divieto di accesso, ancorché spesso adottato unitamente e magari in un unico contesto, con quello che impone a detti soggetti di comparire in determinati giorni e orari presso l’ufficio di polizia indicato, è da esso nettamente distinto, in quanto incide sulla sola libertà di circolazione, la quale può essere limitata dalla p.a. per motivi di sicurezza, realizzando i suoi fini senza essere, come l’altro, che incide invece sulla libertà personale, soggetto a convalida dell’autorità giudiziaria, onde la sua impugnazione è soggetta alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, che è l’unico che può sindacare un provvedimento amministrativo autoritativo, con finalità cautelari (cfr., da ultimo, TAR Friuli Venezia Giulia, 2 marzo 2005, n. 80; TAR Toscana, I, 8 novembre 2004, n. 5479; TAR Veneto, III, 30 agosto 2004, n. 3087).

Passiamo ora al merito delle censure.

4. Il provvedimento impugnato si fonda sulla seguente circostanza: il ricorrente è stato indagato in stato di libertà in quanto, in occasione dell’incontro di calcio tra le squadre dell’Inter e della Roma, valevole per la supercoppa italiana disputatasi presso lo stadio Meazza di Milano il 21 agosto 2010, durante la seconda frazione di gioco, mentre insieme ad altri tifosi romanisti si trovava nel secondo anello blu dello stadio, come rilevato dai filmati dell’impianto di videosorveglianza, si è reso responsabile del lancio di fumogeni, artifizi pirici ed altri oggetti pericolosi, sia sul terreno di gioco, sia verso i settori sottostanti ed adiacenti, rendendo necessaria la sospensione della partita per quattro minuti.

4.1. Osserva il Collegio, il fatto contestato al ricorrente (descritto nella parte motiva del provvedimento) rientra con tutta evidenza quantomeno nella fattispecie di cui all’articolo 6 ter della legge 401/1989 relativo al possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive (secondo cui: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, venga trovato in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali e petardi ovvero di altri strumenti per l’emissione di fumo o gas visibile, è punito con l’arresto da tre a diciotto mesi e con l’ammenda da 150 euro a 500 euro"). Si tratta di una norma punitiva con la quale il legislatore ha inteso arretrare la soglia di punibilità allo stadio del mero pericolo astratto integrato dal solo fatto di trovarsi l’agente in luoghi estremamente affollati in possesso (inteso qui non nella sua accezione civilistica ma, in senso lato, come qualunque condotta di volontaria apprensione) di strumenti che emettono fumo o gas visibile, prescindendo (salvo il ricorrere di una scriminante) dalla finalità specifica ed ulteriore per cui si tiene la condotta.

4.2. A seguito dell’entrata in vigore del d.l. 8 febbraio 2007 n. 8 (convertito in legge 4 aprile 2007 n. 41, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive), tale condotta figura, in astratto, tra i presupposti applicativi del provvedimento interdittivo (l’articolo 6, comma 1, della legge 401/1989) che, difatti, prevede la sanzione del divieto di accesso: "nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui……. all’articolo 6bis, commi 1 e 2, e all’articolo 6ter" (cfr. l’articolo 2 del predetto d.l. n. 8).

4.3. Orbene, la difesa del ricorrente, incentrata sul negare in modo assoluto di essersi mai reso responsabile di reati o comportamenti pericolosi il giorno in cui si è disputata la predetta partita di calcio "InternazionaleRoma" e neppure di avere nella circostanza mai acceso o lanciato alcunché, reputando che il travisamento del fatto censurato dovrebbe portare all’annullamento del provvedimento del Questore, si appalesa inconferente. Come è reso palese dalla piana lettura della norma, il potere di irrogare il provvedimento interdittivo è correlato, nella descritta fattispecie, al mero presupposto di essere stato il soggetto passivo deferito all’autorità giudiziaria (circostanza, nella specie, comprovata dalla notizia di reato allegata tra i documenti depositati dall’amministrazione).

5. E’ parzialmente condivisibile, invece, la censura secondo cui il provvedimento impugnato individuerebbe con eccessiva genericità i limiti spaziali della interdizione. In particolare, il Collegio ritiene che, con riguardo alle città diverse da Milano (per la quale vi è una dettagliata esemplificazione delle strade), l’interdizione del Questore individui i limiti del divieto di accesso a manifestazioni sportive in modo talmente ampio e generalizzato da porsi in contrasto con l’art. 6 della legge 1989 n. 401, nella parte in cui prescrive che tale divieto va riferito a "manifestazioni sportive specificamente indicate", nonché ai luoghi "specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime". Difatti, il provvedimento impugnato (con riguardo, si ripete, alle città diverse da Milano), senza alcuna specificazione del precetto, estende genericamente il divieto al transito "nelle vicinanze dei predetti impianti sportivi". Con tutta evidenza, la prescritta limitazione all’accesso nei luoghi "specificamente indicati" non emerge dal provvedimento impugnato che, anziché individuare in modo sufficientemente preciso i limiti spaziali del divieto, contiene una mera parafrasi del dato normativo.

In definitiva, nei predetti limiti, la genericità della individuazione delle manifestazioni e dei luoghi cui si riferisce il divieto comporta, in violazione dell’art. 6 della legge 1989 n. 401, un’ingiustificata compressione della libertà di circolazione sancita dall’art. 16 Cost. (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 03 febbraio 2006, n. 207; T.A.R. Trentino Alto Adige Bolzano, 21 agosto 2006, n. 341; T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 28 luglio 2005, n. 2660; Tar Veneto Venezia sez. III, 16 gennaio 2002 n. 2741), con conseguente fondatezza del motivo in esame.

6. Con altro motivo di censura il ricorrente si duole del fatto che il Questore di Milano abbia deciso di applicare l’interdizione per il periodo massimo di cinque anni e non in misura inferiore, senza che il provvedimento motivi alcunché sulle ragioni di tale severità.

La doglianza è fondata. Giova ricordare che, nell’ambito del diritto pubblico, il principio di proporzionalità investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino ed assume nell’ordinamento interno lo stesso significato che ha nell’ordinamento comunitario alla luce della clausola di formale recezione ex art. 1, comma 1, l. n. 241 del 1990, come novellato dalla l. n. 15 del 2005. Esso, si articola in tre distinti profili: a) idoneità del mezzo impiegato rispetto all’obiettivo perseguito; b) necessarietà, ovvero assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo che comporti il minor sacrificio al privato; c) adeguatezza dell’esercizio del potere rispetto agli interessi in gioco (ex plurimis, Consiglio Stato, sez. VI, 17 aprile 2007, n. 1736). Tanto premesso, il provvedimento impugnato risulta sproporzionato nella misura in cui non evidenzia per nulla tutti i fatti rilevanti al fine di delibare l’irrogazione del periodo massimo di sospensione, sebbene il ricorrente abbia solo 15 anni, sia incensurato e non abbia carichi pendenti.

7. Il ricorrente invoca l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 l. 13 dicembre 1989 n. 401 per contrasto con gli articoli 2, 3 e 31, II comma, della Costituzione, laddove prevede la possibilità di applicare una misura di prevenzione al minore di età; si aggiunge che tale misura non avrebbe contenuto rieducativo, non verrebbe garantito il diritto del minorenne ad essere protetto attraverso istituti dedicati a tale scopo impedendo di fatto il suo pieno sviluppo.

7.1. La questione è manifestamente infondata, oltre che per la estrema genericità e non consequenzialità degli argomenti addotti, sol che si abbia riguardo al fatto che il minore di età (non infraquattordicenne, quale il ricorrente) è soggetto passivo delle norme penali e, pertanto, a maggior ragione è passibile di misure interdittive di rango amministrativo; nonché alla circostanza che l’inibizione del minore, nel caso che ci occupa, è volto alla tutela anche della sua incolumità personale, evitando che lo stesso sia coinvolto in situazioni di pericolo che l’esperienza empirica dimostra essere tutt’altro che eventuali.

8. Il ricorrente invoca, da ultimo, l’illegittimità costituzionale della predetta norma nella parte in cui consente di estendere il provvedimento anche alle manifestazioni sportive che si svolgono all’estero (a seguito della novella di cui al d.l. 18 agosto 2005 n. 162). Secondo il ricorrente tale norma si porrebbe in contrasto con il principio per cui la legge italiana opera sul territorio nazionale, rimarcando come non sia possibile consentire al Questore di limitare la libertà di circolazione del cittadino italiano in territorio estero. Ci sarebbe dunque un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione violato sotto il profilo della ragionevolezza, e con l’articolo 10 della Costituzione, in quanto verrebbero, per tale via, svilite le norme del diritto internazionale che prevedono la territorialità delle leggi.

8.1. La questione è manifestamente infondata, oltre che (anche qui) per la estrema genericità e non consequenzialità degli argomenti addotti, considerato che non sussiste un principio di diritto internazionale che imponga la "territorialità" delle leggi; lo stesso codice penale contempla delitti politici commessi all’estero (art. 8); delitto comune del cittadino all’estero (art. 9), delitto comune dello straniero all’estero (art. 10); reati commessi all’estero (art. 7), fermo restando ovviamente che la potestà coercitiva dello Stato può manifestarsi nei limiti del territorio su cui "insista" la sua sovranità (ma, come si vede, si tratta di questione ben diversa). Ciò senza invocare il principio di mutuo riconoscimento di provvedimenti di polizia che può essere contemplato dai Trattati internazionali o all’interno di ordinamenti sovranazionali (come l’Unione Europea).

9. Il provvedimento, dunque, deve essere annullato relativamente ai profili sopra esposti (punti 5 e 6). Resta salva per l’Autorità la possibilità di esercitare nuovamente il suo potere, conformandosi questa volta alle indicazioni contenute nella presente pronuncia.

10. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese di lite tra le parti, atteso l’accoglimento parziale del ricorso.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto;

ACCOGLIE il ricorso nei sensi indicati in motivazione e COMPENSA interamente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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