Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-02-2011) 16-03-2011, n. 10729 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 13.9.10 il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, confermava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, disposto con decreto del 1.7.10 dal GIP dello stesso Tribunale, di beni immobili, mobili registrati e quote sociali intestati a I.F. (indagato in ordine al delitto p. e p. ex art. 416 bis c.p. con riferimento all’associazione camorristica denominata clan Moccia, radicata in Afragola e Comuni limitrofi) nonchè a sua figlia A. e a sua moglie M. T.. Annullava, invece, il decreto di sequestro relativo alla quota di 1/3 di un appartamento e di un box siti in (OMISSIS), di un appartamento sito in (OMISSIS) e di un altro appartamento sito in (OMISSIS), disponendone la restituzione agli aventi diritto. Dichiarava, infine, inammissibile l’istanza di riesame relativamente alle quote sociali e all’intero patrimonio aziendale della Italian Coffee S.r.l., all’autocarro Volkswagen tg. (OMISSIS) e al c/c n. (OMISSIS) intestato alla predetta società presso la filiale (OMISSIS) della Banca Popolare di Novara.

Tramite il proprio difensore lo I. ricorreva contro la summenzionata ordinanza, di cui chiedeva l’annullamento per un solo articolato motivo con cui deduceva mancanza di motivazione sulla ritenuta interposizione fittizia, in ordine al sequestro di beni di M.T. e I.A., sul fumus commissi delicti (da intendersi come probabilità che si pervenga ad una sentenza di condanna e non già come mera notitia criminis) nonchè sull’asserita sproporzione del valore dei beni sequestrati rispetto al reddito dichiarato al momento dei singoli acquisti, nonostante la documentazione prodotta per comprovarne la legittimità. In particolare, deduceva il ricorso che fin dal 1988 M.T. percepiva redditi da terreni e fabbricati proporzionati al valore dei beni sequestrati, il cui acquisto era assai probabilmente avvenuto in epoca anteriore a quella oggetto della contestazione elevata a carico del marito (dal 2004 in poi). Quanto all’appartamento e al negozio siti in (OMISSIS) e intestati al ricorrente, doveva ritenersi che in sostanza essi fossero stati acquistati unitamente e lecitamente dai due coniugi, considerato che nel 2004 lo I. aveva dichiarato redditi da fabbricati pari ad Euro 18.522,00, che la famiglia I. viveva in un appartamento in proprietà e che fino al 2010 il ricorrente svolgeva attività lavorativa. Inoltre, egli era socio della Italian Coffee S.r.l., società operante nel settore nel commercio al dettaglio e all’ingrosso di generi alimentari e costituita nel 2002, quindi prima dei fatti addebitati all’indagato.

Quanto all’autorimessa intestata a I.A., la stessa era stata acquistata il 24.4.09 per Euro 10.000,00 a fronte di redditi della madre e del padre pari, sempre nel 2009, rispettivamente ad Euro 40.090,00 e 45.389,00.

Inoltre, il 19.12.08 la società INA ASSITALIA aveva versato Euro 25.000,00 alla M. a titolo di liquidazione di una polizza, importo che, contrariamente a quanto asserito dalla gravata pronuncia, era stato formato con i – compatibili – redditi dichiarati tra il 2004 e il 2008 dalla M. medesima.

Da ultimo, i giudici del riesame non avevano motivato alcunchè – nè in merito al fumus commissi delicti nè in ordine al periculum in mora – circa il sequestro del c/c n. (OMISSIS) presso la filiale di (OMISSIS) della Cariparma Credit Agricol intestato al ricorrente e a sua moglie, così come nulla avevano spiegato in relazione ad altri c/c intestati alla M. (uno dei quali cointestato a sua zia M.G.).

In sintesi – lamentava il ricorrente – l’impugnata ordinanza non aveva motivato sul fumus commissi delicti, sul periculum in mora e sulla sproporzione fra valore dei beni e redditi o attività economiche, sproporzione da valutarsi non al momento dell’applicazione della misura, bensì a quello dei singoli acquisti.

1- In primo luogo va rilevata l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ad impugnare riguardo a tutti i beni intestati a M.T., M.G. e I.A., il che assorbe ogni considerazione svolta in ricorso circa la ritenuta fittizia interposizione soggettiva di beni di fatto appartenenti all’indagato, atteso che, una volta che costui adduca la genuinità dell’intestazione dei beni medesimi, legittimati a ricorrere sono solo i predetti suoi familiari.

Dunque, residuano – al netto dei beni per cui è stato già disposto il dissequestro, di quelli intestati ai familiari di cui sopra e di quelli per cui l’impugnata ordinanza ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza del riesame visto il disinteresse verso il loro sequestro manifestato dal ricorrente medesimo – soltanto l’appartamento e il negozio siti in (OMISSIS), entrambi in via (OMISSIS) (intestati allo I. ma che, a suo dire, devono ritenersi in sostanza acquistati unitamente alla moglie), nonchè il c/c n. (OMISSIS) presso la filiale di (OMISSIS) della Cariparma Credit Agricol intestato al ricorrente e alla consorte.

Ciò premesso, quanto al fumus commissi delicti la gravata ordinanza ha motivato per relationem esplicitamente rinviando all’o.c.c. emesso a carico dello I. e alla relativa ordinanza di conferma pronunciata dal Tribunale del riesame, motivazione perfettamente consentita allorquando – come avvenuto nel caso di specie – svolga una funzione integrativa di un provvedimento già conosciuto o conoscibile dalla parte (cfr. Cass. Sez. 5^ n. 11191 del 12.2.2002, dep. 19.3.2002: nella specie, si trattava di ordinanze genetiche e di riesame emesse proprio nei confronti dello I.). Nè tale motivazione per relationem è servita ad aggirare l’obbligo di rispondere a censure il cui esatto tenore il ricorrente non allega.

Nè a tale lacuna si potrebbe, in ipotesi, ovviare mediante rinvio a motivi di richiesta di riesame di cui però non si indica neppure in modo sommario il contenuto, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni eventualmente irrisolte o malamente risolte su cui si solleciti il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6^ n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2^ n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5^ n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’11.11.94, dep. 11.2.95).

In ordine, poi, al periculum in mora, per consolidata giurisprudenza (cfr. Cass. S.U. n. 920 del 17.12.03, dep. 19.1.04, Montella, seguita da conformi arresti: v. altresì, più di recente, Cass. Sez. 1^ n. 19516 del 1.4.10, dep. 24.5.10, Barilari) esso coincide, nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui alla L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, con la confiscabilità del bene ovvero con la presenza di seri indizi delle condizioni che legittimano la misura ablativa, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi.

Nel caso di specie, premesso che sui beni sequestrati vi è doppia pronuncia conforme del GIP e del Tribunale in sede di riesame, deve darsi atto che i giudici del merito hanno motivato la sproporzione del valore dei beni rispetto ai redditi dello I., di sua moglie e della loro figliola.

Nello specifico, l’impugnata ordinanza ha evidenziato che costoro non hanno mai svolto attività lavorativa e che i redditi derivati alla M. da fabbricati, da terreni e da partecipazioni, al lordo di imposte e di spese per il normale sostentamento familiare, ammontavano dal 1998 al 2005 a poco più di 40.000,00, importo – questo – largamente insufficiente a consentire addirittura l’acquisto di svariati beni immobili.

Nè oggi può ipotizzarsi l’astratta possibilità di acquisti, previa stipula d’un mutuo, di beni poi messi a reddito per poter pagare le rate del mutuo medesimo, trattandosi di ipotesi alternativa incidente sul piano della motivazione e verificabile in sede di merito, non di legittimità (essendo i provvedimenti di sequestro suscettibili di ricorso per cassazione solo per violazione di legge: v. meglio infra).

Il Tribunale ha, poi, correttamente osservato che l’importo di Euro 25.000,00 versato il 19.12.08 alla M. dalla società INA ASSITALIA a titolo di liquidazione di una polizza ad ogni modo lasciava senza risposta la domanda sulla provenienza della provvista necessaria a siffatto investimento. L’assunto del ricorrente – secondo il quale sarebbero stati sufficienti alla provvista i redditi dichiarati tra il 2004 e il 2008 dalla M. medesima – importa soltanto un diverso apprezzamento di merito, precluso innanzi a questa S.C..

E ancora: richiederebbe un approccio diretto agli atti, precluso in sede di legittimità, la verifica delle affermazioni del ricorrente circa lo svolgimento, da parte sua, di attività lavorativa.

Nè – per altro – potrebbe parlarsi di travisamento della prova, anch’esso incompatibile con il ricorso per cassazione avverso provvedimenti di sequestro, oltre che nemmeno ritualmente dedotto nel caso di specie, giacchè a tal fine la parte deve necessariamente trascrivere il verbale di prova od allegarne in copia il documento in cui è consacrata, evidenziando l’esatto passaggio in cui si annida il vizio: diversamente, il ricorso non è autosufficiente (cfr., da ultimo, Cass. Sez. F n. 32362 del 19.8.10, dep. 26.8.10).

Del pari infondate sono le doglianze relative al parametro temporale di riferimento.

Invero, l’impugnata ordinanza ha fatto corretta applicazione dei parametri cronologici del confronto tra beni e fonti di reddito, conformemente al principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, la necessaria valutazione della sproporzione tra i beni oggetto della misura cautelare e la situazione reddituale dell’interessato deve essere condotta avendo riguardo al reddito dichiarato o alle attività economiche esercitate non al momento dell’applicazione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio del soggetto e neppure al tempo delle condotte delittuose ascritte all’indagato, bensì a quello dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, tenuto presente – altresì – che a sua volta la giustificazione credibile deve consistere nella prova positiva della lecita provenienza dei beni e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato (cfr. Cass. S.U. n. 920 del 17.12.03, dep. 19.1.04; conf. Cass. Sez. 6^ n. 5452 del 12.1.10, dep. 11.2.10; Cass. Sez. 6^ n. 721 del 26.9.06, dep. 16.1.07).

Tale prova positiva i giudici del merito non hanno ravvisato, dopo aver esaminato quali erano le fonti di reddito non solo dello I., ma anche di sua moglie, all’epoca degli acquisti, concludendo che i documenti in atti non dimostravano proporzionali leciti introiti.

Nè gioverebbe all’odierno ricorrente l’ipotesi che, a parte i redditi dichiarati, egli e/o il nucleo familiare possano aver goduto di ulteriori introiti comunque derivanti da attività lecite: in primo luogo, è noto che l’ipotesi alternativa, come non è sufficiente a rappresentare una manifesta illogicità argomentativa denunciabile ex art. 606 c.p.p. (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr. Cass. Sez. 1^ n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. 1^ n. 1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. 1^ n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass. Sez. 1^ n. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. 1^ n. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97;

Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96; Cass. Sez. 1^ n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre), così – a fortiori – non può segnalare un’assoluta carenza argomentativa spendibile per cassazione contro un provvedimento di sequestro.

In secondo luogo, i parametri legislativi per valutare la legittima provenienza di beni nell’ottica del cit. art. 12 sexies consistono nella sproporzione esistente tra il loro valore e il reddito dichiarato dall’interessato ai fini delle imposte sul reddito oppure nello squilibrio esistente tra detto valore e l’attività economica svolta dal medesimo. Si tratta di parametri non concorrenti, ma alternativi, di guisa che per valutare tale sproporzione il giudice prende in esame uno soltanto di essi, senza dover passare ad ulteriore valutazione con l’altro parametro una volta che abbia già constatato la sproporzione tra il valore dei beni e il parametro originariamente prescelto (cfr. Cass. Sez. 1^ n. 5202 del 14.10.96, dep. 26.10.96; Cass. Sez. 1^ n. 2860 del 10.6.94, dep. 23.8.94).

Per quel che concerne, poi, lo specifico della lamentata omessa motivazione del sequestro del c/c n. (OMISSIS) presso la filiale di (OMISSIS) della Cariparma Credit Agricol intestato al ricorrente e a sua moglie, si noti che in virtù del requisito dell’autosufficienza del ricorso non basta dedurre tale omissione se non accompagnata dall’esposizione delle doglianze che sarebbero state avanzate in sede di riesame e che sarebbero state trascurate dal Tribunale.

Per il resto, l’impugnazione sostanzialmente si duole di un’inadeguata disamina delle ragioni difensive, che reitera con richiami ai documenti prodotti: si tratta di censure non consentite in questa sede, noto essendo – per cosante insegnamento di questa S.C. – che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge.

E’ pur vero che in tale nozione vanno compresi (oltre agli errores in iudicando o in procedendo) anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del rutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass. S.U. n. 25932 del 29.5.2008, dep. 26.6.2008; Cass. S.U. n. 5876 del 28.1.2004, dep. 13.2.2004).

Ma nel caso di specie non può certo dirsi che la motivazione dell’impugnata ordinanza sia radicalmente priva d’un minimo percorso argomentativo.

6. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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