Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10988 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5.7.2010, la Corte d’appello di Genova confermava la sentenza di condanna di P.C. per i reati di cui agli artt. 423 e 635 c.p. che aveva pronunciato il Tribunale di Genova il 28.10.2009, alla pena di anni due e giorni quindici di reclusione.

Pacifico veniva ritenuto il dato che si sviluppò un incendio presso l’abitazione dell’imputato, il giorno 10.9.2003 e che il medesimo fu visto fuggire seminudo dall’appartamento in fiamme. Con una doppia sentenza conforme la riportabilità del fatto al P., – da qualificare in termini di incendio per le proporzioni assunte -, veniva fatta discendere dal testimoniale escusso e soprattutto dal fatto che l’imputato al momento dell’occorso, aveva da poco avuto una lite con la fidanzata, che io aveva lasciato da solo in casa. La natura dolosa dell’atto veniva poi desunta, oltre che dalle dichiarazioni della fidanzata che aveva riferito che i genitori dell’imputato le avevano detto che il figlio aveva incendiato la casa, dal fatto che non emersero problemi tecnici quali corto circuito o quant’altro in grado di determinare autonomamente lo sviluppo del fuoco e che il punto d’innesco dell’incendio fu l’angolo anteriore sinistro della cucina, dove erano state rilevate dalla polizia scientifica della masserizie bruciate, segno che il fuoco era stato appiccato ad oggetti infiammabili.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa per dolersi, con unico motivo, della mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e):

sarebbe illogica la motivazione con cui è stato attribuito all’imputato il dolo di incendio, poichè se l’assenza di corto circuito può al più riportare al P. l’evento, non consente però di affermare che la condotta sia stata dolosa piuttosto che colposa, nemmeno considerando la dichiarazione della fidanzata su quanto avrebbero a lei riferito i genitori del P., che costituisce una testimonianza de relato su circostanze riferite da persone che non assistettero ai fatti. Nè sarebbero stringenti la circostanza che l’imputato fosse solo al momento dell’accaduto nell’appartamento ed il dato che egli ne sia fuggito precipitosamente, poichè ciò starebbe solo a significare che venne sorpreso dall’incendio.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi posti a sostegno dell’impugnazione non denunciano vizi di legittimità, ma si risolvono in censure scarsamente specifiche e concernenti il merito dell’impugnata sentenza. La corte territoriale ha congruamente motivato quanto alla natura del reato e quanto alla riportabilità dello stesso all’imputato, ancorando la motivazione a dati di fatto incontestabili, quali la mancanza di corto circuito o di altra causa di sviluppo di incendio, la presenza di masserizie accumulate in un punto dell’appartamento in questione che funse da innesco, la accertata fuga dall’appartamento dell’imputato a torso nudo non appena le fiamme cominciarono a svilupparsi, la accertata situazione di disadattamento in cui versava l’imputato, a seguito di intervenuta lite con la fidanzata, poco prima dell’insorgere dell’incendio. La motivazione ha correttamente collegato dette emergenze, desumendo, senza salti logici, nè forzature di pensiero, che il P. nutrì una volontà incendiaria ed attuò il suo proposito, realizzando un vero e proprio incendio per la diffusività e le proporzioni assunte dal fuoco. Nessuno spunto ricorre per poter ipotizzare che si sia trattato di una condotta di natura colposa: i giudici di merito non hanno correttamente preso in considerazione una simile eventualità, perchè sfornita di adeguato supporto nelle emergenze disponibili, cosicchè nessun rilievo in termini di insufficienza può essere mosso al riguardo alla sentenza impugnata.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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