Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10695 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19 aprile 2010, la Corte di appello di Salerno, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Salerno, in data 24/11/2009, che aveva condannato M.L. (assieme alla coimputata R.M.) rideterminava alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa per il reato di concorso in rapina aggravata.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato personalmente sollevando tre motivi di gravame con i quali deduce:

1) Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata qualificazione del fatto come furto anzichè rapina ed alla qualificazione del fatto come rapina consumata anzichè tentata.

Al riguardo eccepisce che l’impossessamento di una confezione di penne non poteva essere qualificato come rapina in quanto la violenza contro la persona era cessata. Tale violenza, peraltro, era destinata all’impossessamento del denaro, non essendosi verificato l’evento, il fatto andava qualificato come tentativo di rapina;

2) Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’istituto della desistenza volontaria e dell’attenuante ex art. 114 c.p.;

3) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, vizio della motivazione sul punto, inutilizzabilità dell’atto di ricognizione della persona offesa per aver precedentemente individuato il presunto imputato nella stazione dei Carabinieri.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

Per quanto riguarda le censure sollevate con i primi due motivi, occorre rilevare, in punto di diritto, che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, semprechè tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud.

22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.

Sotto il profilo del diritto le eccezioni sollevate dal ricorrente sono inammissibili perchè postulano una rilettura del fatto. In particolare la scissione della condotta dell’agente in due fasi, una volta a realizzare un tentativo di rapina per quanto concerne il denaro, non punibile per desistenza volontaria, ed un’altra fase in cui si sarebbe realizzato il furto di una confezione di penne, comporta un accertamento di circostanze di fatto che non può essere espletato in sede di legittimità e presuppone un inammissibile intervento in sovrapposizione argomentativa di questa Corte rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici del merito.

Ugualmente inammissibile è il terzo motivo, in quanto le questioni sollevate in ordine alle modalità con cui è stato effettuato il riconoscimento della persona offesa, non fanno emergere profili specifici di nullità, nè di inutilizzabilità degli atti compiuti dalla P.G. ma attengono esclusivamente a profili di merito, a valutazioni di attendibilità che sono state compiutamente effettuate dai giudici del merito.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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