T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 14-03-2011, n. 2284 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con istanza del 24/3/04, la ricorrente ha chiesto al Comune di San Cesareo il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi della L. 326/03, relativamente alle opere abusive realizzate nel Comune di San Cesareo, Via del Sambuco n. 64, sul terreno censito al catasto al foglio 64, part. n. 343, 344 e 345 e consistenti nella realizzazione di un fabbricato ad uso residenziale.

Con nota del 17/4/08 prot. n. 6381, il Comune di San Cesareo ha inviato il preavviso ex art. 10 bis della L. 241/90.

La ricorrente ha partecipato al procedimento inviando una memoria.

Con la determinazione prot. n. 15658 del 13/10/08 il Responsabile del Settore V, Urbanistica e Territorio del Comune di San Cesareo, ha respinto la sua istanza di sanatoria.

Avverso detto provvedimento la ricorrente ha proposto i seguenti motivi di impugnazione:

1. Illegittimità per violazione e/o erronea interpretazione dell’art. 32, comma 25, della L. 326/03. Illegittimità per erronea applicazione dell’art. 10, comma 1, della L.R. Lazio n. 12 dell’8/11/04. Eccesso di potere per errore sui presupposti, erronea valutazione e/o travisamento della situazione di fatto e contraddittorietà della motivazione.

Deduce la ricorrente di aver presentato la domanda di sanatoria in data 24/3/04 ai sensi della L. 326/03, e dunque prima dell’entrata in vigore della L.R. Lazio n. 12 dell’8/11/04.

Sostiene, quindi, che la normativa applicabile alla sua istanza sarebbe esclusivamente quella statale e non quella regionale come ritenuto dal Comune di San Cesareo.

Inoltre, sostiene che la sua domanda di sanatoria riguarderebbe una sola unità immobiliare e non "quattro abitazioni" come emergerebbe chiaramente dalla disamina del progetto del fabbricato e dalle sue dimensioni.

2. Illegittimità e/o eccesso di potere per violazione e/o erronea applicazione degli artt. 7, 8 e 10 bis della L. 241/90. Eccesso di potere per errore sul presupposto, apoditticità e/o carenza della motivazione.

Il diniego di condono sarebbe motivato anche con riferimento al mancato pagamento dell’intera oblazione: la ricorrente sostiene di averla pagata e lamenta comunque che il Comune non avrebbe lamentato l’incompleto pagamento dell’oblazione in sede di comunicazione dell’avviso ex art. 10 bis della L. 241/90 non consentendole di controdedurre sulla questione.

3. Illegittimità per violazione dell’art. 35 della L. 47/85 e dell’art. 32, commi 36 e 37 della L. 326/03.

Deduce la ricorrente che sulla data di presentazione della sua domanda si sarebbe formato il silenzio assenso – essendo decorsi 24 mesi – e che quindi l’Amministrazione non avrebbe potuto emettere un atto di diniego, ma solo un provvedimento in autotutela.

Insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.

Con i motivi aggiunti notificati il 14/10/09, la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di San Cesareo, Sezione VII – Polizia Locale e Protezione Civile – Ufficio di Polizia ed Edilizia ed Ambientale Giudiziaria e Rurale, prot. n. 2490 del 15/9/09, con il quale è stato disposto il dissequestro del fabbricato abusivo e la restituzione dell’immobile al Comune di San Cesareo, ritenuto proprietario del bene per effetto del decorso del termine di 90 giorni dalla data di notifica dell’ordinanza di demolizione del 4/3/03 rimasta ineseguita.

Avverso detto atto la ricorrente ha dedotto le medesime censure già proposte con il ricorso principale e con riferimento al provvedimento del Comune di San Cesareo del 15/9/09, ha proposto la seguente doglianza:

1. Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza. Eccesso di potere per errore sul presupposto, travisamento e/o erronea valutazione della situazione di fatto. Illegittimità per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, comma 3, del D.P.R. 380/01.

L’immobile non avrebbe dovuto essere restituito al Comune di San Cesareo, ma alla ricorrente essendo essa la proprietaria del bene, considerata anche la pendenza della domanda di sanatoria.

Insiste quindi la ricorrente per l’accoglimento sia del ricorso principale che dei motivi aggiunti.

Il Comune di San Cesareo, benché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

All’udienza pubblica del 10 febbraio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Come riportato in narrativa, la ricorrente ha impugnato il provvedimento del 13/10/08 con il quale il Comune di San Cesareo ha respinto la sua domanda di sanatoria ai sensi della L. 326/03 e della L.R. 12/04.

Il diniego è motivato sulla base di diversi presupposti:

– la richiesta di sanatoria è stata presentata per quattro unità immobiliari mentre la normativa vigente consente di presentare una richiesta di condono per ciascuna unità immobiliare;

– l’intero fabbricato ha una cubatura di circa mc. 407, superiore al limite di mc. 300 previsto dalla L.R. 12/04 per i fabbricati non adibiti a prima abitazione;

– è stata corrisposta soltanto l’anticipazione dell’oblazione e non risultano pagate le restanti rate.

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’erronea applicazione degli artt. 32 comma 25 della L. 326/03 e dell’art. 10 comma 1 della L.R. n. 12/04.

Sostiene, infatti, la ricorrente, che alla sua domanda di condono – presentata il 23 marzo 2004 ai sensi della L. 326/03, prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 12 dell’8 novembre 2004 -, si applicherebbe esclusivamente la normativa nazionale.

A sostegno della propria tesi richiama l’art. 10 comma 1 della L.R. Lazio n. 12/04 secondo cui "Le domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate ai comuni competenti ai sensi dell’articolo 32 del D.L. 269/03 e successive modifiche antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, qualora non sia stata comunicata rinuncia nei termini previsti dal comma 3, sono validi ed efficaci ai fini della legge stessa".

Secondo la prospettazione della ricorrente, solo in caso di rinuncia alla domanda di sanatoria presentata ai sensi della L. 326/03 (nei termini previsti dal comma 3 dello stesso articolo 10 della L.R. 12/04) e di successiva ripresentazione della domanda in base alla normativa regionale si applicherebbe il regime di cui alla L.R. 12/04, mentre nel caso contrario continuerebbe ad applicarsi il regime più favorevole previsto dalla legge statale.

La tesi della ricorrente non può essere accolta.

Occorre infatti ricordare che con sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 comma 26 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003 n. 326, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1 d.l. n. 269 del 2003.

La Corte ha infatti rilevato che, nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia, i poteri legislativi regionali sono senz’altro ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di "governo del territorio", e che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio, per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, solo alcuni limitati contenuti di principio possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 cost., mentre per tutti i restanti profili deve riconoscersi al legislatore regionale un ruolo rilevante di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo.

La Corte Costituzionale ha così dichiarato incostituzionale il comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003, ed il comma 25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione.

Sicchè, in seguito alla suddetta sentenza è stata emanata la L.R. del Lazio n. 12 dell’8/11/04 che ha ridefinito l’ambito di applicazione della sanatoria per quanto riguarda il territorio della regione Lazio, prevedendo – per quanto di interesse – differenti limiti volumetrici per la sanabilità degli abusi realizzati entro la data del 31 marzo 2003 (per le singole unità residenziali non adibite a prima abitazione – come nel caso di specie – ha previsto il limite volumetrico di mc. 300 in luogo dei mc. 750 previsti dalla normativa statale).

Appare quindi evidente che l’unica normativa applicabile al caso di specie è quella rinvenibile nella L.R. Lazio 12/04 che – in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale – ha provveduto a regolamentare nell’ambito regionale la disciplina del cosiddetto "terzo condono".

Peraltro, la tesi della ricorrente non può fondarsi neppure sull’interpretazione testuale dell’art. 10 comma 1 della L.R. 12/04: la norma, infatti, si limita a prevedere che in caso di mancata rinunzia alla domanda di sanatoria presentata anteriormente all’entrata in vigore della L.R. 12/04, l’istanza resta valida ed efficace "ai fini della legge stessa" e cioè ai fini della L.R. 12/04.

Il secondo comma dell’art. 10 della L.R. 12/04 prevede, poi, l’obbligo – in caso di domande proposte prima dell’entrata in vigore della L.R. n. 12/04 – di presentare le integrazioni documentali conseguenti all’applicazione della disciplina regionale e di corrispondere le maggiori somme dovute per l’oblazione in applicazione della disciplina regionale, dimostrandosi ancora una volta che tutte le domande di sanatoria presentate nella Regione Lazio – per quanto attiene agli aspetti non rientranti nella sfera di competenza statale (come ad esempio per quanto riguarda gli aspetti penali) – sono disciplinate dalla normativa regionale a prescindere dalla data di presentazione (così come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 196/04), e che quindi, per quanto attiene alla volumetria sanabile, l’unica normativa applicabile è quella rinvenibile dalla L.R. 12/04.

Ritiene pertanto il Collegio che correttamente il Comune di San Cesareo abbia fatto applicazione della legislazione regionale.

Ciò comporta il rigetto della doglianza.

Il mancato possesso dei requisiti previsti dalla legge con riferimento alla volumetria dell’abuso comporta l’impossibilità di conseguire la sanatoria, e dunque l’infondatezza della pretesa diretta ad ottenere l’annullamento del diniego di sanatoria.

In presenza di un provvedimento sostenuto da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a darne giustificazione, è sufficiente che sia verificata la legittimità di uno di essi per escludere che l’atto possa essere annullato in sede giurisdizionale (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 29 luglio 2010, n. 17066); il giudicante, in tal caso, è esonerato dall’onere di esaminare le censure residue (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 15 luglio 2010, n. 26067).

Si può pertanto prescindere dall’analizzare se davvero la domanda di sanatoria riguardasse quattro unità immobiliari o un’unica unità immobiliare formata da quattro vani, come dedotto nel ricorso, atteso che il superamento della volumetria sanabile ai sensi della L.R. 12/04 costituisce presupposto sufficiente di per sé per respingere l’impugnativa.

Lo stesso deve ritenersi con riferimento al mancato pagamento dell’intera oblazione e alla dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. 241/90 per non aver provveduto ad avvertire la ricorrente in sede di preavviso di rigetto (secondo motivo).

Il vizio procedimentale non sarebbe comunque idoneo a comportare l’annullamento dell’atto dovendo applicarsi la disposizione dell’art. 21 octies della L. 241/90, tenuto conto che l’esito del procedimento non avrebbe potuto avere un esito diverso.

Altrettanto infondato è il quarto motivo di impugnazione con il quale la ricorrente sostiene che sulla sua domanda sarebbe maturato il silenzio assenso, e che quindi il Comune non avrebbe potuto adottare un provvedimento di diniego, ma al massimo un provvedimento in autotutela.

La formazione del silenzioassenso sulla domanda di sanatoria degli abusi edilizi richiede, quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 07 aprile 2010, n. 42) che siano stati integralmente assolti dall’interessato gli oneri di documentazione relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell’Amministrazione comunale, differenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale (Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4174).

Il regime del silenzio assenso, infatti, persegue la finalità di snellimento della procedura ma non modifica le condizioni sostanziali per conseguire la sanatoria: pertanto ove l’opera non sia effettivamente sanabile diventa irrilevante il decorso del termine di ventiquattro mesi (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 07 maggio 2010, n. 1740), termine, peraltro, che inizia a decorrere dal momento in cui l’amministrazione procedente è posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, disponendo della documentazione necessaria richiesta ex lege all’interessato (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 03 marzo 2010, n. 204).

Nel caso di specie nessuno degli elementi richiesti dalla giurisprudenza ricorre: l’opera non è sanabile e quindi è del tutto irrilevante il decorso dei ventiquattro mesi, termine – peraltro – che non è neppure decorso, atteso che la documentazione integrativa richiesta dal Comune di San Cesareo per poter provvedere sulla domanda di sanatoria è stata depositata dalla ricorrente soltanto il 9/1/08, ed il provvedimento di diniego è stato emesso in data 13/10/08.

Pertanto, il ricorso principale deve essere respinto perché infondato.

Devono essere ora esaminati i motivi aggiunti con i quali la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di San Cesareo che, nel disporre il dissequestro dell’immobile abusivo – in seguito alla sentenza di proscioglimento del Tribunale Penale di Tivoli, Sez. Staccata di Palestrina -, ha decretato la sua restituzione a favore dello stesso Comune e non della ricorrente.

Secondo il Comune l’acquisizione a suo favore sarebbe avvenuta per la mancata demolizione entro il termine di 90 giorni decorrenti dalla notifica dell’ordinanza di demolizione n. 250 del 4/3/03.

La tesi del Comune è destituita di fondamento.

L’ordinanza di demolizione è stata emessa prima della presentazione della domanda di sanatoria e

secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, l’istanza di sanatoria comporta il riesame dell’abusività dell’opera mediante l’emanazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto, che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa.

(cfr. tra le tante, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 22 dicembre 2010, n. 38234; T.A.R. Campania Sez. IV Napoli 3 agosto 2009 n. 4628).

Ne consegue che l’ordinanza di demolizione del 4/3/03, per effetto dell’istanza di sanatoria ha perso ogni effetto, dovendo l’Amministrazione attendere l’esito del procedimento di condono prima di poter avviare qualunque procedimento sanzionatorio: dalla mancata esecuzione dell’atto non può quindi derivare in alcun modo l’acquisizione dell’area al patrimonio comunale.

Ne consegue la fondatezza dei motivi aggiunti ed il conseguente annullamento del provvedimento prot. n. 2490 del 15/9/2009.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

– respinge il ricorso principale;

– accoglie i motivi aggiunti e per l’effetto annulla il provvedimento del Comune di San Cesareo prot. n. 2490 del 15 settembre 2009;

– compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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