Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-05-2011, n. 11450 Commissioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 22.2.05 la società Farsura Costruzioni spa adiva la Commissione tributaria provinciale di Palermo, quale giudice dell’ottemperanza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70 chiedendo l’ottemperanza al giudicato di cui alla sentenza n. 247/13/04 del 28.9.2004, passata in giudicato, con cui la stessa Commissione aveva condannato l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Palermo a rimborsare alla società ricorrente l’importo complessivo di Euro 208.118,63, a titolo di interessi legali sul capitale (già precedentemente rimborsato) relativo ad Irpeg ed Ilor anno 1983.

L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Palermo, costituendosi in giudizio, chiedeva dichiararsi cessata la materia del contendere, assumendo di avere già ottemperato alla sentenza n. 247/04, in quanto aveva disposto, con provvedimento del 18.4.2005, il versamento dell’importo recato da detta sentenza a favore del Concessionario della riscossione, ambito di Palermo (Montepaschi Serit), a parziale scomputo, per compensazione, delle somme dovute dalla società nei confronti dell’Erario e iscritte a ruolo; il tutto come da richiesta dalla società con le note n. 44/c del 8.4.2005 e n. 46/c del 14.4.2005.

La società Farsura Costruzioni spa contestava le deduzioni dell’Ufficio, affermando che con le note n. 44/c del 8.4.2005 e n. 46/c del 14.4.2005, nonchè con precedente lettera del 30.3.05, aveva richiesto all’Agenzia delle entrate di utilizzare in compensazione il credito di Euro 208.118,63, riconosciutole dalla sentenza 247/04, solo fino a concorrenza di Euro 104.889,48; cosicchè l’Agenzia avrebbe dovuto versare la residua somma di Euro (208.118,63 – 104.889,48 =) 103.229,15 alla stessa Farsura Costruzioni spa, e non già al concessionario delle riscossione; da ciò la (parziale) inottemperanza dell’Agenzia alla sentenza 247/04.

Con sentenza n. 206/13/05, depositata il 18.10.2005, la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, affermava che – per effetto delle indicazioni espresse dalla società con le note del 30.3.05, 8.4.05 e 14.4.05 – il mandato per il pagamento della somma di Euro 208.118,63 "avrebbe dovuto essere emesso quanto alla somma di Euro 104.889,48 a beneficio della Montepaschi, giusta istruzioni della società creditrice, e quanto alla differenza di Euro 103.229,15 a beneficio diretto della stessa società creditrice. Ne consegue che il giudicato non può ritenersi pienamente adempiuto, con il conseguente rigetto della domanda dell’agenzia convenuta in ordine alla sopravvenuta cessazione della materia del contendere".

La Commissione Tributaria Provinciale assegnava quindi all’Agenzia delle Entrate il termine di gg. 40 per adempiere alla sentenza, con "emissione dell’ordine in conto sospeso nei confronti del tesoriere provinciale, limitatamente all’importo di Euro 103.229,15", disponendo altresì la nomina di un Commissario ad acta per il caso di mancato rispetto di detto termine.

Avverso la suddetta sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, l’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambe rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, hanno proposto ricorso per cassazione contro la Farsura Costruzioni Spa, concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata.

La Farsura Costruzioni Spa, resisteva con controricorso.

Il ricorso veniva discusso alla pubblica udienza del 10.12.010, in cui il PG concludeva per il rigetto del medesimo.
Motivi della decisione

Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di ottemperanza (instaurato nei confronti del solo Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Tanto premesso, si osserva che il ricorso si fonda su un unico complesso motivo, recante la duplice rubrica:

1) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. 2) Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Le censure promiscuamente proposte dalla difesa erariale sotto la duplice rubrica sopra trascritta possono enuclearsi come segue:

a) la Commissione Tributaria Provinciale avrebbe violato la disciplina del giudizio di ottemperanza tributario dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 perchè:

1) per un verso, non avrebbe assolto "all’obbligo di verificare l’adempimento del giudicato, così omettendo di adottare la dovuta declaratoria di cessazione della materia del contendere";

2) per altro verso, avrebbe "ampliato indebitamente, il contenuto della sentenza, nella stesura della quale, peraltro, la Commissione non era tenuta a dettare peculiari modalità di effettuazione del rimborso (anche in carenza di specifiche richieste da parte della ricorrente). " In tal modo la Commissione avrebbe violato i limiti del giudizio di ottemperanza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70 non potendo il giudice dell’ottemperanza attribuire alcunchè di nuovo rispetto all’oggetto riconosciuto dalla sentenza azionata;

b) la Commissione Tributaria Provinciale avrebbe omesso di argomentare su due punti decisivi, ossia:

1) sul valore vincolante delle dichiarazioni della società Farsura Costruzioni spa aventi ad oggetto la limitazione della compensazione fino a concorrenza di una parte soltanto del credito della stessa e, quindi, "sull’idoneità della modalità di pagamento applicata, ai fini della compensazione" (pag. 4, rigo 18, del ricorso);

2) sulla sussistenza di un interesse dalla società creditrice a richiedere che parte del proprio credito venisse estinto mediante pagamento invece che mediante compensazione del proprio maggior debito tributario.

La censura sub a).

La censura sub a) appare riconducibile alla rubrica n. 1) del motivo di ricorso e si risolve nella denuncia di un error in procedendo, consistente nella asserita violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 per il giudizio di ottemperanza tributario; violazione che si articolerebbe sia sotto il profilo negativo di cui sub a1), concernente il mancato esercizio del potere/dovere di verificare l’esecuzione del giudicato, sia sotto il profilo positivo di cui sub a2), concernente l’indebito esercizio di poteri di integrazione della sentenza non spettanti al giudice dell’ottemperanza.

Detta censura va disattesa sotto entrambi i profili proposti.

I limiti del giudizio di ottemperanza tributario sono stati più volte precisati da questa Corte, da ultimo in Cass. 28944/08, ove si legge: Ora, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 – a mente della quale il ricorso per Cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per "violazione delle norme del procedimento" – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte oltre alla violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, anche ogni altro "error in procedendo" in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere – dovere di interpretare ed eventualmente integrare il "dictum" costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata ovvero l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede di merito (Cass. 3057/08). Il giudizio di ottemperanza non attribuisce, però alle Commissioni una giurisdizione estesa al merito (Cass. 7388/07) trattandosi di procedimento "chiuso" in cui il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con quel giudicato. Dal giudicato va enucleato e precisato il significato ai fini dell’adempimento degli obblighi in esso contenuti ma non può rappresentare veicolo di attribuzione di un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto dalla sentenza da eseguire (Cass. 1947/07).

A tali principi, dai quali non c’è ragione di discostarsi, si è uniformata l’impugnata sentenza.

Davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, infatti, l’Agenzia aveva chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere sostenendo che, dopo l’introduzione del giudizio di ottemperanza, essa aveva ottemperato interamente alla sentenza 247/04, mediante il versamento dell’importo di Euro 208.118,63 al Concessionario del servizio di riscossione, a scomputo del maggior debito tributario della società Farsura Costruzioni spa; ciò in base alle indicazioni della società Farsura (vedi pag. 3 della sentenza impugnata, ultimo cpv.: "A tale provvedimento l’Agenzia giustifica di essersi determinata sulla base delle indicazioni della società creditrice che, con le note 8 aprile e 14 aprile 2005, aveva richiesto procedersi in favore della Montepaschi Se.ri.t."). A fronte di tale difesa dell’Agenzia, la società Farsura Costruzioni spa aveva insistito per il pagamento della minor somma di Euro 103.229,15 precisando di aver chiesto la compensazione solo fino a concorrenza dell’importo di Euro 104.889,48.

Dinanzi a tali difese delle parti la Commissione Tributaria Provinciale ha correttamente esercitato i poteri derivanti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 perchè:

– la materia del contendere non era cessata, giacchè la ricorrente insisteva nel richiedere un pagamento di Euro 103.229,15 che l’Agenzia assumeva non dovuto;

– essa Commissione Tributaria Provinciale doveva procedere, ed ha proceduto, alla verifica dell’esecuzione del giudicato;

– nell’ambito di tale verifica la Commissione Tributaria Provinciale ha rilevato – con accertamento di fatto non censurato dall’Agenzia qui ricorrente e basato sull’esame delle lettere del 30.3.05, del 8.4.2005 e del 14.4.2005, prodotte nel giudizio di ottemperanza – che la società Farsura Costruzioni spa aveva chiesto che il credito riconosciutole dalla sentenza 247/04 fosse compensato con il credito fiscale dell’Agenzia solo fino a concorrenza dell’importo di Euro 104.889,48;

– sulla scorta di detto accertamento la Commissione Tributaria Provinciale ha giudicato che per la residua somma di Euro 103.229,15 – versata al Concessionario e non alla ricorrente – il giudicato era rimasto ineseguito ed ha conseguentemente assegnato all’Agenzia un termine per il versamento, nominando un Commissario ad acta che provvedesse in caso di mancato rispetto del termine.

La sentenza impugnata si è dunque contenuta negli esatti limiti del giudizio di ottemperanza, perchè ha enucleato e precisato il significato del giudicato, ai fini dell’adempimento degli obblighi in esso contenuti, senza attribuire diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quello riconosciuto dalla sentenza da eseguire (nella specie, il credito di Euro 208.118,63 della società Farsura Costruzioni spa nei confronti dell’Amministrazione).

In relazione a tale motivo conviene ancora soffermarsi su due passaggi argomentativi che si rinvengono nel ricorso dell’Avvocatura dello Stato. a) La ricorrente assume che la Commissione Tributaria Provinciale non avrebbe potuto disporre l’emissione di un pagamento in conto sospeso, in quanto il pagamento in conto sospeso, disciplinato dalla L. n. 30 del 1997, art. 14 sarebbe sempre facoltativo e comunque non potrebbe essere adottato fuori del caso – della cui ricorrenza nella specie non vi era prova – di incapienza del relativo capitolo di spesa.

L’argomento si risolve in sostanza in una censura della sentenza, non autonomamente rubricata, per violazione della L. n. 30 del 1997, art. 14 e va giudicata inammissibile per carenza di interesse.

Premesso, infatti, che la concreta individuazione dei provvedimenti amministrativi e delle attività materiali da porre in essere per ottemperare al giudicato rientra nel potere discrezionale del giudice dell’ottemperanza, si osserva che il dispositivo della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, assegna all’Agenzia un termine "per eseguire l’adempimento nei limiti indicati in motivazione"; la successiva precisazione "mediante remissione dell’ordine in conto sospeso" ha evidentemente il solo scopo di indicare all’Agenzia la modalità attuativa da seguire nel caso di assenza di disponibilità finanziarie nel pertinente capitolo, nulla impedendo alla stessa Agenzia, nel caso di capienza di tale capitolo, di emettere l’ordine sul medesimo. Ai fini della soddisfazione dell’interesse della società creditrice ad ottenere l’ottemperanza al giudicato è infatti perfettamente irrilevante quale procedura contabile l’amministrazione segua per pervenire all’erogazione della somma pecuniaria dovuta; tant’è vero che nella stessa sentenza impugnata, laddove si indicano le attività affidate al Commissario ad acta nominato per il caso di persistente inadempimento dell’amministrazione, non si fa alcuna menzione delle procedure contabili che il medesimo dovrà seguire, limitandosi a disporre che il medesimo Commissario compia "tutti gli atti necessari per l’esecuzione" della sentenza. b) La ricorrente invoca la compensazione tra il credito riconosciuto alla Farsura Costruzioni spa nel giudicato oggetto del giudizio di ottemperanza e il debito tributario della stessa Farsura Costruzioni spa e, ciò, anche per la parte per cui la società creditrice (per come la sua volontà è stata ricostruita dal giudice di merito con accertamento non contestato dalla ricorrente) non aveva chiesto l’applicazione della compensazione.

Al riguardo va in primo luogo rilevato che nel ricorso per cassazione proposto dalla difesa erariale non vi è alcuna specificazione in ordine al fatto costitutivo del credito dell’Amministrazione (genericamente indicato nel primo rigo di pag. 2 del ricorso come "somme iscritte nei ruoli") che dovrebbe compensarsi col credito accertato a favore della Farsura Costruzioni spa nella sentenza da ottemperare; nè vi è alcuna specificazione in ordine al modo in cui il suddetto fatto costitutivo sarebbe stato dedotto dall’Agenzia delle Entrate nel giudizio di merito. Non risulta dunque indicato, nè risulta essere stato indicato al giudice del merito, il momento in cui è venuto in esistenza il credito dell’Amministrazione e pertanto, ai sensi dell’art. 1242 c.c., comma 1, si sarebbe verificata l’estinzione per compensazione del credito riconosciuto alla Farsura Costruzioni spa dalla sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza. Ciò già di per sè rende inammissibile la doglianza della Agenzia delle Entrate per difetto di autosufficienza, giacchè la mancata indicazione dell’epoca in cui si sarebbe verificata l’estinzione per compensazione del credito riconosciuto alla Farsura Costruzioni spa dalla sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza impedisce di apprezzare la rilevanza del motivo; infatti, per il principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, i fatti estintivi del credito accertato in una sentenza passata in giudicato possono essere fatti valere in sede di ottemperanza solo se posteriori alla formazione del giudicato.

Tanto premesso, appare comunque opportuno ribadire il principio già più volte espresso da questa Corte secondo cui nel giudizio di ottemperanza tributario non è possibile applicare l’istituto civilistico della compensazione; vedi Cass. 13681/2005: "In tema di giudizio d’ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire. Pertanto, la possibilità di applicare al giudizio di ottemperanza l’istituto civilistico della compensazione (nella specie opposta dall’Ufficio finanziario) deve ritenersi esclusa, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del giudice che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato ed è sottratto alla sua competenza" conformi Cass. SSUU 30058/2008, Cass. 25696/2009.

La ratio decidendi di tali pronunce è individuabile nella considerazione che la declaratoria di estinzione, per compensazione, del credito riconosciuto al contribuente dalla sentenza oggetto della domanda di ottemperanza presupporrebbe un accertamento del controcredito dedotto dall’Amministrazione finanziaria (e dei suoi requisiti di liquidità ed esigibilità, nonchè, ancora, della sua posteriorità alla formazione del giudicato da ottemperare) che travalicherebbe l’ambito del giudizio di ottemperanza, ampliandone l’oggetto oltre gli stretti limiti fissati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 7 (per il quale il giudice dell’ottemperanza è tenuto a provvedere "attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione"); limiti il cui rigore va considerato anche alla luce del rilievo che il giudizio di ottemperanza è strutturato, ai sensi del menzionato art. 70, comma 10 come giudizio con un unico grado di merito.

Coerenti con tale ratio decidendi sono anche le sentenze Cass. 22761/2004, citata nel ricorso della difesa erariale, e Cass. 27044/2007, le quali, in dissonanza solo apparente con i precedenti citati sopra, hanno ritenuto applicabile la compensazione nel giudizio di ottemperanza tributario, ma lo hanno fatto, la prima, in un caso in cui tra il Fisco e il contribuente si era perfezionato un accordo sul riconoscimento della compensazione e, la seconda, in un caso in cui il credito del Fisco risultava accertato da una sentenza passata in giudicato. In particolare:

– Nella fattispecie all’esame della sentenza 22761/2004, non era stata l’Amministrazione ad eccepire la compensazione, ma era stato lo stesso creditore a chiedere all’Amministrazione, e questa aveva accettato, di ottemperare alla sentenza scomputando dai debiti tributari del contribuente l’importo riconosciuto in suo favore dalla sentenza; si veda il seguente stralcio della motivazione di detta sentenza: "l’obbligo dell’amministrazione tributaria di pagare, che derivava dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo 21 ottobre 2000, n. 285/01/00, passata in giudicato il 18 dicembre 2001, e che sarebbe stato ordinariamente adempiuto solo con il pagamento è stato, in via straordinaria, rimodellato dalla domanda con la quale la stessa società creditrice ha chiesto, in via amministrativa, ed ottenuto, in pendenza del giudizio tributario di ottemperanza, la compensazione del credito da giudicato con il debito sopravvenuto, ed è stato rimodellato nel senso che ad un atto di programma autoritativo, la sentenza da ottemperare, è stato sostituito, per volontà enunciata prima dalla società creditrice con la domanda e poi dall’amministrazione debitrice con l’accettazione della domanda implicita nel provvedimento del 15 novembre 2002, un diverso atto di programma produttivo dell’effetto di compensazione;".

– Nella fattispecie all’esame della sentenza 27044/2007 il controcredito del Fisco era stato accertato con sentenza passata in giudicato; si veda il seguente stralcio della motivazione di detta sentenza: E stato infatti accertato che entrambi i crediti erano anteriori alla dichiarazione di fallimento e che, su entrambi i crediti, si era formato il giudicato, senza che fosse stata fatta valere la compensazione. Compensazione che può essere fatta valere fino a concorrenza del credito vantato dalla curatela. Nel caso di specie, pertanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione non presuppone un accertamento del Giudice che, altrimenti, come è stato precisato (Cass. 13681/05), travalicherebbe i limiti fissati dal contenuto del giudicato e sarebbe sottratto alla sua competenza.

Deve quindi conclusivamente affermarsi che il giudice dell’ottemperanza non può dichiarare l’estinzione per compensazione del credito pecuniario accertato dalla sentenza in favore del contribuente, in quanto siffatta statuizione presupporrebbe un’attività di accertamento del controcredito del Fisco (con riferimento alla relativa sussistenza, liquidità, esigibilità, epoca di insorgenza) che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato di merito e, conseguentemente, esulerebbe dall’ambito della cognizione fissato nel D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70, comma 7;

salva la possibilità di dichiarare la compensazione nel caso in cui sul punto non sia necessaria alcuna attività cognitiva, perchè la compensazione delle reciproche pretese creditorie risulti accettata sia dal Fisco che dal contribuente o perchè il controcredito opposto dal Fisco nel giudizio di ottemperanza risulti accertato da sentenza passata in giudicato.

La censura sub b).

La censura sub b) è riconducibile alla rubrica n. 2) del motivo di ricorso e si risolve nella denuncia di un vizio (insufficienza) di motivazione su due punti decisivi della controversia.

Al riguardo, va preliminarmente osservato che questa Corte ha costantemente affermato che il difetto di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione delle norme giuridiche (tra le tante Cass., 22979/2004: "La nozione di punto decisivo della controversia, di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 sotto un primo aspetto si correla al fatto sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto.").

Ciò premesso, si rileva che:

– La doglianza sub b1) concerne l’insufficiente motivazione non sul fatto (il cui accertamento non ha formato oggetto di contestazione) della esistenza e del significato delle dichiarazioni rese nelle lettere con cui la società Farsura aveva limitato la propria richiesta di compensazione fino a concorrenza di una parte soltanto del proprio credito, ma su "quale valore vincolante dovessero rivestire simili indicazioni" (pag. 4, rigo 11 del ricorso), vale a dire sulle conseguenza giuridiche che il giudice del merito ne ha tratto. Detta doglianza tende quindi a censurare un errore di diritto della sentenza impugnata e non un vizio di motivazione e, pertanto, è inammissibile sia come motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, perchè, appunto, non riguarda la motivazione in fatto, sia come motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, perchè non indica in cosa consisterebbe il denunciato errore di diritto, omettendo qualunque indicazione in ordine alle norme che la Commissione Tributaria Provinciale avrebbe violato o falsamente applicato.

– La doglianza sub b 2) concerne l’insufficiente motivazione non su un fatto di causa, ma sulla sussistenza di un presupposto processuale, vale a dire l’interesse dalla società creditrice, rilevante ex art. 100 c.p.c., a richiedere che al giudicato si ottemperasse estinguendo parte del credito riconosciutole in sentenza mediante pagamento, invece che mediante compensazione col proprio maggior debito tributario. Detta doglianza tende quindi in sostanza a censurare un error in procedendo della sentenza impugnata e non un vizio di motivazione e, pertanto, è inammissibile come motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, perchè, appunto, non riguarda la motivazione in fatto. Mentre è infondata come motivo ex art. 360 c.p.c., n. 4, perchè il bene della vita consistente nell’acquisizione di una somma di denaro è evidentemente diverso dal bene della vita consistente nella riduzione della propria esposizione debitoria e, pertanto, deve riconoscersi l’interesse ad agire, ai sensi e per gli effetti dell’art. 100 c.p.c., per ottenere il primo, invece che il secondo, di tali beni della vita.

Conclusivamente, il ricorso va respinto, con condanna dell’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore della resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo con riferimento al valore della causa di Euro 103.229,15.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Compensa le spese tra il Ministero e la resistente; condanna l’agenzia delle Entrate a rifondere alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 5.000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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