Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-02-2011) 16-03-2011, n. 10753

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p.1. Con sentenza del 30 gennaio 2009 la Corte d’appello di Napoli confermava quella di primo grado che aveva dichiarato G. R. e M.T. colpevoli di concorso nel reato previsto dall’art. 388 c.p., comma 1, e li condannava a congrua pena.

La Corte rilevava che G., subito dopo avere ricevuto la notifica di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo che gli ordinava il pagamento della somma di Euro 27.656 (poi ridotta in appello a Euro 18.437) in favore di B.M. e contemporaneamente del pedissequo atto di precetto, aveva optato per il passaggio dal regime coniugale di comunione dei beni a quello di separazione e lo stesso giorno (12.5.2003) aveva costituito un fondo patrimoniale familiare nel quale aveva conferito il 50% della proprietà dell’immobile in cui abitava, di talchè il pignoramento eseguito sul predetto immobile e quello mobiliare tentato sui fondi depositati in banca al nome della moglie davano esito negativo.

Trascorso un anno circa, B., saputo che G. aveva ereditato una somma ancora depositata presso la Direzione provinciale del Tesoro, ne otteneva il 28.9.2004 il pignoramento, scoprendo però che quattro giorni prima G. l’aveva ceduta alla suocera M.T.. Le reiterate coincidenze temporali tra precetti e pignoramenti, da un lato, e atti di disposizione patrimoniale, dall’altro, inducevano la Corte territoriale ad affermare che l’imputato aveva agito allo scopo di vanificare le pretese creditorie, il che era sufficiente ad integrare il reato ascrittogli a prescindere dal risultato finale dell’esecuzione forzata.

Contro la sentenza ricorrono gli imputati che denunciano:

1. la nullità del decreto di citazione a giudizio di primo grado per l’incertezza sulla data di commissione del reato, indicata nel capo d’imputazione "sino al 29.3.2000", mentre gli atti simulati sarebbero stati compiuti il 12.5.2003 e il 24.9.2004;

2. la tardività della querela, perchè proposta il 29.10.2004, mentre la persona offesa dal reato avrebbe avuto conoscenza della costituzione del fondo patrimoniale fin dal 30.6.2003, quando le fu notificata l’opposizione all’azione esecutiva;

3. erronea applicazione della norma penale, perchè il delitto di cui all’art. 388 c.p., comma 1, si atteggerebbe a reato di danno, per cui gli atti simulati o fraudolenti sarebbero puniti a condizione che abbiano frustrato in tutto o in parte l’azione esecutiva promossa dal creditore. Nella fattispecie, avendo il creditore esperito con successo sia il pignoramento immobiliare sia quello mobiliare presso terzi, e avendo ottenuto, con ordinanza del 12.2.2007, l’assegnazione della somma pignorata presso la Direzione provinciale del Tesoro con soddisfazione integrale del credito, il processo avrebbe dovuto concludersi con sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto. p.2.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile, sia perchè generico, riproponendo puramente l’eccezione sollevata nei motivi d’appello senza opporre alcunchè alle ragioni esposte dal giudice a quo per rigettarla, sia perchè manifestamente infondata, non avendo l’errore di datazione compromesso minimamente l’esercizio del diritto di difesa posto che gli atti fraudolenti incriminati erano dettagliatamente specificati e correttamente datati nella parte descrittiva dell’imputazione. p.2.2 Premesso che il termine utile per proporre querela comincia a decorrere "dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato" (v. art. 124 cod. pen.) ossia dal momento in cui il titolare del relativo diritto ha conoscenza certa del fatto di reato nelle sue dimensioni oggettive e soggettive, nel caso concreto – come ha logicamente motivato la sentenza impugnata – il querelante percepì con chiarezza gli intendimenti fraudolenti del debitore solo quando, effettuato il secondo pignoramento (ossia il 28.9.2004), seppe che il diritto pignorato era stato appena ceduto alla M..

Pertanto, avendo il querelante avuto notizia del reato il 28.9.2004, la querela, sporta il 29.10.2004, è tempestiva. p.2.3 La risposta al terzo motivo di ricorso, involgendo la tematica sulla natura e struttura del reato contestato, esige un esame della norma di legge.

La tesi iniziale, prospettata nei lavori preparatori del codice penale, ravvisava il bene tutelato dalle fattispecie delineate nell’art. 388 cod. pen., primi due commi nell’autorità delle decisioni giudiziarie e, in particolare, nell’interesse dell’amministrazione della giustizia all’adempimento degli obblighi civili derivanti dai provvedimenti giurisdizionali.

Tale visione, spiccatamente pubblicistica circa la natura dell’interesse protetto, è stata criticata dalla dottrina prevalente, che ha focalizzato l’attenzione sul particolare rilievo che la norma incriminatrice assegna alla volontà del privato, là dove subordina la procedibilità del reato alla querela della persona offesa, stabilendo inoltre come condizione di punibilità l’iniziativa del creditore che "ingiunge" al debitore condannato di eseguire la sentenza.

Si è altresì osservato che la mera inottemperanza agli obblighi nascenti dalla sentenza di condanna è di per sè penalmente irrilevante, perchè il rimedio contro la disobbedienza al comando dettato dalla sentenza è già previsto dall’ordinamento processuale, che all’uopo appresta lo strumento dell’esecuzione forzata. E poichè la norma incriminatrice punisce ‘"chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna,…compie…atti simulati o fraudolenti…", è agevole concludere che la norma penale, perseguendo le azioni intese a incidere negativamente sulla garanzia patrimoniale del debitore e, insomma, a vanificare la reazione che l’ordinamento appresta al mancato adempimento spontaneo della sentenza, vuole tutelare il buon esito dell’esecuzione forzata. Il bene protetto, dunque, non è tanto l’autorità astratta delle decisioni giudiziali, quanto piuttosto l’interesse concreto alla effettività dell’esecuzione forzata.

Al centro del fatto tipico punito dall’art. 388 c.p., comma 1, sta dunque il compimento di atti simulati o fraudolenti, posti in essere "per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria". Tuttavia il compimento degli atti testè indicati non esaurisce la condotta incriminata, perchè la norma, in chiusura, prevede che il soggetto agente "è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire la sentenza".

Tale ultima disposizione è stata interpretata da un noto Autore come una condizione di punibilità che subordina la punizione del reo all’evento negativo della mancata soddisfazione del diritto anche per via coattiva.

Però la dottrina prevalente non condivide – a ragione – questa inter- pretazione non solo perchè troppo lontana dal significato letterale e logico del testo di legge, ma anche perchè una condizione di punibilità la cui verificazione dipende dalla volontà del soggetto agente rappresenterebbe un’anomalia per il nostro sistema penale. In realtà la norma incriminatrice, contemplando la condotta di chi non ottempera all’ingiunzione di eseguire la sentenza, fissa uno degli elementi essenziali del fatto tipico, sul quale è bene fare chiarezza (v. Cass., Sez. 6^, 14.4.1972, Renzetti; idem, 12.7.1958, Decker).

Il presupposto dell’azione inottemperante è "l’ingiunzione a eseguire la sentenza", ossia l’intimazione che il titolare del diritto riconosciuto dalla sentenza rivolge al debitore in forma idonea a metterlo in mora, notificandogli ad esempio l’atto di precetto. Scaduto il termine stabilito, il mancato adempimento volontario dell’obbligazione civile nascente dalla sentenza di condanna realizzerà l’inottemperanza all’ingiunzione, che, legandosi ad atti simulati o fraudolenti finalizzati a vanificare l’esecuzione forzata, concorre a integrare la commissione del reato contestato.

La particolare costruzione della fattispecie non pone in sequenza temporale fissa i due comportamenti tipici dell’inottemperanza all’ingiunzione e del compimento degli atti fraudolenti. Nel caso concreto l’inottemperanza all’ingiunzione ha preceduto gli atti di sottrazione dei beni all’esecuzione, ma può accadere che gli atti di occultamento dei componenti attivi del patrimonio siano perpetrati prima che arrivi l’ingiunzione ad adempiere, quando ad esempio l’accertamento giudiziale del diritto controverso è ancora in corso.

Pertanto, per determinare il momento di consumazione del reato, si dovrà guardare, a seconda dei casi, ora all’una ora all’altra delle due azioni che concorrono a integrare il fatto tipico del reato.

Da quanto fin qui osservato discende che il reato in discorso si atteggia come reato di azione e non di evento, essendo sufficienti per la sua consumazione il compimento dell’atto simulato o fraudolento e l’inottemperanza all’ingiunzione, a prescindere dal fatto che il debitore riesca a conseguire l’obiettivo di frustrare in tutto o in parte la procedura esecutiva (v. Cass., Sez. 3^, 16.4.1971 n. 823, Chioccola, rv 118682; Sez. 6^, 3.10.2005 n. 44936, Scuteri, rv 233502; Sez. 6^, 14.4.2010 n. 18494, Cascone). Perciò, nel caso che l’agente, dopo avere compiuto l’atto simulato o fraudolento, renda disponibili all’esecuzione i beni sottratti, si avrà il fenomeno del recesso attivo.

Infine, sull’elemento soggettivo del reato, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la condotta deve essere sorretta dal dolo specifico, ossia dalla coscienza e volontà di commettere atti simulati o fraudolenti con il fine di sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti dalla sentenza (Sez. 6^, 27.2.1986, Grippaldi, rv 173602).

Nella configurazione giuridica del reato sopra delineata è già contenuta la confutazione al terzo motivo di ricorso. L’imputato, ricevuto il decreto ingiuntivo con l’atto di precetto, ha rifiutato l’adempimento spontaneo e, subito dopo, con plurimi atti simulati o comunque fraudolenti, palesemente intesi a vanificare le pretese creditorie della persona offesa, ha cambiato l’assetto del proprio patrimonio. Il reato perciò si è perfezionato in tutte le sue componenti, og-gettive e soggettive. Il creditore è poi riuscito a ottenere soddisfazione solo perchè il pubblico ministero, con sequestro disposto ex art. 253 cod. proc. pen., ha bloccato la cessione della somma giacente presso la Direzione provinciale del Tesoro e il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 12.2.2007, ne ha disposto l’assegnazione a B. fino all’ammontare del credito.

Il ricorso, siccome infondato, deve dunque essere respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione della spese sostenute dalla parte civile liquidate nell’importo specificato nel dispositivo.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali; condanna inoltre i ricorrenti tra loro in solido alla rifusione delle spese che liquida nella somma di Euro 4.000 oltre accessori in favore della parte civile B. M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *