Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 11615

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9-12 settembre 2003 il Tribunale di Bologna rigettava l’opposizione proposta da B.G. al decreto di liquidazione ex art. 611 c.p.c., intimatogli da C.R. e relativo alle spese della procedura esecutiva di rilascio dell’immobile locatogli.

Con sentenza in data 23 settembre – 12 novembre 2008 la Corte di Appello di Bologna rigettava l’impugnazione del soccombente.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: il sistema di liquidazione delle spese previsto dall’art. 611 c.p.c., comprende sia le spese vive elencate dall’ufficiale giudiziario, sia le spese di assistenza tecnica; l’importo liquidato era corretto e non risultava l’asserito pagamento; la procedura esecutiva esperita non era stata superflua; l’eccezione di irritualità della procedura di rilascio era inammissibile poichè sollevata per la prima volta in appello.

Avverso la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

La C. ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 611 c.p.c., in quanto il decreto di liquidazione delle spese della procedura esecutiva per il rilascio di immobile è stato emesso non solo per le spese vive ma anche per le competenze e gli onorari di assistenza tecnica dal Giudice dell’Esecuzione che non è competente a liquidare tali spettanze.

La censura è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla specie ratione temporis. Infatti, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione. Tale adempimento non può essere assolto mediante la mera citazione di una massima giurisprudenziale nè può sostanziarsi in una richiesta alla Corte di accertare la violazione o falsa applicazione delle norme indicate. Il quesito formulato dal ricorrente, incomprensibilmente collocato dopo la trattazione del secondo motivo, non rispetta il modello sopra enunciato e si rivela inappropriato.

Il secondo motivo adduce violazione o falsa applicazione della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 7, con riferimento all’avvenuta disapplicazione dell’eccezione di irritualità della procedura di rilascio per difetto dei presupposti di cui alla norma indicata.

Anche questo motivo presenta un quesito che demanda alla Corte l’enunciazione del principio di diritto e prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata, la quale aveva rilevato la novità della questione e, comunque, l’inapplicabilità ratione temporis della norma invocata.

Il terzo e il quarto motivo, che lamentano vizi di motivazione della sentenza impugnata sotto due distinti profili (il pagamento in tutto o in parte delle competenze al legale e l’asserita non debenza delle spese e competenze della procedura esecutiva), sono inammissibili poichè implicano accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità e, inoltre, violano il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Infine, contrariamente a quanto in essi affermato, non soddisfano l’onere processuale imposto dall’art. 366 bis c.p.c., in quanto mancano di un momento di sintesi idoneo non solo a circoscrivere il fatto controverso, ma anche a specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza risulti, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

Il quinto motivo – richiesta di declaratoria del diritto del ricorrente al rimborso di quanto pagato – presuppone l’accoglimento delle censure precedenti, mentre il sesto motivo – declaratoria di difetto di esecutorietà della sentenza impugnata in quanto pronuncia di mero merito – non muove alcuna censura alla sentenza della Corte territoriale. Pertanto il ricorso risulta inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *