CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – 2 luglio 2010, n. 15726. In tema di responsabilità professionale.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2058, primo comma, 1223 e 1225 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.c.). In particolare, ad avviso del ricorrente, i giudici di appello avrebbero omesso di considerare che il risarcimento in forma specifica, previsto dall’art. 2058 in materia di fatti illeciti, non è estensibile alla responsabilità contrattuale, della quale si discute nella presente causa.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2058, secondo comma c.c. nonché omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte, ed omessa pronuncia (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Anche a voler ammettere la possibilità di estendere il risarcimento in forma specifica alla responsabilità contrattuale, doveva ritenersi l’inapplicabilità di questa modalità risarcitoria nel caso di specie, in quanto eccessivamente onerosa per il debitore, ai sensi del secondo comma dell’art. 2058 c.c.

Sul punto era stata sollevata specifica censura da parte dell’appellante A., ma i giudici di appello avevano omesso di pronunciarsi su tale motivo di appello.

I due motivi sono privi di fondamento.

Il risarcimento in forma specifica, secondo il principio generale fissato dall’art. 2058 c.c., è applicabile anche alle obbligazioni contrattuali, costituendo rimedio alternativo al risarcimento per equivalente pecuniario. In questo senso è la giurisprudenza più recente di questa Corte.

È principio di comune acquisizione che ogni violazione di obblighi contrattuali determina, in capo all’inadempiente, il sorgere del diritto al risarcimento del danno (artt. 1218 e 1453 c.c.), con finalità di reintegrare il patrimonio del danneggiato del depauperamento subito per fatto dell’inadempiente.

In passato, si era dubitato, in effetti, circa la possibilità del risarcimento in forma specifica, sulla considerazione che l’art. 2058 c.c. è collocato nel capo relativo alla responsabilità aquiliana, laddove il risarcimento del danno contrattuale sarebbe regolato dall’art. 1223 c.c..

Una più attenta considerazione ha portato a rilevare che l’art. 1223 c.c. – la cui rubrica è, significativamente, “risarcimento del danno” – individua il danno risarcibile, come “conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento, nella duplice configurazione della “perdita subita” e del “mancato guadagno”, che si sogliono indicare come danno emergente e lucro cessante, ma non dispone alcunché sulle modalità del risarcimento.

Tali modalità devono quindi individuarsi altrove ed in particolare nell’art. 2058 c.c., che espressamente riconosce la facoltà di richiedere il risarcimento in forma specifica (oltre che per equivalente), limitandolo: a) alla sua possibilità, in tutto od in parte; b) alla non eccessiva onerosità per il debitore, da valutarsi dal giudice di merito. (Cass. 3 gennaio 2004 n. 6).

Più in particolare, con specifico riferimento al caso di specie, è stato riconosciuto che:

nel caso in cui il notaio rogante non adempia l’obbligazione di verificare l’esistenza di iscrizioni ipotecarie relative all’immobile compravenduto, dichiarando come libero un bene che risulta, invece, gravato da ipoteca e sottoposto a procedura esecutiva, il risarcimento del danno conseguente può essere disposto anche in forma specifica, mediante condanna del notaio alla cancellazione della formalità non rilevata, a condizione, tuttavia, che vi sia la possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso del creditore procedente e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per la natura dell’attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da pagare. (Cass. 27 giugno 2006 n. 14813; Cass. 26 gennaio 2004 n. 1330).

Con accertamento di merito, non censurabile in questa sede di legittimità, perché congruamente motivato, i giudici di appello hanno ritenuto la congruità della somma posta a carico del notaio A. e della parte venditrice, in relazione all’entità del danno conseguente dalla loro condotta, ed al pericolo di evizione del bene ceduto, per il prezzo effettivo di lire 50.000.000.

Deve escludersi, pertanto, sia la omessa pronuncia che la violazione di norme di diritto oltre che la sussistenza di vizi della motivazione.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che il risarcimento in forma specifico non fosse eccessivamente oneroso – rispetto a quello per equivalente – essendo necessario per entrambi il pagamento delle somme occorrenti per estinguere tutti i debiti garantiti e procedere alla cancellazione delle formalità.

Correttamente, dunque, i giudici di appello hanno ritenuto che la piena reintegrazione della parte danneggiata potesse avvenire solo con la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie, che – ove non cancellate – avrebbero esposto l’acquirente all’evizione dell’immobile acquistato.

La decisione impugnata mostra, in tal modo, di aver tenuto conto del consolidato insegnamento di questa Corte, per il quale: “In tema di liquidazione del “quantum” risarcibile, la misura del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato ma deve avere per oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa “restitutio in integrum” (per equivalente od in forma specifica, quest’ultima esperibile anche in materia contrattuale) del patrimonio leso”(Cass. 16 dicembre 1988 n. 6856).

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2058, 1223, 1225, 2041, 2702, 2703 c.c. nonché degli artt. 115, 214, 215 e 216 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte nonché contraddittoria motivazione su un punto rilevato di ufficio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Osserva il ricorrente che, in ogni caso, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere ritenuta sussistente la sua responsabilità (in qualità di notaio rogante), la stessa non potrebbe mai essere superiore all’importo di lire seimilioni, dichiarato nell’atto.

I giudici di appello, al contrario, avevano tenuto conto del prezzo risultante dal prezzo indicato nel contratto preliminare. Inoltre, i giudici di appello non avevano considerato che il pagamento di un acconto di lire 30.000.000 era avvenuto tre mesi prima della stipulazione dell’atto pubblico stipulato dal notaio.

In buona sostanza, era stato posto a carico del notaio un danno che, per la maggior parte, non costituiva conseguenza diretta ed immediata del comportamento posto in essere da quest’ultimo, ed ascrivibile esclusivamente a fatto e colpa della stessa acquirente.

In tal modo, aveva trovato accoglimento una domanda che non era di risarcimento del danno, ma di arricchimento senza causa, in violazione dei principi stabiliti dall’art. 2041 c.c. e dei principi generali di diritto in materia.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

La Corte territoriale, dopo aver dato atto che il prezzo, indicato nel contratto di compravendita, era di appena seimilioni di lire, aveva fondato la propria decisione sulla considerazione che il prezzo effettivo sarebbe stato ben superiore e pari a lire cinquantamilioni.

I giudici di appello non avevano tenuto conto del fatto che il notaio A. non era a conoscenza di tale circostanza. In mancanza di prova della esistenza di dolo in capo all’attuale ricorrente, il danno prevedibile non avrebbe potuto che essere quello corrispondente al prezzo dichiarato al momento della stipula dell’atto pubblico.

Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2858 e 2890 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).

Le disposizioni di legge richiamate fanno espresso riferimento al prezzo indicato nell’atto definitivo e non quello risultante dal contratto preliminare.

Con il sesto motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Nella sentenza impugnata non vi era alcuna valutazione in ordine alla oggettiva difficoltà di compiere gli accertamenti dalla attrice ritenuti necessari, ai fini dello svolgimento dell’incarico conferito al notaio A..

Il disservizio della Conservatoria dei registri immobiliari di Palermo ed il notevole arretrato nella registrazione delle iscrizioni ipotecarie (otto mesi con oltre 40.000 formalità non inserite) erano stati ampiamente ammessi dal Ministero delle Finanze.

I giudici di appello non avevano considerato che le due iscrizioni ipotecarie non rilevate in occasione della stipula dell’atto erano, rispettivamente, di appena 49 e 34 giorni anteriori e che l’atto, stipulato in data 24 maggio 1990, era stato trascritto il giorno 30 maggio 1990 (ancorché nel mezzo vi fossero il sabato e la domenica).

Con il settimo ed ultimo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2058 primo e secondo comma, 1223, 1225, 1227 e 2041 c.c., nonché contraddittoria ed illogica motivazione circa un punta decisivo della controversia, prospettato dalla parte e rilevabile di ufficio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Nel condannare il notaio A. a cancellare le due ipoteche, il cui ammontare complessivo risaliva a lire 56.126.931, la Corte territoriale aveva di fatto determinato i danni liquidati in un importo superiore a quello che la stessa L.G. assumeva essere stato il prezzo vero da questa ultima corrisposta alla parte venditrice (superiore, quindi, ai danni che la acquirente riferiva di avere subito).

I cinque motivi di ricorso, dal terzo al settimo, da esaminare congiuntamente, sono privi di fondamento.

La Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di condannare il notaio A., in solido con la venditrice, a provvedere a sue spese alla cancellazione delle iscrizioni ipotecarie sull’immobile compravenduto.

Dopo aver escluso la eccessiva onerosità del relativo incombente, i giudici di appello hanno ritenuto del tutto irrilevante la indicazione di prezzo riportato nell’atto pubblico, tenuto conto che la azione risarcitoria proposta dalla L.G. era finalizzata – non già al recupero del prezzo corrisposto – ma alla conservazione del bene acquistato, destinato all’evizione in ipotesi di mancata cancellazione.

In tale situazione, ha concluso la Corte di merito, il danno non poteva che essere commisurato al valore dell’immobile, acquistato dalla L.G..

Quanto alla difficoltà di compiere tutte le visure, in concreto omesse dall’A., in una situazione di grave disorganizzazione della Conservatoria dei Registri Immobiliari di Palermo, i giudici di appello hanno spiegato che – anche in difetto di uno specifico incarico da parte dell’acquirente – sul notaio rogante incombeva lo specifico obbligo di provvedere ad effettuare tutte le visure catastali ed ipotecarie di sua iniziativa.

Nessun rilievo poteva attribuirsi alla mancata espressa richiesta di effettuare le consultazioni del Registro generale d’ordine, essendo evidente l’affidamento della parte sulla diligenza del notaio, sullo scrupoloso adempimento di tutte le incombenze necessarie ad assicurare il conseguimento della proprietà del bene libero da pesi e trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, che il notaio è tenuto a curare qualunque sia il valore del cespite e, dunque, la entità dell’onorario a lui spettante, non potendosi esigere, al contrario, che la parte conosca e suggerisca al professionista le attività da compiere, che costituiscono l’oggetto della obbligazione richiesta al professionista.

Non può – hanno aggiunto coerentemente i giudici di appello – escludersi una responsabilità del notaio in conseguenza dei costi che potrebbe comportare la consultazione manuale del Registro Generale sopra richiamato, da parte di un esperto visurista, esborso che semmai il professionista avrebbe potuto ripetere dal cliente.

Né poteva invocarsi – ha concluso la Corte territoriale – la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c., concernente il caso di prestazioni che implichino la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto il mancato espletamento di una attività preparatoria importante, quale la visura dei registri immobiliari, non è tale da integrare una ipotesi di imperizia (la sola cui si riferisce la previsione di legge richiamata) ma di negligenza ed imprudenza, cioè della violazione del dovere di normale diligenza professionale media, esigibile ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve (in questo senso, cfr. Cass. 2 marzo 2005 n. 4427).

Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello sono in tutto conformi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:

“L’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti. Pertanto, il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita deve informarne le parti, quando anche egli sia stato esonerato dalle visure, essendo tenuto comunque all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e della buona fede” (Cass. 6 aprile 2001 n. 5158).

“Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio divisato dalle parti, con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità “ex contractu” per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale, peculiare, forma di responsabilità”. (Cass. 28 gennaio 2003 n. 1228).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte costituita (come da dispositivo).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.800,00 di cui Euro 2.600,00 per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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