Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-01-2011) 16-03-2011, n. 10955

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con una doppia pronuncia conforme i giudici della Corte d’assise di Monza prima e della Corte d’assise d’Appello di Milano in seconde cure, ritenevano C.N. colpevole dell’omicidio aggravato dalla premeditazione e dal fatto di esser stato il reato consumato a danno della moglie, R.L., nella notte del (OMISSIS), omicidio ritenuto provocato da asfissia.

Le prove su cui entrambe le pronunce si sono basate si possono elencare in questi termini: a) il dato medico legale rappresentato dalle dichiarazioni della dott.sa S., che concludeva sulla morte per asfissia meccanica e non per asfissia da sacchetto di plastica a seguito di suicidio, attesa la riscontrata evidente espansione del polmone della vittima, sintomo significativo dello sforzo operato dal corpo per vincere l’ostacolo alla introduzione di aria nelle vie respiratorie, nonchè alla luce dell’abbondanza del liquido schiumoso alla biforcazione tracheale segno di un enfisema intenso e di un edema prodotti dall’esasperata espansione polmonare, risultati entrambi di una reattività che non è riscontrabile nei casi di suicidio e che depongono quindi per asfissia meccanica, dal momento che il rapido determinarsi della morte in caso di riflessi vaso-vagali o fibrillazione ventricolare comporta l’assenza di segni asfittici marcati; b) il dato medico obiettivo rappresentato dalla presenza sul corpo della donna di tracce di lesione alla mucosa labiale, con infiltrazione emorragica su tutto il labbro, significativa di azione compressiva dell’arcata dentaria contro la superficie mucosa del labbro superiore (mai riscontrabile in ipotesi di suicidio con sacchetto di plastica), nonchè la presenza di escoriazioni alle guance riconducibili ancora all’opera di compressione, di ecchimosi ai polsi, alle braccia ed al bacino, compatibili con manovre di afferramento e di immobilizzazione della donna; c) il dato obiettivo della presenza di frammenti di sacchetto di plastica bianco verde rinvenuti sotto il letto, con tracce ematiche della donna, che accreditava una manovra di strappo dei sacchetti usati dall’aggressore ad opera della vittima, sacchetti successivamente fatti sparire in quanto non rinvenuti all’esito di accurato controllo della casa e dintorni; d) il dato biologico, acquisito all’esito di indagini condotte su due frammenti di plastica gialla con presenza di tracce biologiche della vittima e profili dell’imputato oltre che tracce ematiche della donna; e) il dato biologico del mancato rinvenimento nel sacchetto rosso in cui era avvolta la testa della vittima di tracce biologiche a seguito di espulsione di materiale biologico per via degli spasmi per la mancanza d’aria, che portava a ritenere che l’avvolgimento della testa nel sacchetto avvenne dopo l’asfissia e dunque portava ad escludere l’ipotesi suicidiaria; f) i dati offerti dalla perizia B. che concludeva per un soffocamento esterno della donna, anche in ragione della lesione riportata dalla donna sulla bocca, nonchè per l’esiguità del materiale rinvenuto all’interno del sacchetto che avvolgeva il capo della vittima; g) i dati offerti dalla visione del filmato operato durante il sopralluogo dagli investigatori, sulla corretta acquisizione dei reperti; h) l’esito di indagine compiuta sul computer dell’imputato che aveva evidenziato una quotidiana frequentazione su siti a carattere masochistico e tra questi ve ne era uno che rinviava a sezione dedicata alle pratiche del controllo del respiro, mediante l’uso di sacchetti di plastica sulla testa, nonchè l’accertata ripresa di scambio di messaggi erotici sul web con la nuova amante ad opera dell’imputato, a pochi giorni dal lutto che lo aveva colpito.

Veniva esclusa dai giudice di merito che la donna abbia vissuto, prima del fatto, uno stato di prostrazione tale da indurla al suicidio – poichè è su questo versante che si è spesa e si spende la difesa dell’imputato – in primis, perchè la R. era una donna in carriera che gestiva una solida e gratificante attività imprenditoriale e per quanto avesse proprio nel giorno di Natale avuto la certezza della relazione extraconiugale del marito, la reazione che l’aveva colta era proiettata più sul versante dell’immagine, che non sul piano della sofferenza per la perdita del compagno di vita, che era soggetto con cui era venuto meno ogni legame e che ella non stimava da tempo. In tal senso non veniva ritenuta metodologia appagante, in quanto non corroborata da valore scientifico poichè non basata sull’esame diretto del paziente, la psicobiografia del prof. Br., che concludeva sulla compatibilità tra la situazione in cui versava la donna e l’atto suicidiario.

Poichè il C. aveva prodotto le registrazioni di conversazioni intercorse con la moglie, che si era procurato proprio a comprova della difficoltà di rapporti con la stessa, entrambe le Corti di merito ritenevano poco probante questo dato, perchè si tratta solo di stralci di conversazioni registrate, atteso che il C. ritenne lui il momento giusto per accendere o spegnere il registratore, con il che molto spesso alle domande poste dalla moglie non è dato conoscere la risposta che ne seguì per una intempestiva chiusura della registrazione, non imposta da circostanze esterne e poi perchè l’operazione di registrazione animava il sospetto che l’uomo avesse cercato di precostituirsi l’immagine del marito che accettò di dormire con la donna per venirle incontro, qualora si fosse sentita male nella notte, seppure la donna risulti che lo abbia invitato ad andare a dormire, come era ormai sua abitudine, al piano superiore. Non solo, ma i giudici di merito sottolineavano che il C. aveva provocato la moglie con alcune domande che facevano espresso riferimento al suicidio, onde farla apparire come aspirante suicida, domande a cui la moglie peraltro aveva risposto dicendo che "quando si è depressi si possono fare pensieri negativi più del solito, ci si dispera cinque/dieci minuti, una giornata, dopo di che si dice basta, stop e si ricomincia" e ad altra domanda provocatoriamente rivoltale dal marito, ripetè che non l’avrebbe mai fatto di suicidarsi, emergenze queste che venivano privilegiate, perchè di diretta provenienza della vittima dalla Corte di merito, per escludere che la stessa avesse alcuna confidenza con l’idea di suicidio. E ancora veniva valorizzato dai giudici di merito – per escludere che la donna fosse rimasta sconvolta e disperata all’idea del tradimento e del definitivo allontanamento del marito – il dato sempre offerto dalle registrazioni, secondo cui la R. si rivolse al marito dicendo solo che le dispiaceva, perchè per il bene dei ragazzi, lo aveva sopportato per quattordici anni.

Veniva ritenuto quindi che era stato il C. ad aver asfissiato la moglie, adoperando le mani, sacchetti di plastica e cuscino, verosimilmente aggredendo le donna assopita deliberatamente e con premeditazione, dopo averla artatamente provocata sul tema del suicidio ed aver registrato le sue reazioni a seguito dell’indotto ritrovamento dei biglietti d’amore che la sua amante gli inviava, al fine di consentire l’autonoma presa di conoscenza da parte della moglie della realtà nuova con cui doveva confrontarsi. Il momento in cui venne concepito l’omicidio veniva fatto risalire al tempo in cui alla R. furono fatti trovare detti bigliettini dell’amante dell’imputato; è stato ritenuto che il proposito era rimasto fermo, attesa la reiterazione delle registrazioni nella notte tra il (OMISSIS); veniva altresì interpretata come forzata e mossa da ben altri intenti, la manifestata volontà di dormire con la moglie quella notte, – contrariamente a quanto l’imputato faceva da tempo – salvo allontanarsi dalla camera, a suo dire alle sei del mattino. Veniva ritenuto un movente di natura economica, poichè come vedovo avrebbe partecipato alla successione della donna, mentre da divorziato avrebbe perso i diritti successori. Venivano negate le circostanze attenuanti generiche per l’efferatezza ed il cinismo manifestato e veniva inflitta la pena dell’ergastolo.

La difesa già in sede di appello, aveva contrastato la ricostruzione omicidiaria, in primis contestando le prove scientifiche, poichè l’abbinamento sacchetto più cuscino come strumenti di soffocamento era di difficile attuazione e poi perchè il dato genetico tendeva ad escludere che il cuscino fosse stato frapposto tra le mani ed il viso della donna; in secondo luogo veniva opposto che le lesioni riportate dalla R. erano compatibili con una violenta discussione che a detta dell’imputato intervenne in due occasioni nella notte; ancora era stato assunto che la presenza di materiale biologico dell’imputato sui frammenti di cellophane non era significativa, che gli accertamenti peritali sul frammento di cellophan bianco-verde si ponevano in contrasto con la dinamica omicidiaria, così come l’analisi dei tre frammenti di cellophan trovati sotto il letto, che i sacchetti usati per il presunto soffocamento non erano stati ritrovati e che non erano state percepite grida, dati tutti che portavano a propendere più favorevolmente per la tesi del suicidio.

In seconda battuta era stato contestato il percorso di natura logica deduttiva che avevano compiuto i giudici di primo grado, sulla base inferenziale che avevano a disposizione. Veniva anche avanzata dalla difesa l’ipotesi che si abbia riguardo a fattispecie di cui all’art. 586 o all’art. 584, ipotesi non supportata però dalle spiegazioni dell’imputato che prendeva le distanze in modo radicale dal fatto, ammettendo solo che nella notte si erano registrati due episodi di forte agitazione della moglie e che lui aveva dovuto calmarla.

I giudici di secondo grado hanno disatteso la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale tesa a fare disporre una perizia medico legale, volta ad accertare la natura di tracce ematiche riscontrate sul frammento di plastica verde-bianco, non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 603 c.p.p., non versandosi in una situazione processuale dal significato incerto, tale da ricevere un contributo considerevole e molto utile ai fini della decisione. Dopo di che, hanno esaminato nel dettaglio le plurime doglianze della difesa, ribadendo che la scena del delitto non venne alterata, così come attesta il filmato del prelievo dei reperti che da conto della posizione composta del corpo della vittima, giungendo all’esito di ogni singola disamina dei rilievi difensivi, a concludere sulla portata insuperabile delle prove scientifiche che sono state raccolte e che conducono in modo indiscusso a favorire l’ipotesi omicidiaria.

2. Avverso la sentenza ha interposto ricorso per Cassazione l’imputato, pel tramite dei suoi difensori per dedurre:

2.1 nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la conclusione in termini di condotta omicidiaria da ascrivere al C. sarebbe basata su argomentazioni fondate su dati contrastanti con il senso della realtà e viziate da insormontabili e vistose incongruenze, non accettabili da parte del lettore razionale della sentenza e da osservatori disinteressati alla vicenda. In particolare si contesta il passaggio della sentenza in cui i giudici di merito hanno dato per scontato che il C. abbia fatto volutamente scoprire alla moglie le prove del suo tradimento (non occultando gli scritti che lo conclamavano), contando sul fatto che la moglie gli avrebbe rinfacciato il torto subito e la circostanza avrebbe offerto la giustificazione di un atto anticonservativo; viene sottolineato che il C. aveva già programmato una vacanza per fine anno in Liguria con l’amante, il che contrasterebbe con la programmazione dell’omicidio. Secondo la difesa, invece la storia del matrimonio tra C. e R. offriva motivi più che sufficienti per giustificare un suicidio da parte della donna, – dal che era inutile inscenare un contesto stimolatore in tal senso – visto che la vittima aveva una personalità contorta e tormentata ed era insoddisfatta del rapporto con il marito. Viene ripresa la psicobiografia del prof. Br. che dette conto dello stato depressivo della donna e della sussistenza del rapporto causa effetto (depressione-suicidio); viene lamentata la eliminazione del dato dal quadro dei criteri di giudizio e valutazione, laddove invece i giudici di merito sono giunti ad ipotizzare uno stato depressivo del C. operando una sorta di compensazione tra le depressioni dei due. Non solo, la motivazione sarebbe incoerente nell’indicare la causale – di natura economica – dell’omicidio, poichè vi è agli atti prova di un’ autonomia professionale del C., avendo lo stesso ricoperto incarichi prestigiosi, prima di entrare nelle aziende della famiglia R..

Viene poi contrastato il percorso logico seguito dai giudici di merito nell’inferire che l’atto di omicidio fu compiuto utilizzando mani, due sacchetti di plastica e cuscino, in modo da superare la resistenza della moglie, visto che è agevole obiettare che l’operazione di contemporaneo utilizzo di sacchetti e cuscino è impossibile, non solo, ma se C., come è stato detto, soffocò la moglie, dovevano essere rilevate tracce più significative, sul corpo, quali ad es. fratture al setto nasale;

ancora si contesta che la sentenza abbia definito la richiesta precisa della difesa di individuare se prima sia stato usato il cuscino ovvero i sacchetti, inconferente, perchè relativa a dettagli di nessun rilievo, laddove invece solo attraverso l’analisi di queste condotte e della esatta sequenza degli atti si poteva giungere a discriminare l’ipotesi del suicidio da quella dell’omicidio, in una situazione che è permeata da incertezza e dove si ripresenta in ogni passaggio, il dilemma dell’alternativa suicidio/omicidio e dove l’incompatibilità di un dato con un’ipotesi, avvalora l’ipotesi opposta. Ed il dato più forte che porta ad escludere l’omicidio, sarebbe per la difesa l’assenza di pressione violenta esercitata dall’esterno sul volto della vittima. I rilievi di natura medica utilizzati dalla sentenza sarebbero invece dati neutri, rispetto alla loro attitudine a far propendere per l’una o l’altra tesi. Viene fatto rilevare che la lesione al labbro era stata ampiamente spiegata dal C. che aveva parlato di attacchi e quindi di colluttazione avuti dalla /e con la R., a più riprese nella notte e che egli dovette prenderla per le braccia stringendo la sua faccia, spingendola con la mano, spiegazione ignorata dai giudici di merito. Il comportamento descritto dal C. come tenuto sarebbe assolutamente compatibile con le lesioni riscontrate e si offrirebbe ad una lettura contraria all’ipotesi omicidiaria. Parimenti si duole la difesa che la Corte territoriale abbia valutato in senso sfavorevole all’imputato la mancanza di tracce biologiche della vittima all’interno del sacchetto rosso che conteneva il capo della donna, poichè il dato avrebbe ancora una valenza neutra, potendosi ipotizzare una asfissia da inibizione nervosa riflessa, che non comporta la presenza di tracce. Ed ancora, la difesa contesta che tra il sopraggiungere degli investigatori ed il momento in cui venne scoperto il cadavere, passò del tempo e che quindi il luogo del delitto potè essere stato contaminato, ad es. con la involontaria rimozione dei frammenti di plastica che possono muoversi anche con un leggerissimo spostamento di aria, frammenti che sono stati decisivi nella valutazione. Infine, per nulla decisive sarebbero le macchie di sangue trovate sul cuscino, poichè compatibili con l’azione di allontanamento che pose in essere nella notte il C., macchie modeste che proprio per questo hanno indotto a ipotizzare il combinato uso di sacchetti e cuscino, frutto di mere supposizioni su cui si è giocata la soccombenza della tesi del suicidio, che a detta della difesa, deve invece prevalere su quella dell’omicidio.

2.2. nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla sussistenza dell’aggravante della premeditazione. Si contesta che la sussistenza dell’aggravante sia stata tratta dal fatto che il C. aveva prenotato un appartamento per trascorrere Capodanno con l’amante, laddove la circostanza deporrebbe in senso assolutamente contrario, a riprova di un atto maturato all’improvviso, visto che difficilmente avrebbe potuto allontanarsi per una vacanza, subito dopo un funerale.

Inconsistente sarebbe poi l’argomento usato dalla Corte territoriale sulla pretestuosità delle registrazioni dei colloqui con la moglie, in quella fatidica notte, mirate a dimostrare di averla trascorsa nel letto della moglie, posto che la difesa ritiene assolutamente non necessario questo accorgimento nell’ipotesi dell’omicidio.

2.3 nullità della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione di legge penale, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: si lamenta la difesa che gli argomenti usati dai giudici di merito, per negare l’applicazione dell’art. 62 bis c.p. è inconsistente, perchè si è fatto riferimento alla gravità del fatto, alla circostanza che il cadavere venne fatto trovare dal figlioletto di dieci anni, che invero si recò casualmente in camera della madre e perchè l’imputato non ha confessato.

2.4. nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa il mancato accoglimento dell’istanza di rinnovazione dibattimentale: le sentenze di merito avrebbero fatto riferimento ad un frammento di un sacchetto bianco e verde trovato sotto il letto della R., su cui sono state trovate tracce di sangue della donna che dava fiato all’interpretazione secondo cui sarebbe stato usato un terzo sacchetto per schiacciare la bocca della vittima, che avrebbe quindi sporcato i lembi rinvenuti; ma la difesa aveva fatto rilevare che la donna, in quanto indisposta, aveva una seconda fonte di sanguinamento, per cui era stato chiesto di accertare la provenienza del sangue che aveva macchiato il frammento suddetto. L’accertamento avrebbe avuto modo anche di attestare la tesi difensiva sulla intervenuta, ancorchè involontaria, manipolazione dello stato dei luoghi, ma la Corte territoriale ha opposto erroneamente che l’indagine non avrebbe fornito risultati affidabili e che si aveva riguardo a reperto risalente nel tempo e quindi degradato, insuscettibile di esame, laddove dice la difesa, è notorio che le tracce di DNA si conservano nel tempo.

3. Nelle more del giudizio avanti questa Corte sono stati presentati motivi nuovi con memoria difensiva, con cui vengono richiamati principi fondamentali del sistema giuridico che a detta della difesa, sarebbero stati ignorati dalle corti di merito ed in particolare il principio secondo cui le prove devono persuadere al di là di ogni ragionevole dubbio: viene ribadita la doglianza sulla ingiustificata sottovalutazione delle conclusioni in sede di psicobiografia del prof. Br.; viene lamentata la gratuita demolizione della deposizione della psicologa dr.sa b., che parlò di stato depressivo della vittima, affetta da psicosi compensata, con sensi di colpa e struttura psichica borderline, che aveva visitato la vittima per ben otto mesi, in epoca non sospetta (la Corte d’appello ha precisato che il dato risaliva a ben otto anni prima del fatto);

viene opposto che non è stato considerato che i genitori della vittima avevano tentato di evitare notizie in ordine alla plausibilità di un suicidio, tanto che la madre della vittima aveva rimproverato il C. di avere chiamato i Carabinieri e che è stato trascurato che la vittima aveva un atteggiamento collerico con i figli; viene riproposta la doglianza sulla illogicità della valutazione offerta in sentenza dei dati raccolti sull’intervenuta presa di contezza nella R. del tradimento del marito; viene lamentato che i tentativi del C. di parlare con i suoceri e sacerdoti prima, e poi a personale specializzato, sia stato trascurato, laddove la tempistica non sospetta dei colloqui e le persone scelte sono elementi che avrebbero dovuto convincere della sincerità delle preoccupazioni dell’uomo per la sorte della moglie.

Ancora è stato contestato il movente causale individuato dai giudici di merito, atteso che il C. aveva accesso ai fondi riservati della famiglia a cui avrebbe potuto attingere senza difficoltà e senza tema di richieste in restituzione, tanto più che sarebbe stato provato che l’imputato era soggetto che non amava l’agiatezza; si insiste in via subordinata per l’esclusione dell’aggravante della premeditazione, poichè i dati utilizzati nelle sentenze di merito non sono significativi per comprovarne la sussistenza e nulla è stato detto sulla distanza temporale fra il momento in cui insorse il proposito criminoso e quello dell’esecuzione del delitto, così come nessuna parola sarebbe stata spesa per dimostrare che tra i due momenti c’è stato quel necessario collegamento psicologico permanente. Sono stati quindi ribaditi i plurimi profili di vizio della sentenza impugnata, in termini di violazione di legge a cui vengono aggiunte, come asseritamente violate, le norme processuali di cui agli artt. 533 e 546 c.p.p., per mancato rispetto del principio del ragionevole dubbio e per mancata enunciazione delle ragioni per le quali sono state ritenute non attendibili le prove contrarie.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, in quanto infondato.

Relativamente al primo motivo di ricorso, il Collegio osserva che la sentenza impugnata non sconta alcun deficit dal punto di vista motivazionale, in quanto lo sviluppo argomentativo della stessa è fondato su una coerente analisi critica dei plurimi elementi di prova disponibili, sulla loro corretta concatenazione e coordinazione in un organico quadro interpretativo, tale da sottrarsi alla censura di illogicità del lettore razionale o dell’osservatore disinteressato.

La solida base inferenziale su cui si è innestato il ragionamento dei giudici di merito è rappresentata da dati di natura scientifica, di indiscusso valore probante, segnalati per la loro attitudine dimostrativa in sede di perizia (furono accertati in sede di autopsia, enfisema intenso ed edema prodotti da un’esasperata espansione polmonare segno di reattività incompatibile con il suicidio, tracce di lesioni sul corpo della donna indicative di un’opera di compressione dell’arcata dentaria contro la mucosa del labbro inferiore, nonchè di altre lesioni indicative di un’attività di immobilizzo del corpo ad opera di terzi, mancato rinvenimento all’interno del sacchetto che avvolgeva il capo della donna di tracce biologiche dovuti agli spasmi per mancanza di aria che conduceva a ritenere che l’avvolgimento della testa della deceduta fosse intervenuto dopo l’asfissia), che hanno fatto prevalere, senza tema di smentita, l’ipotesi accusatoria dell’omicidio, depotenziando nel contempo la portata delle emergenze disponibili caratterizzate da minore tasso di oggettività.

E’ bene ricordare in proposito che al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo della motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione o l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione del fatto, preferiti a quelli adottati dai giudici di merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa, per la semplice ragione che questa operazione trasformerebbe il giudice di legittimità in un terzo giudice del fatto e gli impedirebbe lo svolgimento della peculiare funzione che gli è stata assegnata dal legislatore e che si esaurisce nel controllo del livello di intrinseca razionalità e di capacità a rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice, per addivenire alla decisione.

Nella presente fattispecie, entrambe le corti d’assise hanno dato conto in modo analitico, puntuale e razionale del percorso logico seguito, delle ragioni della valorizzazione dell’una, piuttosto che dell’altra emergenza, affrontando tutte le plurime obiezioni della difesa sulla portata asseritamente non dimostrativa della fondatezza dell’accusa dei molteplici elementi acquisiti, dando conto dei dati obiettivi che hanno fatto prevalere l’ipotesi omicidiaria, ampiamente supportata da dati di sicuro valore scientifico, acquisiti in sede di perizia medico legale. Il ragionamento che ha portato ad affermare la penale colpevolezza dell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, a fronte dell’insieme delle solide emergenze valorizzate, non si offre ad alcun intervento censorio, essendo del tutto ininfluenti -come ampiamente argomentato nelle due ponderose sentenze di merito- a rompere la rigorosa consequenzialità logica del ragionamento condotto, i dati segnalati dalla difesa deponenti per l’ipotesi contraria (stato depressivo della donna; difficoltà della coppia;

autonomia reddituale del C. rispetto alla moglie; mancanza di fratture del setto nasale della vittima e di pressione violenta sul volto della vittima; impossibilità di operare un omicidio per asfissia con sacchetti di plastica, mani e cuscino; mancato accertamento sulla esatta successione dei movimenti attraverso sacchetti, mani e cuscino; eventualità di morte per asfissia da inibizione nervosa riflessa; altamente probabile alterazione dello stato dei luoghi).

Il secondo motivo è parimenti infondato, in quanto con motivazione ampia e radicata ai dati di fatto acquisiti, i giudici di merito hanno ritenuto ricorrente l’aggravante della premeditazione.

La conclusione è assolutamente in linea con il diritto vivente, secondo cui gli elementi costitutivi della premeditazione sono: 1) un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso e 2) la ferma risoluzione criminosa, perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (cfr. Cass. Sez. Unite 18.12.2008, n. 337/2009): nella sentenza impugnata risultano adeguatamente apprezzate le ragioni della concreta individuazione di entrambi gli elementi, quello cronologico e quello ideologico, reciprocamente integrati nella corretta ricostruzione dei fatti, per cui non è ravvisabile alcun vizio motivazionale, nè sotto il profilo della carenza, nè sotto il profilo dell’intrinseca razionalità. Infatti, l’insorgenza del proposito è stata collocata dai giudici di merito nel momento in cui vennero fatti trovare alla donna i biglietti dell’amante, diretti al marito e la prenotazione di una vacanza in Liguria, ritenuti idonei ad accreditare istinti anticonservativi da parte della donna; il rafforzamento del proposito è stato riconosciuto nella condotta diretta ad intervistare la vittima, provocandola su argomenti che avrebbero potuto suonare a vantaggio di lui imputato, così individuando una distanza temporale di poco meno di un giorno fra determinazione ed attuazione, ai fini della riflessione e del recesso; quindi sono stati valorizzati quali elementi sintomatici del dolo da premeditazione, l’insistenza nella provocazione della moglie e nella registrazione delle sue risposte, l’attuazione di tutto ciò che potesse dare di lei l’impressione della aspirante suicida, la determinazione di dormire con lei nella notte del fatto, l’approntata disponibilità di sacchetti e lacci al fine di attuare il progetto omicidiario preparato da tempo nei minimi particolari. Ineccepibile quindi è stato il governo della norma che la difesa assume esser stata violata, opponendo una sua interpretazione dei dati di fatto disponibili, non consentita in detta sede.

Ancora infondato, se non addirittura inammissibile, risulta il terzo motivo di ricorso, sulla errata interpretazione dell’art. 62 bis c.p.: quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, va osservato che la valutazione operata dai giudici di merito risulta fondata sulla disamina globale del fatto nella sua concretezza, non disgiunta dalla valutazione della personalità dell’imputato, anche alla luce del comportamento da lui tenuto dopo il fatto. E’ principio seguito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la valutazione operata non può essere fatta oggetto di sindacato, neppure quando difetti – situazione che nel caso di specie neppure ricorre – di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, presupponendo un giudizio di fatto, che è precluso in questa sede.

Infine, non appare apprezzabile neppure il quarto motivo di ricorso, sulla mancata rinnovazione dibattimentale, per disporre perizia di natura biologica, al fine di appurare la provenienza del sangue che aveva macchiato un frammento di sacchetto di plastica verde bianco rinvenuto. Anche sul punto la Corte d’assise d’appello ha fatto buon governo dell’art. 603 c.p.p., atteso che come è noto in tema di rinnovazione dibattimentale, in sede di appello, di prove preesistenti, il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, solo se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e che in forza del principio di presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in prime cure, la rinnovazione è istituto di carattere eccezionale, a cui può farsi ricorso solo quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti (cfr.

Cass. Sez. 1, 27.5.2010, n. 27542). Ebbene, la Corte d’assise d’appello di Milano ha dato conto in modo adeguato che la richiesta era priva dei requisiti di diritto e di fatto che ne consentivano l’accoglimento; veniva ricordato che già in primo grado era stato sottolineato che l’indagine voluta dalla difesa non avrebbe fornito risultati attendibili, poichè l’accertamento sul fatto che le tracce ematiche siano o meno origine mestruale si sarebbe dovuto condurre con tecniche non di uso corrente, di scarsa economicità e di poca affidabilità. Inoltre la Corte territoriale ha correttamente interpretato l’art. 603 c.p.p., escludendo che si versasse in ipotesi di incertezza probatoria ed ha motivato la reiezione dell’istanza sul presupposto che il quadro non presentava aspetti di problematica o contrastante lettura e che nessun elemento consentiva di ritenere che si fosse generato un fenomeno di inquinamento della scena del delitto, motivando adeguatamente, con riferimento alla intervenuta visione del filmato che riprese le operazioni di refertazione ed attraverso cui si ebbe contezza della posizione supina del corpo della donna che indossava ancora mutande e assorbente, fonte di possibili imbrattamento con sangue mestruale. Veniva infatti sottolineato come nessun contatto ebbe luogo tra reperto in questione ed assorbente o mutande della vittima, con il che l’ipotesi prospettata dalla difesa risultava del tutto svincolata dal dato processuale e come tale non poteva obbligare ad alcun approfondimento istruttorio. La motivazione è quindi ampiamente esaustiva e rispettosa dei canoni di logicità, completezza ed adeguatezza, coiscchè non presta il fianco ad alcun rilievo.

Nessuna delle violazioni dedotte con i motivi aggiunti è poi dato riscontrare, sotto il profilo del mancato rispetto del principio del ragionevole dubbio e della mancata enunciazione delle ragioni per cui sono state ritenute non attendibili le prove contrarie, atteso che il compendio amplissimo e dettagliato ha dato conto delle opposte tesi in ciascun passaggio motivazionale ed ha descritto le ragioni per le quali venivano preferite le prove correttamente ritenute a maggiore capacità dimostrativa, per il loro carattere obiettivo o per la loro maggiore concludenza. Il giudizio a cui le due corti di merito sono addivenuti è certamente stato espresso nella piena osservanza del principio del ragionevole dubbio.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo stesso va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite, che si liquidano in Euro 3.000,00 a favore della parte civile rappresentata dall’avv. Enzo MUSCO, della somma di Euro 3.000,00 a favore della parte civile rappresentata dall’avv. Luigi Bruno PEROIMETTI e della somma di Euro 3.600,00 a favore delle parti civili rappresentate dall’avv. Monica GNESI, oltre per ciascuna parte spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite, che si liquidano nella somma di Euro 3.000,00 a favore della parte civile rappresentata dall’avv. MUSCO Enzo, nella somma di Euro 3.000,00 a favore della parte civile rappresentata dall’avv. Luigi Bruno PERONETTI e nella somma di Euro 3.600,00 a favore delle parti civili rappresentate dall’avv. Monica GNESI, oltre per ciascuna parte spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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