Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza in data 9 luglio 2009, depositata in cancelleria il 24 settembre 2009, la Corte di Assise di Appello di Napoli, in riforma della sentenza 19 maggio 2008 della Corte di Assise di Napoli, assolveva P. Luigi dal reato di omicidio volontario di R. L., per non aver commesso il fatto.
1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, P. Luigi, avendo avuto con R. L. una accesa discussione all’ingresso della discoteca ‘New Valentino’ di Ischia, essendosi opposto, unitamente ad altri addetti alla sicurezza, a che il giovane entrasse nel locale per non infastidire una ragazza di cui si era invaghito – tale I. L. – una volta incontratolo nuovamente, dopo la chiusura del locale, al porto, dava incarico al buttafuori De C. Alberto di dargli due schiaffi, mentre quest’ultimo, unitamente al collega C. Salvatore (entrambi gli imputati sono stati giudicati separatamente per aver scelto il giudizio speciale dell’abbreviato) lo picchiavano duramente per poi buttarlo dal ballatoio dell’abitazione dove il R. abitava, cagionandogli così ferite dall’esito mortale.
2. – Avverso tale decisione, hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore Generale territoriale e le parti civili M. Antonio e M. Rosalba chiedendone l’annullamento. Più esattamente:
il Procuratore Generale:
– per inosservanza della legge penale, in relazione all’art. 116 c.p., in relazione all’art. 606 comma primo lett. b) c.p.p.; vizio di motivazione per mancanza e illogicità della motivazione con riferimento alle ragioni di esclusione del concorso anomalo, contraddittorietà rispetto alle circostanze risultanti da altri atti processuali, omessa valutazione di atti processuali tra cui l’esame dell’imputato all’udienza del 31 marzo 2008. La Corte, pur avendo ritenuto provato che il P. avesse dato l’incarico al De C. di dare due schiaffi al R. e pur avendo ritenuto il nesso di causalità tra il reato voluto e il diverso reato realizzato, non ha inspiegabilmente ritenuto sussistente il nesso di causalità psichica con il reato diverso attesa la ritenuta non prevedibilità. È invece emerso dall’istruttoria svolta che il P. ben conoscesse il carattere esuberante e da spaccone del De C. e come il suo comportamento potesse, senza controllo, facilmente degenerare. Il P. dunque ha assegnato un compito punitivo a una persona inaffidabile avendo peraltro percepito prima del fatto che il De C., per l’abbondante assunzione di bevande alcoliche di quella stessa sera, non si trovasse in condizioni psichiche di equilibrio avendo il soggetto manifestato peraltro la propria totale disponibilità ad agire contro chi avesse arrecato offesa al P.. Oltretutto l’imputato aveva avuto modo di percepire immediatamente che il De C. avrebbe oltrepassato i limiti imposti anche per il fatto che a lui si era unito il Colella e, nonostante ciò, non fece nulla per impedirlo.
le parti civili;
– violazione ed erronea applicazione degli artt. 110, 575 c.p. in relazione agli artt. 192 comma secondo c.p.p., in relazione all’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p. Vengono lamentati difetto e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mendacio del P. e dei suoi colleghi di lavoro. Motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica per l’omessa lettura integrata tra le dichiarazioni del F. e del V.. Quest’ultimo ha infatti dichiarato in data 26 aprile 2006 che il P., durante il tragitto di ritorno sull’aliscafo disse ai suoi colleghi che era stato presente nel momento del pestaggio commesso da altre due persone chiedendo loro, qualora qualcuno glielo avesse domandato, di rispondere che lui non c’entrava niente. La Corte non ha inoltre tenuto conto del fatto che se i colleghi di lavoro del P. hanno dichiarato falsamente che fu il Virente a porsi all’inseguimento del Colella e del C., ciò non può che voler dire che al posto del Virente c’era il P. così come non può rimanere senza significato il fatto che il P. abbia chiesto ai suoi colleghi di ritorno in aliscafo a Napoli di toglierlo dai guai;
– violazione ed erronea applicazione degli artt. 110 e 575 c.p.p. in relazione all’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p.; manifesta illogicità della motivazione relativamente alla svalutazione delle chiamate in correità provenienti dai coimputati Colella e De C.; entrambi hanno asseverato la presenza del P. sul luogo del pestaggio e la Corte non ha sufficientemente motivato su questo preciso dato probatorio;
– violazione dell’art. 584 c.p., in relazione all’art. 606 comma primo lett. b) e c) c.p.p.; la Corte di merito non ha considerato l’ipotizzabilità nella fattispecie della figura dell’omicidio preterintenzionale.
Con memoria difensiva, depositata in cancelleria in data 4 maggio 2010 ai sensi dell’art. 611 c.p.p., l’avv. Saverio S., per P. Luigi, ha avversato i ricorsi presentati dalla parte civile e dal Procuratore Generale. In relazione all’impugnativa della parte civile rilevava che i primi due motivi di ricorso fossero inammissibili perché fondati su censura non consentita in sede di legittimità proponendo per vero una rilettura delle valutazioni probatorie già effettuate dal giudice di merito, il terzo motivo si appalesa invece inammissibile perché destituito di fondamento. Non è stato per vero raggiunta la prova tranquillante che il P. avesse avuto contezza della possibile degenerazione dello sviluppo abnorme dell’aggressione stante l’incertezza del momento in cui l’imputato sarebbe giunto presso l’abitazione del R. e della posizione fisica assunta rispetto agli assalitori. Parimenti inammissibile è la terza doglianza afferente alla mancata ipotizzabilità dell’omicidio nella forma preterintenzionale. Il giudice di merito ha ritenuto per vero che l’omicidio commesso da Colella e De C. fosse stato commesso con dolo intenzionale sicché, in carenza di una specifica impugnazione sul punto, non può attribuirsi al P. un dolo preterintenzionale ove l’evento morte non è voluto da nessuno dei concorrenti.
Inammissibile doveva ritenersi inoltre il ricorso del Procuratore Generale perché fondato su censure non consentite avendo sollecitato una rilettura del compendio di prova già esaminato dal secondo giudice che non si è sottratto all’onere di valutare l’esistenza del prescritto requisito di causalità psichica avendo escluso che il P. potesse prefigurarsi la possibilità che il De C. travalicasse i limiti del mandato ricevuto.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: la sentenza impugnata va annullata con le determinazioni di cui in dispositivo.
3.1. – La giurisprudenza di questa Corte si è, da tempo, sviluppata nel solco dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale, che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 c.p., ha escluso che tale disposizione configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la fattispecie da essa delineata esige anche un rapporto di causalità psicologica concepito nel senso che il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza (Corte Cost., 31 maggio 1965, n. 42).
Lungo tale linea interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, per la configurazione del concorso anomalo, sono necessari tre elementi, e cioè: l’adesione dell’agente ad un reato concorsualmente voluto, la commissione, da parte di altro concorrente, di un reato diverso o più grave (che non sia stato dall’agente effettivamente previsto o accettato il relativo rischio di accadimento) e, infine, l’esistenza di un nesso causale, anche psicologico, fra l’azione del compartecipe al reato inizialmente voluto e il diverso o più grave reato poi commesso da altro concorrente, reato più grave che sia oggetto tuttavia di rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, di quello concordato; tenuto conto che la prognosi postuma sulla prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente deve essere effettuata in concreto, valutando la personalità dell’imputato e le circostanze ambientali nelle quali si è svolta l’azione (Cass., Sez. 5, 8 luglio 2009, n. 39339, Rizza, rv. 245152; Sez. 1, 10 aprile 1996, Angeloni ed altro; Sez. 1, 9 novembre 1995, Fortebraccio ed altro).
3.1.1. – L’esclusione della responsabilità ex art. 116 c.p. postula allora che il reato più grave si presenti come un evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, quando cioè può ravvisarsi una frattura insanabile del nesso psicologico e casuale con l’evento più grave tanto da poter ritenere quest’ultimo del tutto indipendente e autonomo rispetto a quello riferibile all’imputato (Cass., Sez. 1, 7 marzo 2003, Benigno: Sez. 1, 28 giugno 1995, Cocuzza ed altro; Cass., Sez. 1, 2 luglio 1993, Frandina; Cass., Sez. 1,22 giugno 1993, Rho).
3.2. – Ciò posto, si osserva che, nella fattispecie, la Corte di Assise di Appello non ha per contro tenuto in debito conto dei principi di diritto sovra esposti. Non è stata per vero considerata congruamente la personalità aggressiva e violenta del soggetto cui il P. si rivolse quella mattina perché fossero assestati i ‘due ceffoni’ alla parte lesa, né il fatto che il De C. avesse sviluppato un particolare sentimento di iperprotezione e di sudditanza psicologica nei confronti del P., dichiarandosi pronto a fare qualsiasi cosa per il suo amico, come emerso dalla svolta istruttoria tanto che il giudice di merito ne ha dato persino atto; né è stata tenuta presente la particolare prestanza fisica, da culturista, del De C. e dunque la sua enorme e dirompente potenzialità lesiva, se esercitata con forza e partecipazione emotiva, né che quello esercitasse l’attività di buttafuori e dunque fosse un soggetto abituato, per mestiere, a essere reattivo e combattivo in situazioni di conflittualità da risolversi, non in modo conciliante e comprensivo, bensì in maniera violenta passando facilmente alle vie di fatto; né è stato tenuto in debito conto che il De C. avesse bevuto molto quella sera (circostanza pacifica in causa, che non poteva essere sfuggita al P. che era stato in sua compagnia più volte) e dunque che potesse anche non essere del tutto lucido, nonché capace di dosare le proprie forze nell’incarico assegnatogli; non sono state considerate neppure le circostanze ambientali in cui si è sviluppato l’evento, quali, fra le altre, il fatto di essersi accorto il P. che al De C. si fosse immediatamente unito nella spedizione punitiva anche altra persona, circostanza questa che (con il disvelare quali fossero le reali intenzioni del De C. che aveva chiesto l’intervento del sodale) non poteva non essere ritenuta dall’imputato obbiettivamente eccessiva, secondo l’id quod plerumque accidit, per assolvere il compito affidato.
Del resto, che qualcosa non stesse andando secondo quanto programmato, il P. dovette averlo compreso fin da subito dal momento che, come rappresentato dal giudice di merito, sulla scia degli inseguitori del R., dietro cioè al De C. e al C., si pose fin da subito anche lui, sicché, a prescindere dalla posizione finale assunta dall’imputato, rispetto ai due aggressori, allorquando cioè gli stessi gettarono il R. giù dal ballatoio, sarebbe stato pur sempre in grado di fermare il De C. se non altro dandogli di voce o chiamandolo al cellulare.
3.3. – Ma non è stato neppure tenuto conto del fatto che l’esame autoptico ha evidenziato che il R. morì in seguito alle lesioni subite durante il pestaggio (per lo ‘spappolamento’ del fegato) e non per la caduta dal ballatoio, sicché è ancora più stringente il nesso di causalità tra l’evento esiziale e le percosse, tra la punizione fisica comandata dal P. e la degenerazione della stessa. È sfuggito altresì al giudicante la forte valenza indiziaria data dal fatto che l’unico soggetto che aveva interesse alla punizione del R. era il P. (sicché non è un caso che sia il De C. che il Co. abbiano indicato l’odierno ricorrente come unico mandante) e che dunque nulla quella mattina sarebbe accaduto se il De C., quale zelante e obbediente esecutore, desideroso di ben figurare con il suo ‘mentore’, non avesse avuto l’incarico di agire fisicamente sul R.. Non si deve infatti dimenticare che il De C. (e il C. da quello convocato) intanto si trovava a picchiare a morte il R., in quanto glielo aveva chiesto il P. posto che né il De C., né il C. avevano avuto nulla a che fare, prima, con la vittima.
Il giudice del rinvio, alla luce di quanto più sopra prospettato, previo il riesame puntuale e approfondito del materiale probatorio resosi disponibile in giudizio, dovrà pertanto scrutinare se sussista o meno in capo al P. una responsabilità ai sensi dell’art. 116 c.p.
4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 624 c.p.p. come da dispositivo.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al concorso anomalo e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli.
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