Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 16-03-2011, n. 10989

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il GIP del Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1 settembre 2010, ha disposto la misura cautelare personale della custodia In carcere nei confronti di F.M., siccome gravemente indiziato di aver tentato di cagionare la morte di G.V., colpendo la persona offesa alla testa, nella parte frontale, con una sbarra di ferro; fatto commesso in (OMISSIS).

1.1 – Il provvedimento cautelare è stato confermato dal Tribunale di Roma, investito ex art. 309 cod. proc. pen. dell’istanza di riesame, che ha ritenuto:

– "l’indisponibilità" di elementi probatori che consentissero una diversa qualificazione giuridica – lesioni volontarie – del fatto contestato all’indagato, in quanto, pur nella riconosciuta assenza di una precisa ricostruzione dei fatti, le uniche informazioni testimoniali acquisite – quelle di C.N.A., persona che si trovava in compagnia della persona offesa – inducevano a ritenere che le lesioni riscontrate a G.V. (trauma commotivo con ferita lacero contusa, suturata nel pronto soccorso e giudicata guaribile in otto giorni), erano da ricollegarsi ad una aggressione "imprevedibile ed ingiustificata" posta in essere da "uno sconosciuto" incontestatamente identificato nel F., "armato di una mazza", con esclusione di "qualsiasi alterco precedente, tra i due";

– che a ragione della gravità dell’aggressione – sintomatica di una personalità "incapace di controllare gesti o reazioni, anche nei confronti di soggetti totalmente estranei alla sua sfera personale" – e della negativa personalità del F., gravato da condanne per reati specifici (lesioni, danneggiamento e minaccia aggravata), sussistevano, sub specie di pericolo di recidiva, le esigenze cautelari che legittimavano l’adozione della misura prescelta, quale "unica cautela adeguata", espressamente precisando, quanto alle condizioni di salute ed alla documentazione prodotta dalla difesa attestante problematiche psichiatriche, che il tribunale era sprovvisto di poteri istruttori, necessari "per valutare profili di incompatibilità con il regime carcerario o comunque di capacità di intendere e di volere". 1.2 – In replica alle deduzioni difensive il Tribunale osservava in particolare: (a) che la "esatta qualificazione del fatto" andava "demandata al giudice del merito", rilevando in sede di riesame "la gravità indiziaria di un reato contro la persona connotato da modalità di particolare allarme sociale"; (b) che le argomentazioni svolte nell’ordinanza cautelare con riferimento alla qualificazione del fatto come tentato omicidio (ammissioni del F., in merito alla colluttazione da lui avuta con il G., persona che l’indagato aveva incontrato casualmente, poco dopo aver subito una rapina da parte di uno straniero, mentre percorreva la via (OMISSIS) con un carrello nel quale trasportava i suoi due cani, ritenuto "colpevole" di averlo deriso; l’idoneità del mezzo utilizzato;

natura delle lesioni riscontrate alla persona offesa), si caratterizzavano per la "completezza" e per l’aderenza ai risultati delle investigazioni espletate.

2. – Avverso tale pronuncia del tribunale ha proposto ricorso per cassazione il F., a mezzo del proprio difensore, avvocato Michele Mastrojacovo. Con l’unico ed articolato motivo di Impugnazione prospettato in ricorso, la difesa del F. deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, per violazione di legge ( artt. 273 e 274 cod. proc. pen. e artt. 56 e 575 cod. pen.) e vizio di motivazione, con riferimento sia alla qualificazione giuridica del fatto ed alla effettiva configurabilità, in particolare, dell’elemento soggettivo del reato contestato, che alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la specifica e gravosa misura adottata, avendo il Tribunale disatteso le argomentazioni difensive sviluppate sul punto in sede di riesame, con argomentazioni illogiche e comunque insufficienti, tenuto conto: a) dell’assenza di una precisa ricostruzione dei fatti riconosciuta anche nell’ordinanza impugnata; b) dell’unicità del colpo sferrato nei confronti della vittima dall’indagato, che si era allontanato volontariamente dal luogo dei fatti; c) che l’elemento psicologico del reato contestato deve assumere la forma del dolo diretto o alternativo ma non anche quella del dolo eventuale; d) dell’inidoneità dell’azione a cagionare l’evento morte, argomento questo non affrontato dai giudici del riesame che avevano trascurato, altresì, la rilevanza, del dato, desumibile dal certificato medico In atti e specificamente evidenziato dalla difesa, rappresentato dalla riscontrata presenza di lesioni anche sulle braccia e sulle mani della vittima, circostanza che avvalorava l’assunto difensivo relativo ad una lite che aveva preceduto il colpo di spranga; e) dell’assenza di un reale pericolo di vita della vittima dell’aggressione, dato questo che, unitamente alla rilevazione sulla persona offesa di lesioni tipiche di una colluttazione ed alla desistenza dell’indagato dal compiere ogni ulteriore azione, deponevano nel senso di una non esatta qualificazione giuridica del fatto contestato; f) la diretta incidenza dello status psichico sulla effettiva rappresentazione nella mente dell’agente dell’evento morte;

g) l’insussistenza di un effettivo pericolo di fuga, non integrabile in base al semplice rilievo dell’essere l’indagato persona "senza fissa dimora", posto che il F. conserva in effetti stabili legami e frequentazioni con i propri genitori, la cui abitazione costituisce anche la sua residenza anagrafica; h) l’incongruenza e contraddittorietà delle motivazioni svolte con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, avendo il giudici del riesame attribuito rilevanza ad una incapacità di autocontrollo, totalmente ignorata, invece, per quanto concerne la valutazione dell’elemento psicologico.
Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse del F. è fondata e merita accoglimento.

1.1. – L’ordinanza impugnata, presenta, infatti, rilevanti insufficienze motivazionali. Incongrua si rivela, in primo luogo, l’affermazione dei giudici del riesame secondo cui la "esatta qualificazione del fatto" va "demandata al giudice del merito", rilevando In sede di riesame, in definitiva, soltanto "la gravità indiziaria di un reato contro la persona connotato da modalità di particolare allarme sociale".

Sul punto è sufficiente osservare, infatti, che ai sensi dell’art. 280 c.p.p., comma 2 "la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni", sicchè l’eventuale qualificazione giuridica della condotta contestata al F. in termini di lesioni personali lievi (la malattia cagionata alla persona offesa, almeno in base ad una prima sommaria valutazione – non contraddetta, per altro, da significative contrastanti risultanze istruttore – risulta di durata non superiore ai venti giorni), diversamente da quanto opinato dai giudici del riesame, renderebbe illegittima la misura applicata, posto che l’art. 582 cod. pen. prevede, per le lesioni lievi, la pena della reclusione da tre mesi a tre anni, e che per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, ai sensi dell’art. 278 cod. proc. pen., non si tiene conto della contestata aggravante dell’uso di arma impropria.

1.2 – Sempre con riferimento alla qualificazione della condotta contestata al F. in termini di tentato omicidio, va altresì rilevato, che gli elementi valorizzati dal giudice che ha disposto la misura cautelare (idoneità del mezzo utilizzato; regione del corpo attinta dal colpo; entità delle lesioni riscontrate alla persona offesa) e che il Tribunale, ha ritenuto "apprezzabili" per "completezza" ed aderenza ai risultati investigativi, non presentano in realtà, ai fini della valutazione espressamente demandata ai giudici del riesame, quella rilevanza e decisività, che pure gli si riconosce nell’ordinanza impugnata. Ed invero, a prescindere dai profili di contraddittorietà ravvisabili nella motivazione, invero scarna, fornita dai giudici del riesame sul punto, ove si consideri che il tribunale, dopo aver apprezzato la completezza delle argomentazioni sviluppate nell’ordinanza cautelare, ha poi rimarcato "l’assenza di una ancora precisa ricostruzione dei fatti", quanto meno relativamente al contesto nel quale è maturata l’aggressione, è agevole rilevare che dalle ammissioni del F. e dalle dichiarazioni rese dalla persona presente ai fatti, ( C.N. A.) può solo evincersi, che l’odierno ricorrente, ebbe a colpire il G. con una sbarra di ferro (della quale, per altro, non viene precisata, nè la lunghezza nè il peso), non emergendo invece dagli elementi raccolti, con sufficiente grado di chiarezza, nè la causa di tale aggressione nè se il colpo sia stato infetto, come sostenuto dall’indagato, all’esito di una breve colluttazione con la persona offesa, nè infine, quel che più rileva, se possa ritenersi, verosimilmente, che tale unico colpo sia stato infetto con il proposito di cagionare la morte della persona offesa, nè che fosse a ciò idoneo.

1.3 – In particolare, con specifico riferimento alle ammissioni del F. – per altro definite dallo stesso Tribunale solo parziali – occorre considerare come questa Corte ha già avuto modo di precisare, ripetutamente (in tal senso, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 2587 del 23/10/1997, dep. il 27/02/1998, rie. Di Gregorio, Rv.

210074; Sez. 5, Sentenza n. 43255 del 24/09/2009, dep. il 12/11/2009, rie. Alfuso, Rv. 245721), che ai fini della ravvisabilità del tentativo, i requisiti della idoneità e della univocità degli atti "devono potersi rilevare obiettivamente dalla condotta degli agenti e dalle modalità degli atti da loro posti in essere, senza che, a tal fine, possa farsi riferimento alle intenzioni, dagli stessi eventualmente formulate" e che al giudice "non è consentito di conferire idoneità e univocità di direzione ad atti che, di per se stessi, non sono nè idonei nè univoci, attraverso il riferimento ai propositi Interni degli agenti, dei quali non si abbia conoscenza attraverso dati obiettivamente rilevabili, ma che siano conosciuti soltanto attraverso le ammissioni degli imputati". 1.4 – Orbene, una volta escluso che dalle ammissioni del F. sia possibile desumere i requisiti della idoneità e dell’univocità degli atti, deve rilevarsi come, nell’ordinanza impugnata, non sia neppure adeguatamente chiarito come tali requisiti possano comunque desumersi dalle dichiarazioni della teste C., dal momento che la stessa, per quanto è dato comprendere dalla lettura dell’ordinanza impugnata, si sarebbe limitata a riferire di un aggressione posta in essere ai danni del F., dalla stessa percepita come improvvisa, "imprevedibile" e non "giustificata" da un precedente alterco, senza fornire alcuna indicazione, però, sulla violenza del colpo infetto al G..

1.5 – Nè, per altro, idoneità della condotta dell’indagato può fondatamente desumersi esclusivamente dal tipo di arma impropria utilizzata per l’aggressione (una sbarra in ferro) e dalla regione del corpo (la testa, nella parte frontale) attinta dal colpo. Al riguardo, anche con riferimento alla fattispecie in esame, va infatti ribadita la validità e condivisibilità dell’ormai consolidato principio secondo cui "la idoneità degli atti, valida per integrare la figura del delitto tentato, deve essere, invero, considerata sotto il profilo potenziale, dal punto di vista dell’attitudine causale a conseguire il risultato prestabilito, indipendentemente da ogni intervento che in concreto abbia impedito la realizzazione dell’evento" (in tal senso Sez. 1, Sentenza n. 721 del 28/04/1988, dep. 21/01/1989 rie. Uccellatore, Rv. 180233). Ciò posto, questo collegio non può esimersi dal rilevare l’assoluta insufficienza del percorso argomentativo in tema di qualificazione giuridica del fatto, con riferimento ai requisiti della idoneità ed univocità degli atti, specie ove si consideri che nulla si precisa, da parte dei giudici del riesame, sulla "forza" con la quale, in concreto, venne infetto il colpo che attinse la persona offesa, nè sull’entità stessa del trauma commotivo cagionato, verosimilmente non particolarmente elevata, se il G., come si legge nell’ordinanza, ebbe a rifiutare il ricovero ospedaliero e se la ferita lacero contusa, suturata nel pronto soccorso, venne giudicata, dai sanitari, guaribile in otto giorni.

1.6 – Le considerazioni sin qui svolte, anche a ragione del loro carattere assorbente rispetto ad ogni ulteriore deduzione svolta in ricorso, impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rimessione degli atti al Tribunale di Roma affinchè, provveda a nuovamente esaminare l’istanza di riesame proposta nell’interesse del F., senza incorrere nelle carenze motivazionali sopra rilevate in tema di qualificazione giuridica del fatto contestato.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame sul capo al Tribunale di Roma. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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