Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-05-2011, n. 11848 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.R. citò innanzi al Tribunale di Novara L. G. esponendo di aver acquistato dal predetto una porzione di un fabbricato sito in (OMISSIS), pattuendo, quale corrispettivo dell’acquisto, che avrebbe ristrutturato la parte di edificio rimasta in proprietà del venditore il quale, per contro, avrebbe estinto il mutuo gravante sull’immobile; nonostante che la ristrutturazione fosse stata eseguita, il convenuto non aveva voluto presenziare al rogito formale di vendita nè aveva estinto il mutuo. Concluse affinchè, verificata l’autenticità delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata di vendita, si dichiarasse acquistata la proprietà della metà del fabbricato secondo quanto indicato nelle planimetrie allegate all’atto privato, condannando il L. all’estinzione del mutuo ed all’emenda dei danni subiti. Il convenuto si costituì, non contestando l’autenticità delle sottoscrizioni, eccependo però che l’attore non avrebbe ultimato – o comunque non avrebbe eseguito a regola d’arte – i lavori di ristrutturazione e perchè non avrebbe fatto sì che la parte di edificio rimasta ad esso venditore fosse di valore pari a quella ceduta; concluse per il rigetto della domanda e perchè lo stesso fosse condannato ad effettuare il frazionamento catastale ed a eseguire i lavori non ultimati, nonchè a pagare un indennizzo pari al maggior valore della parte di edificio acquistata, oltre al risarcimento dei danni.

Il Tribunale adito, con sentenza dell’aprile 1993, accertò l’autenticità delle sottoscrizioni; pose a carico del C. l’onere di procedere al frazionamento catastale necessario per la trascrizione della vendita, imponendo altresì al L. di prestare la sua cooperazione per detti incombenti; dichiarò infine detto convenuto obbligato a provvedere all’estinzione del mutuo, respingendo le altre domande.

La Corte di Appello di Torino, pronunziando sentenza n. 830/2005, rigettò l’appello del L. osservando: 1 – che il predetto non avrebbe potuto lamentarsi della disomogeneità di valore delle due parti di fabbricato a seguito dei lavori di ristrutturazione in quanto ciascuna di esse era stata esattamente individuata nell’atto di vendita ed era stata altresì riportata nelle planimetrie ad esso allegate, facendo quindi concludere che la stima delle porzioni doveva essere effettuata prima dell’esecuzione delle opere; 2 – che l’appellante neppure poteva dolersi che il C. avesse ricavato dal sottotetto un altro appartamento , non avendo sollevato obiezioni di sorta al momento della predisposizione del progetto per il rilascio della concessione edilizia; 3 – che l’assegnazione al C. di una autorimessa sita nel piano interrato, di estensione maggiore di quella dell’appellante, non era avvenuta in violazione del sorteggio previsto dalla scrittura privata, in quanto sarebbe stato lo stesso L. a preferire quel locale in quanto più vicino all’alloggio sito al piano terra, rimasto di sua proprietà; 4 – che la doglianza in merito alla mancata ultimazione dei lavori non era fondata in quanto nell’accordo intercorso tra le parti si era convenuto che il C., nella ristrutturazione, avrebbe avuto la massima libertà in merito alle scelte tecniche ed alle rifiniture, e che i lavori che il nominato CTU aveva riscontrato non esser stati ultimati attinevano appunto ad opere di finitura; 5 – che i lavori di ultimazione dell’autorimessa assegnata allo stesso L. non erano stati portati a termine per espressa disposizione del medesimo, in vista di diversa utilizzazione del locale. Il L. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, articolandolo in tre motivi; il C. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo viene dedotta la "violazione dell’art. 360 c.p.c., per motivazione insufficiente nonchè per erronea applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, in ordine alla determinazione della comune intenzione del L. e del C. nell’interpretazione della scrittura privata del 20/11/1995" assumendosi innanzi tutto che il punto D delle premesse di tale atto negoziale – nel quale si dava atto che, per pervenire alla suddivisione del fabbricato in parti uguali, si sarebbe dovuto procedere ad una diversa suddivisione delle parti interne – rendeva evidente che detta suddivisione avrebbe avuto luogo successivamente alla stipula, influenzando il momento in cui la determinazione del pari valore avrebbe dovuto essere fatta; nega altresì il ricorrente che potesse attribuirsi valore interpretativo della comune volontà negoziale alla testimonianza del geom. R. che depose nel senso che la stima doveva esser fatta prima dell’effettuazione dei lavori.

1/a – Il motivo è inammissibile in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso , non è stato riportato il testo integrale della scrittura privata, pur sollecitando il ricorrente un nuovo scrutinio del contenuto della stessa, al fine di verificare la complessiva portata delle clausole in essa contenute;

la censura in ogni caso sarebbe stata irrilevante, in presenza di plurime ragioni adottate dalla Corte territoriale per pervenire alla soluzione ermeneutica criticata, quali quella che faceva leva sull’allegazione alla convenzione delle planimetrie descrittive degli interni e sulla precisa indicazione dei locali assegnati alle parti.

2 – Con il secondo motivo – in parte anticipato nella parte finale del primo: cfr. fol. 6 del ricorso – viene censurata l’esistenza di una "violazione dell’art. 360 c.p.c., per insufficiente motivazione in ordine alla conferma della sentenza di 1^ grado che respinge la domanda riconvenzionale di dichiarare l’inadempimento contrattuale del sig. C. e di condannarlo all’ultimazione dei lavori di cui ai punti 1-2-3-4-5 della perita del Ctu o al pagamento delle relative spese quantificate dal Ctu in Euro 5.629,38 con aumento del 30%", assumendosi che la libertà progettuale e realizzativa che la scrittura privata riconosceva al C. – ed ai suoi incaricati – nell’esecuzione della ristrutturazione, non poteva essere interpretata nel senso di lasciare il compratore libero di scegliere se compiere o meno alcune delle opere di rifinitura; nega altresì il ricorrente che la risposta del L. all’interrogatorio formale – in relazione alla dichiarata volontà di non far eseguire i lavori di ristrutturazione del garage assegnatogli- fosse del tenore riferito nella gravata decisione.

La censura è infondata.

2/a – Va innanzi tutto considerato che la Corte di appello non ha disatteso le conclusioni alle quali era giunto l’ausiliare – nel considerare non eseguite alcune opere secondarie di ristrutturazione – ma ha interpretato il riferimento negoziale al concetto di "rifinitura" ritenendolo compatibile con un’esecuzione non compiuta di alcuni lavori: così operando il giudice del gravame, avendo fornito sufficiente ed argomentata spiegazione del processo logico seguito , si è sottratto a censure in questa sede.

2/b – In secondo luogo il motivo non merita accoglimento perchè la stessa Corte territoriale pose a base della sua decisione anche un’altra ragione – sottolineando il valore di implicita accettazione della completezza delle opere che sarebbe stato da attribuire alla dichiarazione di ultimazione dei lavori presentata dal L. – che non ha formato oggetto di censura in questa sede.

2/c – E’ infine inammissibile la seconda parte del medesimo motivo in quanto, in deroga al principio di autosufficienza, non viene riportato il testo – comprensivo delle domande – dell’interrogatorio del L., al fine di attivare lo scrutinio di congruità logica richiesto alla Corte.

3 – Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la "violazione dell’art. 360 c.p.c., per insufficiente motivazione in ordine alla conferma della sentenza di 1^ grado che respinge la domanda di condannare il sig. C. al pagamento delle spese di Euro 39.915,92 quale maggior valore della sua proprietà rispetto a quella del L." osservando che anche il CTU avrebbe concluso per la difformità dei due valori sin dal momento del contratto.

3/a – Il motivo è inammissibile perchè non vengono riportate per intero le argomentazioni poste dal CTU nel suo elaborato, con ciò violando il principio di autosufficienza del ricorso e non permettendo di conseguenza alla Corte efficace delibazione del motivo.

4 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 2.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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