Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-05-2011, n. 11812 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 21 aprile 1993, M.G. e B.G. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Udine Ba.Ti., e, premesso di essere rispettivamente proprietari di una unità immobiliare adibita a studio fotografico in (OMISSIS), piano terreno (distinta al N.C.E.U. del Comune di (OMISSIS) al f. 14, n. 217, sub 4), e di una unità adibita a laboratorio artigiano, sito nello stesso fabbricato, sempre al piano terreno (distinta al N.C.E.U. del Comune di (OMISSIS) al F. 14, n. 217, sub 1), che la convenuta era proprietaria dell’appartamento nello stesso stabile, al primo piano, con entrata dal piano terreno ed inoltre del giardino situato tra il fabbricato e la via (OMISSIS) e del cortile situato tra il fabbricato ed il mappale 1274, e che tra le proprietà delle parti esisteva un sottoportico rettangolare dal quale si accedeva alle tre unità immobiliari e che doveva essere attraversato per andare dal giardino al cortile, lamentavano che la Ba. dal 1992, e cioè da quando aveva iniziato ad occupare l’appartamento sito al primo piano, aveva usato detto sottoportico come se fosse stato di sua esclusiva proprietà, parcheggiandovi una o due vetture, rendendo così impossibile il passaggio delle autovetture degli attori ed a volte anche il passaggio pedonale. Esposero altresì che la Ba. aveva affermato esplicitamente la sua proprietà esclusiva del sottoportico e dei cancelli di accesso alla proprietà, come, prima di lei, aveva fatto il precedente proprietario dell’appartamento, ing. di.

b.. Gli attori esposero ancora di avere acquistato i rispettivi immobili in data 4 gennaio 1991 dalla s.r.l. Vanello e Figli, che li aveva venduti con la proprietà condominiale del sottoportico, avendoli a sua volta acquistati dalla s.n.c. Impresa Costruzioni Giuseppe e ing. b.d., che aveva acquistato da ba.gi., proprietario unico fino al 30 dicembre 1978 dei beni di cui si tratta, e sostennero che il sottoportico ed i cancelli costituivano beni condominiali. Chiesero quindi dichiararsi che esisteva un condominio riguardante detti beni, che, pertanto, essi attori potevano utilizzare a titolo di comproprietà, in particolare, il sottoportico ed i cancelli di ingresso, e, in subordine, a titolo di servitù in forza delle servitù di transito costituite con l’atto del 30 dicembre 1978, con condanna della convenuta ad astenersi dal compiere atti di utilizzo del sottoportico che impedissero loro il transito attraverso il medesimo sottoportico, nonchè al risarcimento dei danni.

La convenuta, costituitasi in giudizio, chiese in via riconvenzionale accertarsi e dichiararsi che gli attori non avevano titolo alcuno di usufruire dell’area a portico al piano terra del fabbricato in questione per accedere alle porzioni di loro proprietà, e condannarsi i medesimi ad eliminare ogni opera che materialmente lo consentisse.

Su richiesta degli attori, venne chiamata in causa la s.r.l. Vanello e figli s.r.l., peraltro rimasta contumace.

2. – Il Tribunale di Udine, con sentenza depositata il 15 maggio 2000, dichiarò che il portico in questione costituiva parte comune condominiale dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. e dichiarò applicabile per l’uso dello stesso la disciplina di cui all’art. 1102 cod. civ..

La Ba. propose gravame, al quale resistettero gli appellati, proponendo appello incidentale.

3. – Con sentenza depositata il 14 dicembre 2004, la Corte d’appello di Trieste accolse parzialmente l’uno e l’altro, dichiarando che agli attori appellati non spettava il diritto di comproprietà sul portico nè sui cancelli, e che gli stessi avevano diritto di utilizzare il portico in virtù delle servitù di passaggio a piedi costituite per destinazione del padre di famiglia. Premesso che il vano in questione costituiva un portico rientrante tra le parti comuni dell’edificio elencate nell’art. 1117 cod. civ. e che, in ogni caso, esso costituiva parte dell’edificio necessaria all’uso comune aprendosi sullo stesso quattro ingressi, due dei quali alla proprietà B., uno alla proprietà M. e uno alla proprietà Ba., la Corte ritenne che il giudice di primo grado avesse errato nella interpretazione del contratto del 30 dicembre 1978, ritenendo il portico oggetto di proprietà condominiale sulla base del testo contrattuale secondo cui oggetto di trasferimento erano i locali al piano terra con la proprietà afferente alle parti comuni indicate nell’art. 1117 cod. civ., senza considerare che nello stesso testo le parti avevano fatto riferimento alla denunzia di variazione di consistenza relativa alle porzioni immobiliari come sopra scorporate, in corso di presentazione all’U.T.E., denunzia che, indipendentemente dal suo valore confessorio, andava apprezzata, nella interpretazione del contratto, sotto il profilo del comportamento delle parti, anche successivo alla conclusione dello stesso. Infatti, alla predetta denuncia di variazione, presentata in data 2 gennaio 1979, era allegata una planimetria, compilata e sottoscritta dall’ing. b.d., legale rappresentante della società acquirente, dalla quale emergeva che il portico, come i cortili, rimaneva di proprietà della ditta ba.gi.. E poichè, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al fine di stabilire se sussiste un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dall’art. 1117 cod. civ., occorre far riferimento all’atto costitutivo del condominio, nella specie, sia che si ritenesse di individuare detto atto nel contratto del 30 dicembre 1978, sia nel precedente contratto del 24 ottobre 1955, con il quale ba.gi. aveva venduto al figlio di. la superficie del primo piano con diritto di sopraelevare e, per dare accesso al costruendo appartamento, la superficie al piano terra di mq 14,34, doveva, secondo la Corte, ritenersi provata la volontà delle parti di riservare a ba.gi. la proprietà del sottoportico.

Infondata era anche la domanda concernente la comproprietà dei cancelli, sorgendo gli stessi su terreni di proprietà esclusiva dell’appellante ed appartenendo anch’essi, per accessione, alla proprietaria del suolo, salvo l’esercizio del diritto di servitù di passaggio sui terreni – e quindi attraverso i cancelli – di cui gli appellati erano titolari. Infine, il diritto degli attori a servirsi del portico limitatamente al passaggio a piedi poteva ritenersi sussistente in dipendenza delle corrispondenti servitù costituite per destinazione del padre di famiglia. Infatti, gi.

b., unico proprietario, sino al contratto del 30 dicembre 1978, del sottoportico e dei due locali siti al piano terra del fabbricato, aveva lasciato le cose nello stato dal quale risultavano le servitù di passaggio, affacciandosi sul portico gli ingressi sia del locale attualmente di proprietà del B., sia di quello attualmente di proprietà del M..

Inoltre, la prospettazione di un diverso modo di acquisto della servitù rispetto a quello basato su titolo negoziale sostenuto in primo grado non costituiva domanda nuova preclusa in appello ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. Invece, andava dichiarata inammissibile, ai sensi della citata disposizione, la domanda proposta dagli appellati nei confronti della terza chiamata, trattandosi di domanda nuova, non avanzata in primo grado.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il M. e il B. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la Ba..
Motivi della decisione

1. – Con il primo, articolato motivo di ricorso, si deduce:

1) violazione degli artt. 2730 e 2735 cod. civ., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia;

2) violazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, e dell’art. 1363 cod. civ., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia;

3) violazione dell’art. 1117 cod. civ., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia;

4) violazione degli artt. 2644 e 2659 cod. civ., e omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Si osserva che, essendo l’ing. ba.di. il legale rappresentante della società acquirente, la s.n.c. Impresa Costruzioni Barbetti Giuseppe e ing. Dino, e non già parte nel contratto del 30 dicembre 1978, la sua dichiarazione all’U.T.E. non poteva avere natura confessoria.

Inoltre, detta dichiarazione, in quanto resa all’U.T.E. e non al venditore, sarebbe comunque solo una dichiarazione liberamente valutabile dal giudice. Infine, l’ing. ba.di. avrebbe eseguito in modo infedele le pattuizioni intervenute, avendo ritenuto per lui conveniente privilegiare la proprietà personale di suo padre – che in futuro gli sarebbe spettata per via ereditaria – piuttosto che la proprietà dell’impresa: tale infedeltà non avrebbe potuto assurgere a criterio ermeneutico. Inoltre, il fatto che le parti, nel contratto del 30 dicembre 1978, avessero espressamente riservato il giardino e il cortile alla proprietà esclusiva del venditore e non avessero inteso fare alcun riferimento alla riserva allo stesso anche del portico sarebbe stato un elemento da valutare, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., nel senso di ritenere che fosse volontà delle parti di considerare il portico come bene condominiale.

Ed ancora, la clausola con la quale era stato pattuito a favore degli immobili dei ricorrenti un diritto di accesso nella forma più lata della via (OMISSIS) a peso del giardino si sarebbe collegata logicamente al riconoscimento della proprietà condominiale del portico, mentre sarebbe stata sostanzialmente priva di senso se il portico fosse stato sottratto alla proprietà condominiale, poichè in tal caso l’unico accesso consentito alla proprietà dei ricorrenti dalla via (OMISSIS) sarebbe stato quello pedonale.

Quanto al contratto del 1955, si rileva che con tale atto giardino e portico non erano entrati a far parte del condominio, poichè l’appartamento dell’ing. ba.di. non aveva alcun rapporto necessario di utilizzo degli stessi, ma solo un rapporto funzionale con il cortile: sicchè ba.gi. avrebbe potuto liberamente disporre con l’atto del 1978 del giardino e del portico.

Inoltre, la riserva della proprietà sul portico, enunciata da ba.gi. nel contratto del 23 ottobre 1955, sarebbe risultata solo dalla planimetria allegata a detto contratto, ma non dal contratto nè dalla relativa nota di trascrizione. Gli attuali ricorrenti erano terzi rispetto al contratto del 1955, che, pertanto, poteva essere opposto agli stessi solo nei limiti della trascrizione.

2.1. – La censura, nelle sue varie articolazioni, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità. 2.2. – Essa, invero, al di là della denunciata violazione di legge, è sostanzialmente diretta ad ottenere da questa Corte una rivisitazione, inammissibile nella presente sede, della attività ermeneutica compiuta dalla Corte di merito con riguardo alla disciplina contrattuale dei rapporti coinvolti nel giudizio (contratto del 1955 e contratto del 1978). La inammissibilità della operazione è determinata dalla compiutezza e dalla assenza di vizi logici ed errori giuridici del processo che ha indotto il giudice di secondo grado ad escludere la comproprietà del portico e dei cancelli in questione.

A tale risultato la Corte d’appello di Trieste è pervenuta sulla base di una ricostruzione dettagliata dello stato dei luoghi e della volontà delle parti contraenti dell’atto del 24 ottobre 1955 e di quello del 30 dicembre 1978. In particolare, quanto al primo, il secondo giudice ha fatto riferimento alla planimetria prodotta, dalla quale risultava che il portico rimaneva nella proprietà di ba.gi., e non veniva trasferito al figlio di..

2.3. – Al riguardo, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale, al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ. occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell’ambito dei beni comuni risulti riservata ad un solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (Cass., sentt. n. 5442 del 1999, n. 1498 del 1998, n. 11844 del 1997).

Siffatta argomentazione, già di per sè sufficiente ad escludere la configurabilità di una comproprietà sui beni in questione che sarebbe stata realizzata attraverso il secondo contratto, è stata, peraltro, completata dalla Corte triestina con il ricorso alla interpretazione di quest’ultimo, con riferimento alla possibilità che, proprio alla stregua della richiamata giurisprudenza, dovesse ritenersi di individuare l’atto costitutivo del condominio in tale ultimo contratto. E, nella ricostruzione della volontà delle parti come trasfusa nel secondo atto, il giudice di secondo grado ha sottolineato il riferimento, in esso contenuto, a quella denunzia di variazione che lo stesso giudice ha affermato di aver apprezzato a prescindere dal suo valore confessorio – del quale i ricorrenti hanno escluso la sussistenza per non essere il soggetto che vi aveva provveduto una delle parti contraenti – , sotto il profilo del comportamento delle parti, idoneo a fornire un contributo alla interpretazione del contratto.

2.4. – Quanto all’elemento, valorizzato nel ricorso, della mancata trascrizione – e, quindi, della inopponibilità ai terzi – della volontà di ba.gi. di riservarsi la proprietà del portico, la relativa questione, come correttamente rilevato dalla controricorrente, è stata dedotta per la prima volta nel presente giudizio. Al riguardo, deve sottolinearsi che, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., sett. n. 994 del 1981, n. 1105 del 1978), il difetto di trascrizione di un atto non è rilevabile di ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore.

3. – Con la seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 1117 cod. civ. nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Per quanto riferito con riguardo alla prima censura, con il contratto del 1955 il condominio era sorto anche con riferimento al cortile, e, quindi, al cancello che dal cortile consente l’accesso alla via pubblica.

4. – La censura risulta inammissibile per genericità. Con essa, infatti, si assume apoditticamente, in assenza di alcuna argomentazione che non rappresenti un mero rinvio a quanto affermato nel primo motivo di ricorso inammissibile per quanto rilevato sub 2.2.,2.3. e 2.4. – , la comproprietà del cortile per effetto della stipulazione del contratto del 1955. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio – che vengono liquidate come da dispositivo – devono, in ossequio al criterio della soccombenza, essere poste a carico dei ricorrenti in via solidale.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *