Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-12-2010) 16-03-2011, n. 10676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che decidendo a seguito di sentenza di annullamento con rinvio della Corte Suprema, ha determinato la pena nei confronti di A.A., ritenuta la continuazione tra il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso del presente procedimento e quello di associazione a delinquere di cui alla sentenza della la luglio 1986 della Corte d’assise di appello di Reggio Calabria, in continuazione con i reati di tentata estorsione pluriaggravata ed incendio doloso pluriaggravato unificati dal vincolo della continuazione, di cui alla sentenza della Corte d’assise di appello Reggio Calabria dell’11 agosto 2000 determinando tale pena in complessivi anni nove, ricorre la difesa dell’ A. lamentando il vizio di violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena, perchè nel determinare la pena base del più grave reato la Corte di merito vi avrebbe ricompresso anche l’aumento di pena determinato dai reati in continuazione di cui alla sentenza dell’11 agosto 2000. 1.1 Il ricorrente, richiamandosi alla sentenza n. 11462 del 1997 di questa Corte, che chiarisce che per il reato continuato deve essere presa a base la pena per il reato più grave senza tener conto dell’aumento per la continuazione, afferma che la Corte di Assise di appello di Messina, in violazione dell’art. 81 cpv. c.p. e art. 597 c.p.p., comma 3 e 4, ha quantificato in complessivi anni tre l’aumento di pena per i reati di cui alla sentenza del 11.08.2000, che aveva determinato in anni tre l’aumento per la continuazione per complessivi quatto reati. Erroneamente però,in grado di appello , la pena per tale continuazione era rimasta immutata anche se l’imputato era stato assolto da due dei quattro reati in continuazione, con relativo lesione del principio del diniego di reformatio in pejus ed ricorrente si duole che la Corte d’assise di appello di Messina, nel determinare la pena, non ha motivato in ordine alle ragioni del trattamento sanzionatorio.
Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

2.1 La Corte di merito,infatti, seguendo le direttive del giudizio di rinvio ha autonomamente determinato la pena per i reati di cui alle imputazioni sub A/30 e sub A31, senza fare rinvio alla pena in precedenza determinata dal precedente giudice, pena che la Corte di Cassazione aveva annullato.

Nel motivare il quantum della pena,infatti, la Corte d’appello di Messina ,ha non solo circoscritto il proprio intervento ,secondo le indicazioni del rinvio, alla rideterminazione ex novo degli aumenti di pena di tutti i reati satelliti ma ha anche dato atto dei parametri di riferimento cui andava commisurata l’entità della pena, e che ha individuato nella gravità del reato associativo; nel contesto di stampo mafioso esteso e articolato, nel quale sono maturati i reati satelliti di cui ai capi A 30 ed A 31; nella gravità del danno inflitto alla persona offesa e nell’intensità del dolo.

2.2 A fronte dell’esauriente motivazione, articolata ed attenta, il motivo di ricorso si dimostra del tutto pretestuoso.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, che sono chiaramente pretestuosi e quindi idonei a dimostrare la sua colpa.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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