Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-12-2010) 16-03-2011, n. 10674

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Alecce Patrizio del foro di Roma, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 16 febbraio 2010 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza emessa in data 29 novembre 2006, all’esito del giudizio abbreviato, dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma con la quale F.M. e P. S., assolti ex art. 599 c.p. dal reato di ingiurie, erano stati dichiarati colpevoli dei reati di percosse ai danni di Pe.

M. e di danneggiamento aggravato dell’autovettura del Pe., reati commessi in (OMISSIS) all’esito di una discussione per motivi di viabilità. Unificati i reati dal vincolo della continuazione, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e con la diminuente per il rito, gli imputati erano stati condannati ciascuno alla pena di Euro 200,00 di multa oltre al pagamento in solido delle spese processuali, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione.

Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto, tramite i due difensori, ricorso per cassazione.

Con il ricorso depositato dall’avv. Patrizio Alecce si deduce:

1) la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, la violazione degli artt. 125 e 192 c.p.p., e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), l’omessa decisione in ordine ad un motivo specifico di gravame, il travisamento del fatto o della prova, l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, la violazione dell’art. 52 c.p. per avere i giudici di appello omesso di valutare le specifiche doglianze difensive riguardanti in particolare le sostanziale difformità nella ricostruzione dei fatti da parte della persona offesa rispetto a quella del teste V. e l’incompatibilità delle dichiarazioni in questione con la versione dei fatti degli imputati; di conseguenza vi sarebbero tre diverse ricostruzioni della vicenda: a) secondo il Pe., l’aggressione ai suoi danni sarebbe partita dal F., che aveva poi danneggiato la sua autovettura; b) secondo il V. vi sarebbe stata una colluttazione a tre, in cui era stata coinvolta la P., con spintonamenti reciproci e, successivamente, la P. avrebbe dato un calcio e uno schiaffo al Pe. e il F. avrebbe danneggiato l’autovettura; c) secondo l’imputato F. ad essere aggredito sarebbe stato lui unitamente alla P., la quale da parte sua aveva negato di aver colpito il Pe.; i giudici di appello non avrebbero spiegato le evidenti contraddizioni tra la persona offesa e il teste V. circa il ruolo della P. e, comunque, non sarebbe stata raggiunta la prova della responsabilità degli imputati "oltre ogni ragionevole dubbio", considerato anche che la rappresentazione dei fatti del F. era riscontrata dal certificato medico in data (OMISSIS) (prognosi di quindici giorni, poi altri quindici) e dalla fattura in data (OMISSIS) circa i danni riportati dalla propria autovettura, mentre al Pe. risultava rilasciato un certificato medico con prognosi di un solo giorno; sussistevano invece per il F. gli estremi della scriminante della legittima difesa sulla cui configurabilità nel caso concreto i giudici di appello non si erano pronunciati;

2) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, la violazione dell’art. 110 c.p., la manifesta illogicità della motivazione, la violazione degli artt. 125 e 192 c.p.p. essendo stata dichiarata la responsabilità della P. nonostante l’assenza di una specifica denunzia della persona offesa circa eventuali lesioni subite ad opera dell’imputata e l’estraneità della stessa al danneggiamento dell’autovettura; i giudici di appello si sarebbero limitati a ricorrere all’istituto del concorso eventuale di persone nel reato, pur in assenza di un comportamento dell’imputata idoneo a costituire un impulso psicologico all’azione criminosa materialmente posta in essere dal coimputato;

3) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, la violazione dell’art. 635 c.p., la manifesta illogicità della motivazione, la violazione degli artt. 125 e 192 c.p.p. relativamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del fatto commesso con violenza alla persona per il reato di danneggiamento messo in atto, secondo il teste V., in un arco temporale successivo al litigio per motivi di viabilità;

4) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, la violazione dell’art. 84 c.p., la manifesta illogicità della motivazione, la violazione degli artt. 125 e 192 c.p.p. circa la mancata configurazione nel caso di specie, ove si dovessero ritenere contestuali i due reati contestati, dell’unica figura criminosa del danneggiamento aggravato dalla violenza alle persone comprendente anche la violenza insita nelle percosse.

Con il ricorso depositato dall’avv. Luca Spaltro si deduce:

1) la mancanza assoluta di motivazione sulle circostanze dedotte nel primo motivo di appello circa la diversità delle ricostruzioni dell’episodio da parte della persona offesa e del V.;

2) la violazione dell’art. 635 c.p., comma 2 per la ritenuta sussistenza dell’aggravante, la cui esclusione comporterebbe l’improcedibilità per mancanza di valida querela (presentata dal secondo difensore nominato in querela, non delegato al deposito dell’atto).

I ricorsi sono inammissibili.

Quanto al ricorso depositato dall’avv. Alecce, si osserva quanto segue.

Il primo motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità degli imputati si desumeva principalmente dalle dichiarazioni del teste V., di cui nella sentenza di primo grado (che si integra con quella di appello, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili: Cass. sez. 4 24 ottobre 2005 n. 1149, Mirabilia) era stata evidenziata la particolare attendibilità trattandosi di persona estranea sia agli imputati che alla persona offesa, che aveva assistito all’episodio sin da quando si era accorto della manovra di guida spericolata che aveva generato l’alterco con il Pe.. Il giudice di appello ha sottolineato il "commendevole comportamento civico" del V. il quale aveva tentato di sedare la lite ed aveva successivamente lasciato le proprie generalità al Pe., aggiungendo che egli aveva avuto la possibilità di "seguire sia l’antefatto che i fatti per cui è processo". Si è pertanto motivatamente attribuita piena credibilità a quanto riferito dal V. circa la concorde reazione aggressiva del F. e della P., che era in sua compagnia, nei confronti del Pe. il quale aveva espresso le sue rimostranze per la spericolata manovra di guida del primo; entrambi gli imputati, secondo il V., avevano ingiuriato e percosso l’automobilista che li aveva redarguiti e il F. in prima persona aveva sferrato un calcio alla sua autovettura. Il giudice di appello non ha mancato, peraltro, di valutare la versione difensiva degli imputati, evidenziandone l’ostinazione nel negare quanto riferito dal V. ed anche l’origine del litigio che era stato alla base dell’alterco (il F. aveva negato di aver commesso infrazioni stradali e aveva negato che la P. avesse ingiuriato e percosso il Pe.; la P. aveva negato qualunque comportamento offensivo e gesti di aggressione personale violenta nei confronti dell’automobilista). Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. I ricorrenti si limitano a proporre una ricostruzione alternativa dei fatti, basata su una prospettazione meramente difensiva, senza tener conto che il teste estraneo in un caso di aperta contrapposizione tra le versioni della persona offesa e quella dell’imputato costituisce la fonte di prova più credibile, ove riferisca fatti di diretta cognizione e specificamente indicati, in considerazione della posizione di autonomia che ne accredita l’attendibilità anche ove non coincida del tutto con quella della persona offesa (per la cui testimonianza lo scrutinio del giudice di merito deve essere più accurato e approfondito). Del tutto generica è poi la doglianza relativa al riconoscimento della scriminante della legittima difesa fondata su una ricostruzione configgente con le dichiarazioni del V., ritenute altamente credibili dal giudice di merito con motivazione esauriente e logicamente corretta.

Peraltro, a meno di non voler irragionevolmente negare l’attendibilità del teste, l’accoglimento della versione difensiva determinerebbe la configurazione di un quadro complessivo di aggressività reciproca nel quale la scriminante invocata non potrebbe trovare spazio (Cass. sez. 2 10 novembre 2000 n. 13151, Gianfreda; sez. 1 7 dicembre 2007 n. 2911, Marrocu).

Il secondo motivo è manifestamente infondato. Nella sentenza impugnata si è evidenziato che, secondo la ricostruzione dei fatti accreditata dal giudice di merito e insindacabile in questa sede perchè fondata su una razionale e logica valutazione delle emergenze processuali, le condotte degli imputati furono contemporanee e sinergiche e pertanto le azioni del F. e della P., benchè non fondate su un preventivo accordo, sono state dalla Corte territoriale correttamente ritenute manifestazioni, anche per quanto riguarda il danneggiamento dell’autovettura del Pe. riconducibile materialmente al F., della volontà comune di aggressione alla persona e ai beni della persona offesa da parte dei due imputati, con un contributo quanto meno di natura psicologica da parte della P..

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato poichè nella sentenza impugnata è stato posto in evidenza come il danneggiamento dell’autovettura si sia inserito, nonostante i tentativi di mediazione da parte del V., in un clima di continuativa e crescente aggressività caratterizzato da scatti d’ira e anche da violenza fisica, che non risulta essere cessato prima dell’ultimo gesto violento diretto al veicolo della persona offesa. Correttamente è stata pertanto ravvisata, in relazione al reato di danneggiamento, la circostanza aggravante del fatto commesso con violenza alla persona essendo stata ritenuta sussistente, tra l’azione del danneggiamento e la condotta violenta, la contestualità temporale e spaziale (Cass. sez. 5 13 gennaio 2009 n .5534, El Farkh), nel senso che il danneggiamento è stato compiuto quando era ancora in atto la condotta violenta o minacciosa dell’agente, anche se la stessa non era finalizzata a rendere possibile l’esecuzione del danneggiamento (Cass. sez. 2 24 marzo 1986, Bellini; sez. 6 11 ottobre 1989 n. 76, Vantaggi; sez. 2 11 novembre 2003 n. 49382, Mistretta). L’aggravante in questione sussiste infatti indipendentemente dall’esistenza di un nesso teleologico tra la condotta violenta e l’evento produttivo del danno, venendo in rilievo la violenza solo come modalità della condotta che oggettivamente aggrava il reato.

Il quarto motivo ha per oggetto una violazione di legge che, pur potendolo, gli imputati non hanno dedotto con l’appello e che pertanto non poteva essere sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione.

In ordine al ricorso depositato dall’avv. Spaltro, la Corte ritiene che il primo motivo ripropone ricostruzioni alternative del fatto, come nel primo motivo dell’altro ricorso presentato nell’interesse degli imputati. La Corte si riporta alle ragioni della valutazione di inammissibilità esposta in relazione a detto motivo.

Il secondo motivo corrisponde al terzo motivo dell’altro ricorso proposto nell’interesse degli imputati e la Corte si riporta alle considerazioni esposte in relazione all’esame delle relative doglianze, ritenute manifestamente infondate.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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