Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-11-2010) 16-03-2011, n. 10808 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Cagliari modificò le pene accessorie e confermò nel resto la sentenza 14.2.2008 del gup del tribunale di Cagliari, che aveva dichiarato P.D. colpevole di violenza sessuale continuata per avere costretto C. F., minore degli anni 10 e figlia di una coppia di amici, a subire atti sessuali, consistiti tra l’altro in farsi toccare i genitali ed in un rapporto orale, condannandolo alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; violazione della presunzione di innocenza; violazione dell’art. 533 c.p.p.. Lamenta che erroneamente il giudice del merito ha ritenuto che la richiesta del rito abbreviato comportasse acquiescenza alle risultanze probatorie o approvazione della loro validità o completezza. Il gup aveva disposto una perizia sulla minore, omettendo poi di valutarne criticamente le risultanze e ritenendo che, data la parziale ammissione dell’imputato e la richiesta di rito abbreviato, non vi fossero dubbi sulla responsabilità. Allo stesso modo la corte d’appello non ha applicato la presunzione di non colpevolezza come regola di giudizio. Le spontanee dichiarazioni dell’imputato sono state ritenute prove di colpevolezza non solo per quanto affermato ma soprattutto per quello che non è stato detto. Non è stato tenuto conto delle spiegazioni dell’imputato circa la telefonata alla bambina. Illogicamente è stata tratta conferma della colpevolezza dal fatto che la moglie dell’imputato aveva abbandonato il marito. Non è stata valutata la concreta possibilità che gli abusi fossero perpetrati per anni.

2) violazione degli artt. 196 e 220 c.p.p. in relazione alla audizione della persona offesa. Lamenta che non è dato sapere da quali atti ed elementi processuali la corte d’appello ha tratto la sua valutazione sulle caratteristiche di personalità e di maturità della minore e sulla sua capacità a deporre. Il giudice ha confuso il piano dello accertamento della verità processuale con quello della valutazione della credibilità clinica. Lo stesso giudice di appello del resto finisce per ammettere che la perizia personologica sul minore è spesso necessaria per accertare quali siano state le influenze esercitate dagli adulti. Nella specie la madre della bambina era tornata più volte ad interrogarla non accettando risposte negative ma formulando domande suggestive ed insistenti.

3) violazione dell’art. 499 c.p.p. e del divieto di domande suggestive. Lamenta che molte domande svolte durante l’esame erano suggestive o chiuse nella loro formulazione. La sentenza impugnata ha dato una spiegazione manifestamente illogica in ordine alla risposta della bambina alla domanda sul nome della madre della stessa ed a quella sulla visione dei film pornografici. L’influenza della madre si è manifestata anche in relazione al ricordo sulla collocazione nel tempo dei fatti. Vi sono state forti interferenze esterne che hanno inquinato la genuinità dell’esame della minore, quali il lungo tempo trascorso dai fatti, le numerose e ripetute interviste familiari, lo stato di angoscia vissuto dalla famiglia, le notizie e le informazioni acquisite negli anni. Manca quindi una motivazione sulla credibilità della persona offesa, non essendo stata fornita una spiegazione sulle contraddizioni e le lacune evidenziate.

4) violazione degli artt. 62 e 133 c.p. ed errata valutazione delle circostanze. Lamenta manifesta illogicità nella motivazione sulla mancata concessione dell’attenuante del fatto lieve e delle attenuanti generiche come prevalenti sulla aggravante contestata nonchè il fatto che le medesime circostanze di fatto sono state valutate più volte a danno dell’imputato. D’altra parte non vi era nemmeno la certezza che i fatti si svolsero quando la minore aveva meno di dieci anni.

5) violazione dell’art. 539 c.p.p. e mancanza di alcuna prova sulla esistenza e sulla quantificazione del danno.

In prossimità della udienza il difensore delle parti civili ha depositato memoria, contestando il fondamento del ricorso.
Motivi della decisione

I primi tre motivi del ricorso si risolvono, in realtà, in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità e sono comunque infondati, avendo la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto attendibile e credibile il racconto della bambina e provata la responsabilità dell’imputato, senza che possa condividersi l’idea che il giudice del merito abbia in alcun modo ritenuto che la richiesta di rito abbreviato avesse comportato acquiescenza alle risultanze probatorie o accettazione della loro validità e completezza.

La corte d’appello si è solo limitata ad affermare che, avendo l’imputato chiesto il giudizio allo stato degli atti, non poteva più chiedere integrazioni probatorie. D’altra parte l’espletamento di una nuova perizia è stata considerata superflua perchè il Gup, essendo ormai la persona offesa divenuta quasi quattordicenne, aveva congruamente ritenuto sufficiente ed appropriata la modalità ordinaria dell’esame, con la collaborazione di una esperta psicologa, che lo aveva condotto facendo emergere le caratteristiche della personalità della ragazza, la quale aveva rievocato i fatti con chiarezza, fornendo tutti i particolari richiesti e le giustificazioni dell’accaduto, anche in riferimento al silenzio serbato per alcuni anni. La corte d’appello ha poi evidenziato che la prova della responsabilità dell’imputato emergeva proprio dalle dichiarazioni della vittima, che peraltro si aggiungevano ad altri elementi di prova, quali le ammissioni dell’imputato (sia pure non complete, ma assai significative, come l’episodio avvenuto in bagno quando la bambina gli avrebbe spontaneamente toccato il pene); il racconto della moglie dell’imputato in ordine alle proteste della madre della bambina relative alla visione di foto e filmini pornografici su internet ed alla confessione del marito sulla esibizione del pene davanti alla bambina (che aveva determinato l’allontanamento della donna); il racconto della madre della bambina sulla genesi dei primi sospetti; i filmati pornografici che l’imputato faceva vedere alla bambina perchè imparasse come doveva comportarsi.

La corte d’appello ha altresì congruamente risposto alle osservazioni circa la capacità a deporre della minore, rilevando che il Gup la aveva correttamente valutata sulla base dell’esame della minore condotto attraverso una psicologa e delle informazioni in atti sulle caratteristiche di personalità e di maturità della stessa, ed evidenziando anche che essa era ormai divenuta una ragazza intelligente e di età sufficiente per elaborare il ricordo e rendersi conto dell’importanza dell’atto e delle sue conseguenze. La corte ha anche ricordato la coerenza, compiutezza e dettagliatezza del racconto ed i motivi del ritardo nella rivelazione del segreto e della mancata scoperta da parte dei genitori, ed ha congruamente concluso che una perizia personologica non era necessaria nella specie, sia per l’età raggiunta dalla ragazza, sia per la presenza di prove di per sè sufficienti.

Quanto alle pretese domande suggestive che avrebbero condizionato le risposte della parte offesa, la corte d’appello ha congruamente ed adeguatamente rilevato innanzitutto che il racconto della bambina era avvenuto quando questa aveva raggiunto l’età necessaria per avere autonomia di giudizio e consapevolezza di quanto accaduto e che, in ogni modo, le domande e le risposte non consentivano di accedere ad una simile tesi e che comunque la madre della bambina in realtà non voleva indurre la figlia a fare false dichiarazioni bensì sperava che il sospetto indotto dalla telefonata ambigua del P. non fosse fondato.

E’ infondato anche il quarto motivo perchè la corte d’appello ha congruamente ed adeguatamente motivato sia la mancata concessione dell’attenuante del fatto lieve (in considerazione dei rapporti sessuali intrusivi, quali quelli orali, della loro prosecuzione per alcuni anni, delle modalità, della completa indifferenza per le sofferenze della vittima, della tenerissima età della stessa, dell’ambiente familiare in cui i fatti sono avvenuti, dell’approfittamento delle condizioni di fiducia della vittima e dei suoi genitori, circostanze tutte che escludevano che potesse ritenersi che la libertà sessuale della vittima era stata compromessa in modo non grave) sia il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche (in considerazione dell’approfittamento della relazione esistente tra le due famiglie, dell’età e delle condizioni di innocenza della vittima). La corte d’appello ha esattamente rilevato che non rilevava il fatto che l’età della vittima era già stata considerata elemento costitutivo dell’aggravante, perchè essa (insieme agli altri elementi) è stata utilizzata proprio nel giudizio di comparazione con l’aggravante collegata all’età, per escludere la prevalenza delle attenuanti generiche, concesse per il solo dato formale della incensuratezza, su una aggravante di grande rilievo, quale quella dell’età minore di anni dieci.

Il quinto motivo è infine manifestamente infondato perchè non vi possono essere dubbi sulla idoneità della condotta criminosa di provocare danni alle parti civili, da liquidarsi in separata sede, e sulla valutazione di congruità (ed anzi di insufficienza) della provvisionale di Euro 20.000,00, in considerazione del fatto che la bambina era stata adultizzata e privata della sua innocenza all’età di nove anni, tanto da essere indotta a sentirsi in colpa per l’accaduto nonchè dell’enorme danno morale sìa per la stessa sia per i suoi genitori.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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