Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-03-2011) 22-03-2011, n. 11262

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Sull’appello proposto da P.L. avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Forlì in data 19/06/2003, con la quale, dichiarato colpevole dei reati, unificati ex cpv. art. 81 c.p., di cui all’art. 337 c.p. e all’art. 582 c.p., per avere, al fine di opporsi ai Carabinieri che stavano entrando nell’abitazione al fine di eseguire una perquisizione a sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103 a carico di P.N., figlio dell’imputato, esercitava violenza nei confronti degli operanti con calci, pugni e lancio di una fioriera di plastica, nonchè spingendo la porta dell’abitazione, era stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 04/12/2007, dichiarava non doversi procedere in ordine al delitto di lesioni per mancanza di querela e rideterminava la pena per il delitto di resistenza in anni uno e mesi tre di reclusione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il prevenuto, deducendo:

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle dichiarazioni rese dall’imputato ai Carabinieri (e facenti riferimento allo scopo della perquisizione) all’atto del loro ingresso (dopo la contestata resistenza) nell’abitazione, illegittimamente utilizzate in via diretta e indiretta, in violazione dei divieti di cui agli artt. 62 e 350 c.p.p., ai fini dell’affermazione di responsabilità per il reato di resistenza, nonostante la loro proclamata irrilevanza;

– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e alla esclusione dell’esimente della legittima difesa, ritenute dalla Corte di merito in contrasto con le risultanze processuali che deponevano nel senso di un intervento del prevenuto a difesa della moglie alle prese con quella che a lui appariva un’aggressione da parte di sconosciuti.
Motivi della decisione

Il ricorso va rigettato.

E invero, dalla congiunta lettura delle sentenze di merito risultano ben rappresentate le ragioni della sussistenza del reato di resistenza a p.u. contestato al ricorrente, evidenziandosi che costui pose scientemente in essere una opposizione violenta al tentativo dei pp.uu. di compiere l’atto di ufficio consistente nella perquisizione dell’abitazione a sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103 a carico di P.N., figlio dell’imputato.

Dalla descrizione dei fatti esposti dal primo giudice emerge in particolare che, nel tira e molla della porta, aperta dalla moglie dell’imputato, che cercò poi subito di richiuderla ricevendo man forte dallo stesso e da un figlio, restò aperto uno spiraglio variabile da 15/20 ai 50 cm., onde ben si poterono vedere gli operanti, che, al di là del loro aspetto esteriore, tenevano in mano il tesserino di riconoscimento (e uno di loro aveva al collo anche la relativa placca) ed erano insieme al figlio dell’imputato. Nessun equivoco poteva quindi sorgere sulla loro identificazione anche da parte del prevenuto, che, quindi, cooperò consapevolmente alla violenta opposizione, che di fatto esitò nella riuscita richiusura della porta, al loro tentativo di ingresso nell’abitazione.

Lo stesso imputato provvide poi qualche minuto dopo ad aprir loro volontariamente la porta. Tale comportamento è oggettivamente leggibile nel senso del superamento della precedente determinazione di opporsi agli operanti, indipendentemente dalla frase ironica che l’imputato ebbe a pronunciare circa l’eliminazione dello stupefacente: frase che, pertanto, al di là della questione relativa alla sua utilizzabilità può essere, ed è stata dalla Corte d’appello, correttamente stralciata dall’economia della motivazione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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