Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-02-2011) 22-03-2011, n. 11464 Materie esplodenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Il 15 luglio 2009 il Tribunale di Nicosia, in composizione monocratica, dichiarava S.G. colpevole del reato previsto dall’art. 678 c.p. e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di venti giorni di arresto e Euro 60,00 di ammenda, disponendo la confisca di tutto il materiale in sequestro.

A S. era contestato di avere, nella sua qualità di titolare di un’armeria, detenuto senza le prescritte cautele polveri da lancio della prima categoria sotto forma di cartucce cariche per armi comuni da sparo per complessivi kg. 117,31, quantitativo superiore a quello massimo di kg. 50 che era autorizzato a detenere in base alla licenza del Prefetto di Enna del 13 dicembre 2006. 2. Il 6 maggio 2010 la Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della decisione di primo grado, appellata dall’imputato, limitava la confisca di quanto in sequestro alla quantità di polveri di lancio, sotto forma di cartucce, in eccedenza rispetto al quantitativo massimo di kg. 50 stabilito nella licenza. Confermava, nel resto, le statuizioni del Tribunale di Nicosia.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, S., il quale formula le seguenti censure.

In primo luogo lamenta la violazione dell’art. 522 c.p., in quanto il giudice d’appello non ha specificato per quale delle due ipotesi, tra loro equivalenti, disciplinate dall’art. 678 c.p. l’imputato sia stato condannato.

Deduce, poi, erronea applicazione della legge penale e carenza della motivazione in ordine agli elementi posti a basa dell’affermazione di penale responsabilità in conseguenza dell’inesatta applicazione dei criteri (peraltro inattendibili e fondati su mere presunzioni di tipo automatico, lesive del principio di personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27 Cost.) fissati dal D.M. 23 settembre 1999, art. 3, con conseguenti riflessi anche sulla disposta confisca. Quest’ultima non avrebbe dovuto riguardare l’intera quantità di materiale, pari a kg. 117,31, bensì soltanto kg. 1,73, considerato che gli ufficiali di polizia giudiziaria, escussi come testi a dibattimento, hanno chiarito che un chilo di polvere da sparo corrisponde a circa 1.785 cartucce e che le cartucce complessivamente sequestrate sono 92.350.

Censura, poi, la mancanza della motivazione di ordine all’elemento soggettivo della contravvenzione ritenuta in sentenza, tenuto conto anche dell’erronea convinzione maturata nell’imputato circa la liceità della sua condotta conseguente all’assenza di elementi obiettivi su cui fondare il calcolo del rapporto tra polvere da sparo e munizioni suscettibili di legittima detenzione.

Lamenta, altresì, la violazione degli artt. 678 e 49 c.p., attesa la concreta inoffensività della condotta posta in essere.

Deduce, quindi, l’erronea qualificazione giuridica del fatto che avrebbe dovuto essere ricondotto all’ipotesi disciplinata dall’art. 679 c.p. o a una di quelle previste dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 17 e 38 con conseguente applicabilità dell’oblazione ex art. 162 bis c.p., peraltro ritualmente richiesta.

Censura anche la mancanza della motivazione in ordine alla richiesta di non menzione, sollecitata nei motivi d’appello.

In subordine prospetta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 678 c.p. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., attesa la genericità delle condotte descritte nella norma incriminatrice e la loro illogica equiparazione, pur in presenza di un’obiettiva diversa gravità dei comportamenti presi in considerazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

1. Il D.M. 23 settembre 1999, n. 1007200 ha introdotto alcune modifiche al regolamento T.U.L.P.S., approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 435 allo scopo dichiarato di integrare la disciplina in tema di detenzione e vendita negli esercizi di minuta vendita di prodotti esplodenti. In coerenza con tale obiettivo ha fissato i quantitativi massimi di polveri da lancio e/o da mina appartenenti alla prima categoria suscettibili di legale detenzione, avuto riguardo al peso complessivo delle polveri in sè considerate o al loro rapporto di equivalenza, secondo parametri generali e pre-definiti, con cartucce cariche per armi comuni da sparo.

In tale ottica, il D.M. 23 settembre 1999, n. 1007200, art. 3, lett. b) stabilisce che può essere concessa licenza per tenere nell’esercizio e vendere fino a cinquanta chilogrammi di polveri dal lancio della prima categoria, sotto forma di cartucce cariche. La citata disposizione precisa che, ai fini del computo delle cartucce, un chilogrammo netto di polvere di lancio di prima categoria è considerato pari a "trecento cartucce per armi lunghe ad anima liscia o rigata caricate con polvere nera", oppure a "cinquecentosessanta cartucce per armi lunghe ad anima liscia o rigata caricate con polvere senza fumo", oppure a "quattromila cartucce per arma corta" oppure a "dodicimila cartucce a percussione anulare per arma corta o lunga", o a "venticinquemila cartucce per armi Flobert" oppure a "dodicimila cartucce da salve". La precisa elencazione della norma e gli specifici parametri fondanti il rapporto di correlazione tra polveri e cartucce cariche per ciascuna tipologia di armi comuni da sparo è univocamente indicativa, avuto riguardo al suo tenore letterale, della fissazione di criteri obiettivi e astratti alla stregua dei quali valutare la liceità o meno delle condotte di detenzione e vendita e, contrariamente alla tesi difensiva (cfr. secondo e terzo motivo di ricorso), sul punto priva di pregio, esclude qualsiasi margine di dubbio o di discrezionalità nella ricostruzione dei comportamenti vietati e, conseguentemente, di dubbio circa l’ambito della loro liceità.

Sotto questo profilo, dunque, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che l’imputato, pur essendo stato autorizzato dal Prefetto di Enna a detenere, tra l’altro, presso l’armeria di cui è titolare, cinquanta chili di polvere dal lancio sotto forma di cartucce cariche per armi comuni da sparo, era in possesso di 92.350 cartucce caricate con polvere senza fumi di vario calibro, corrispondenti a kg. 117,31, con un’eccedenza di kg. 67,31 rispetto al quantitativo massimo stabilito nella licenza.

Con riferimento alla possibilità di effettuare le sostituzione del materiale esplodente detenuto ha messo in luce la circostanza che, ai sensi del citato D.M., art. 3, lett. a), all. B), il titolare della licenza avrebbe dovuto procedere alla preventiva comunicazione alla competente Autorità di P.S. e all’annotazione nel registro di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 55 (T.U.L.P.S.), adempimenti che non risultano essere stati effettuati.

2. Fondato è, invece, nel senso di seguito precisato, il quinto motivo di ricorso, avente carattere assorbente rispetto a tutte le restanti censure (salvo quanto si dirà al successivo par. 3) e alla questione di legittimità costituzionale prospettata in subordine.

2.1. Il legislatore, mediante la previsione contenuta nell’art. 678 c.p., ha inteso tutelare l’incolumità pubblica contro gli infortuni o i disastri che possono essere cagionati dal fatto abusivo o incauto di chi fabbrica, importa, tiene in deposito, vende o trasporta materie esplodenti o destinate alla composizione o fabbricazione di esplosivi.

Si tratta di un reato di pericolo, in quanto la norma si limita a prevenire il verificarsi di infortuni che possono essere cagionati dal fatto abusivo o imprudente di chi tratta materie esplodenti o sostanze destinate alla composizione o alla fabbricazione di esse.

La norma ha carattere meramente sanzionatorio, in quanto si limita a far seguire la sanzione penale alla violazione dei doveri – di munirsi delle necessarie licenze o di osservare le cautele prescritte dalla legge o dall’Autorità – contenuti del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e nel relativo regolamento (Sez. 1, 20 agosto 1998, Perozzi, 211523; Sez. 1, 19 giugno 1993, 194759). Una conclusione del genere trova conferma anche nella relazione ministeriale al progetto del codice penale, dove si legge che "le materie esplodenti hanno la loro disciplina giuridica nella legge di p.s. e nel relativo regolamento. Al codice penale ho riservato solo le sanzioni per quelle infrazioni che costituiscono i capisaldi di questa disciplina, importantissima ai fini della prevenzione" (cfr. relazione cita, 2, 501).

Il deposito di esplosivi è una forma qualificata di detenzione che si caratterizza sotto un profilo quantitativo (atteso che la nozione stessa di deposito si riferisce sempre a un quantitativo consistente di esplosivi) e qualitativo, perchè, a differenza della semplice detenzione, presuppone un’attività di custodia, vigilanza o conservazione. Per il deposito è necessaria la licenza del Ministro dell’Interno o del Prefetto a seconda dei vari tipi di esplosivi o sostanze destinate alla loro fabbricazione e composizione ( R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 46 e 47).

2.2. Il reato previsto dall’art. 679 c.p. è, invece, diretto a rendere edotta l’autorità di pubblica sicurezza della esistenza, in un certo territorio, di materiali esplodenti o infiammabili pericolosi per la loro quantità o qualità e di chi li detiene, così da metterla in condizioni di intervenire, indipendentemente dal possesso o meno della licenza in capo al detentore. Il primo e il secondo comma della norma sono posti a tutela diretta dell’interesse della pubblica amministrazione ad essere informata della detenzione di sostanze che, in quanto esplosive o infiammabili, potrebbero essere pericolose per la vita o l’integrità fisica di una cerchia indeterminata di persone e ciò a prescindere dalla quantità detenuta, dalla reale pericolosità degli esplosivi, nonchè dalla legittimità o meno della detenzione.

La fattispecie prevista dall’art. 679 c.p. non riguarda soltanto l’omessa denuncia di un deposito di materie esplodenti per cui il titolare non ha la licenza, ma tutte le ipotesi di omessa denuncia del deposito stesso, indipendentemente dal fatto che il titolare del deposito abbia o meno la licenza (Sez. 1, 25 gennaio 2005, n. 5756;

Sez. 1, 24 giugno 2006, n. 29374).

2.3. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove ha ritenuto che la condotta di detenzione di polveri da lancio della prima categoria, sotto forma di cartucce cariche per armi comuni da sparo, in eccedenza rispetto al quantitativo fissato nella licenza prefettizia, integri il reato previsto dall’art. 678 c.p. e non piuttosto quello disciplinato dall’art. 679 c.p., posto a tutela diretta dell’interesse della pubblica amministrazione ad essere informata della detenzione di sostanze che, in quanto esplosive o infiammabili, potrebbero essere pericolose per la vita o l’integrità fisica di una cerchia indeterminata di persone. Una conclusione del genere è avvalorata dalla lettura logico-sistematica dell’art. 679 c.p. con il D.M. 23 settembre 1999, n. 1007200, art. 3, in base al quale, "nel corso di validità della licenza il titolare, previa comunicazione alla competente autorità di pubblica sicurezza, può effettuare sostituzioni per categoria e quantità dei prodotti esplodenti autorizzati in sede di rilascio o rinnovo, applicando le equivalenze indicate nel presente articolo e fermo restando il quantitativo massimo autorizzato".

Nel caso di specie, pertanto, ciò che assume rilevanza è la mancata comunicazione alla P.S. della detenzione di un quantitativo di polveri da lancio della prima categoria, sotto forma di cartucce cariche per armi comuni da sparo, in eccedenza rispetto a quanto consentito dalla licenza e l’omessa formulazione della richiesta di sostituzione che non ha permesso alla competente Autorità di assumere le relative determinazioni alla luce della portata complessiva del provvedimento amministrativo rilasciato al titolare dell’armeria.

3. Manifestamente infondati, invece, sono i motivi di ricorso concernenti l’omessa qualificazione del fatto in esame alla luce del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 17 e 38, che sono preclusi ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, avendo formato oggetto di motivi d’impugnazione avverso la sentenza di primo grado del tutto aspecifici, si da non consentire un compiuto esame da parte della Corte d’appello.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Caltanissetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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