Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 22-03-2011, n. 11511 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo di un’auto Smart For Two tg. (OMISSIS) emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 6.3.2010 nei confronti di M. G.. Il Tribunale del riesame ha osservato che il M. è indagato per il reato di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata, finalizzata, tra l’altro, alla commissione di delitti di natura fiscale, contro la P.A. e l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, nonchè per molteplici reati fine.

In ordine al fumus commissi delicti, che peraltro non ha formato oggetto di specifica contestazione, viene richiamata la motivazione dell’ordinanza dello stesso Tribunale del riesame, con la quale è stata confermata nei confronti dell’indagato la misura cautelare personale.

Si precisa, poi, che il sequestro, per quanto riguarda i delitti di cui ai capi 1) e 13) (associazione per delinquere e riciclaggio) poggia sul combinato disposto di cui all’art. 321 c.p.p., L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 11, trattandosi di delitti aggravati ai sensi dell’art. 4 della stessa legge.

Per ciò che riguarda gli altri reati, tra cui quelli di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, in alcuni casi aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, occorre fare riferimento alla disciplina prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies e art. 322 ter c.p..

In sintesi, si osserva che sia il reato di associazione per delinquere che quello di riciclaggio ascritti al M. devono qualificarsi reati transnazionali ai sensi della L. n. 146 del 2006, art. 3 con la conseguente applicabilità della confisca obbligatoria e di quella per equivalente previste dall’art. 11 della medesima legge. Il danno cagionato all’Erario, corrispondente a Euro 376.000.000,00 di IVA non versata, costituisce inoltre la somma di riferimento per il sequestro finalizzato alla confisca anche in relazione al reato di associazione per delinquere e non solo ai reati di frode fiscale, essendo riferibile anche al sodalizio criminoso il profitto ricavato dalla commissione dei singoli reati fine.

Si aggiunge, quanto alla applicabilità del sequestro alle sole condotte commesse successivamente al 12.4.2006, data di entrata in vigore della legge, che l’associazione è reato permanente con una condotta ancora in atto.

Si osserva, in ogni caso, che il sequestro è stato disposto anche ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies e che l’esatta individuazione del quantum dovrà essere determinata in sede di confisca.

Nel prosieguo si afferma l’auto di cui è stato disposto il sequestro risulta direttamente intestata al M. e che, in relazione al disposto di cui all’art. 12 sexies cit., nella specie sussiste il requisito della evidente sproporzione tra il valore dei beni in genere riconducibili al M. e la capacità reddituale dello stesso, nonchè della mancata giustificazione della provenienza lecita dei predetti beni.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato, che la denuncia per violazione ed errata applicazione dell’art. 321 c.p.p. in relazione alla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 11 e D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies.

Con il motivo di gravame si reiterano le censure relative alla riferibilità del sequestro all’ammontare del danno cagionato all’Erario per condotte ritenute rilevanti sotto il profilo penale tributario.

Si deduce che l’assunto secondo il quale il M. sarebbe stato partecipe dei proventi derivanti dalle violazioni fiscali contrasta con l’addebito di riciclaggio degli stessi, in quanto per la configurabilità di tale ultimo reato occorre che l’autore non concorra nel reato presupposto in applicazione della clausola di salvezza contenuta nell’art. 648 bis c.p..

Si osserva, poi, che il rapporto tra reato associativo e riciclaggio può essere ritenuto di presupposizione, nel qual caso l’attività di riciclaggio posta in essere dall’associato costituisce un post factum non punibile, ovvero di possibile concorso di entrambi i reati.

Si desume, quindi, dalle due impostazioni giuridiche che nel primo caso il concorso nel reato associativo consente di valutare come parametro di riferimento il danno all’erario, ma esclude le imputazioni di riciclaggio; nel secondo caso i delitti di associazione e riciclaggio possono concorrere, ma la somma di riferimento per il sequestro ai fini della confisca non può essere identificata con il danno cagionato all’erario dalle condotte ascritte ad altri.

Si ripropone inoltre la deduzione secondo la quale la confisca ed il conseguente sequestro L. n. 146 del 2006, ex art. 11 possono essere disposte solo per le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore della legge stessa.

Si osserva che il tribunale, per giustificare la misura cautelare, ha affermato che il sequestro è stato disposto anche ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies.

Si osserva, in contrario, che la disposizione citata sì applica alla fattispecie dell’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di determinati reati tra i quali non rientrano le violazioni tributarie, con la conseguenza che nel caso in esame il sequestro poteva avvenire solo ai sensi della L. n. 146 del 2006, art. 11 per i fatti commessi successivamente al (OMISSIS), data di entrata in vigore della norma.

Il reato di riciclaggio transnazionale aggravato contestato al capo 13) dell’imputazione provvisoria a carico del M. (art. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 648 bis c.p. e L. n. 146 del 2006, art. 4), avente ad oggetto, tra l’altro, i proventi delle frodi IVA, e i reati di frode fiscale, che a loro volta costituiscono reati fine della associazione criminale, ovviamente non possono essere contestati in concorso nei confronti del medesimo soggetto, stante la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 648 bis c.p., comma 1 e, infatti, al M. non risultano contestati i reati di frode fiscale.

Ciò precisato, si palesa, però, evidente che se il riciclaggio, secondo la ricostruzione dei fatti prospettata dall’accusa, aveva ad oggetto, tra l’altro, i proventi delle frodi fiscali, tali proventi costituiscono il profitto anche del reato di riciclaggio in relazione ai soggetti, peraltro tutti legati dal vincolo associativo, che sono autori solo di tale ultimo delitto transnazionale.

Sicchè correttamente l’ordinanza impugnata ha quantificato il valore di riferimento, ai fini della confisca per equivalente, sulla base del profitto delle frodi fiscali entrato a far parte poi delle operazioni di riciclaggio transnazionale.

Esattamente è stato inoltre rilevato nella impugnata ordinanza che in sede di applicazione delle misure cautelari, con riferimento ad importi così rilevanti, non può essere effettuata una concreta quantificazione dell’ammontare confiscabile, stante in ogni caso la evidente sproporzione tra il valore indicato come profitto del reato e quello dei beni sequestrati.

Peraltro, indipendentemente dalla configurabilità della fattispecie di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, artt. 3 e 4, che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato, con riferimento al reato di riciclaggio, e della con seguente applicabilità della confisca per equivalente del profitto del reato, la fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p. rientra anche nella previsione del D.L. 8 giugno 1992, art. 12 sexies, convertito in L. n. 356 del 1992, ai sensi del cui disposto è sempre ordinata la confisca del danaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Orbene, l’ordinanza ha puntualmente rilevato, indicando gli elementi indiziari sul punto, che anche i beni di cui il M. non risulta direttamente intestatario sono riconducibili alla sua disponibilità, nonchè a quella del sodalizio criminoso, e che vi è un’evidente sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e la capacità reddituale dell’indagato oltre alla assenza di giustificazioni circa la loro provenienza lecita.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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