Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 22-03-2011, n. 11344 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l’istanza di riesame proposta da P.A., avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per i reati di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e favoreggiamento personale aggravato ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Il tribunale collocava i fatti all’interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato,secondo i giudici territoriali, dall’assenza di una leadership riconosciuta, e dall’esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e M.P.S., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G. V. e C.A., e ad M.A., figlio del più noto (OMISSIS), da tempo in carcere per plurime condanne all’ergastolo. Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il M. in contatto con fornitori di cocaina dell’area milanese, per il tramite della famiglia Presta di Reggiano Gravina.

Il tribunale ricordava che l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l’affermazione sul territorio della "locale di (OMISSIS)" composta tra gli altri da Ca.Sa. detto "(OMISSIS)", F. G.V., M.A., S.D., C. A., Ma.Gi., R.T. e Ci.Gi..

Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di (OMISSIS), guidata da c.G., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo. Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri scopi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al c., fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.

Gli era succeduto tale m., trovatosi però ben presto a fronteggiare l’opposizione interna del F., sfociata nella faida criminale ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.

Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata dal m., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, Pe.Na. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di (OMISSIS), costituito da Ab.Fr. con l’autorizzazione della cosca di Ciro.

Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale (OMISSIS), ma era stato ucciso.

Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l’imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc… Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all’assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i sequestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., Ba.Gi., C. A., ca.An., co.Gi., A. C. e Cu.Vi..

I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:

quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall’ A. il 10.10.2007 su un viaggio in (OMISSIS) dallo stesso effettuato insieme a Me.Co. per l’acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di co.Gi., Ba.Gi. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale G., riferita all’uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del M.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all’interno dell’autovettura in uso a C.P. tra quest’ultimo, l’omonimo zio e M.A., nel corso della quale il M. ricordava di avere poco tempo prima trasportato a C. armi e droga.

Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali.

Secondo l’ A. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l’esercizio di attività usurarie, per l’acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc….

La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008.

L’analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell’esplicazione all’effectio societatis.

Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da M.P., il tribunale ne riteneva l’esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni dell’ A..

Prima di procedere all’analisi degli indizi a carico del ricorrente, il tribunale premetteva un’ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.

Infine, i giudici territoriali indicavano le specifiche risultante di prova a carico del ricorrente, ricordando:

1) in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p.;

a) le indicazioni sul P. emerse a margine della perquisizione eseguita il 16.2.2007 all’interno di un appartamento in via (OMISSIS) che aveva portato al sequestro di somme in contanti, assegni e cambiali per un valore complessivo di oltre Euro 600.000; dalle conversazioni successivamente intercettate, sarebbe emerso che il P. aveva assecondato l’intenzione del M. e degli altri sodali, di attribuire proprio a lui la titolarità dei beni, giustificandola con la sua professione di avvocato.

Dell’episodio in questione aveva riferito anche A.C., sulla base delle informazioni asseritamente fornitegli da P. F. e dallo stesso P.. b) la stessa attività di impropria "assistenza" prestata al M., quando il P. avrebbe suggerito false versioni dei fatti a personaggi vittime delle attività usurarie dello stesso M., per eludere l’accertamento della natura illecita di quei rapporti finanziari;

2) in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. c) le dichiarazioni di A.C., secondo la quale il M. spacciava cocaina anche in (OMISSIS), facendosela recapitare presso la propria palestra, dove il P. ne testava la qualità;

il collaboratore aveva poi specificato i ruoli dei singoli soggetti indicati come stabilmente coinvolti nell’illecito traffico, precisando che tra i grossisti che rifornivano il M. vi erano membri della famiglia Presta; e aveva fornito numerosi dettagli sulle modalità con cui il clan M. gestiva l’illecito traffico;

d) le convergenti dichiarazioni di Cu.Vi., che aveva tra l’altro accennato a rapporti diretti tra uno dei Presta e il P., indicando la partecipazione di quest’ultimo ad un incontro in cui lo stesso collaborante aveva ottenuto di essere personalmente inserito nel traffico di sostanze stupefacenti;

e) le dichiarazioni di R.L., già sentimentalmente legata al P., che aveva tra l’altro riferito di avere appreso dal ricorrente che la palestra gestita dal M., dotata di un sistema di video sorveglianza, era un punto di riferimento per il traffico di cocaina, e aveva confermato i compiti di "assaggiatore" del P.;

f) l’esito delle intercettazioni; il tribunale ricorda, in particolare, la conversazione nr. 1380 del 29.1.2007, nel corso della quale M.S. accenna al "regalo" di trenta grammi di cocaina fatto dal M. al P., e fa il nome di uno dei fornitori del ricorrente;

g) il sequestro di un quantitativo di droga nei confronti di tale Padano Sabatino, risultato poco prima in frenetici contatti telefonici con il ricorrente;

h) le dichiarazioni di Mi.Gu., esplicito nell’indicare il P. tra i componenti dell’associazione in questione, per conto della quale il collaborante svolgeva le mansioni di corriere;

3) in ordine al reato di cui all’art. 378 c.p. (capo 28);

l) il tribunale riprende la vicenda della perquisizione del 16.2.2007, rilevando che le risultanze istruttorie dimostrerebbero che titoli e somme di denaro erano stati rilasciati al M. in corrispettivo di prestiti usurari, e che lo stesso debitore, S.S., aveva cercato di concordare con il M. e il P. una versione dei fatti che dissimulasse la riferibilità di quei valori ad una causa usuraria.

Ricorrono i difensori, lamentando con il primo motivo il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) c) ed e), in relazione alla tecnica motivazionale asseritamente seguita dai giudici territoriali che si sarebbero limitati a recepire acriticamente le argomentazioni dell’ordinanza cautelare, senza in alcun modo dar conto, con autonome valutazioni, dei rilievi difensivi. Il tribunale avrebbe inoltre illegittimamente utilizzato come fonti di prova le dichiarazioni rese dai collaboranti oltre il termine di centottanta giorni previsto dalla L. n. 81 del 1992, art. 16 quater; avrebbero trascurato nella sostanza di considerare che dette dichiarazioni non provengono da testi estranei al processo, mancando di sottoporle ad un rigoroso vaglio critico; le stesse dichiarazioni per il loro contenuto non sarebbero suscettibili di riscontrarsi a vicenda, non avendo il Tribunale considerato che si trattava più che altro di informazioni de relato o "riportanti nude confessioni stragiudiziali"; e avrebbe disapplicato i principi in materia di valutazione della testimonianza indiretta, nella parte in cui le dichiarazioni de relato fondate su notizie apprese dai collaboratori dallo stesso imputato, erano state smentite da quest’ultimo; carente sarebbe il giudizio sull’attendibilità dei collaboratori; contraddittorie le indicazioni di prova sul ruolo del P. nel traffico di droga e sull’identità dei suoi fornitori.

Nel ricorso sono analizzate specifiche indicazioni del Cu., della R., dell’ A., per rilevarne contraddizioni, incoerenze e illogicità, trascurate dai giudici territoriali, come a proposito della presunta localizzazione del centro dei traffici di droga dell’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 all’interno della palestra gestita dal M., che non si presterebbe affatto a convegni di natura illecita, come si evincerebbe senza dubbio alcuno dalla planimetria dei locali prodotta dalla difesa.

Nel dettaglio delle due ipotesi associative, la difesa contesta la logicità delle valutazioni dei giudici territoriali sia sotto il profilo oggettivo che oggettivo; riguardo all’associazione mafiosa di cui al capo 1), le dichiarazioni dei collaboratori sarebbero troppo generiche, e risulterebbe inoltre una situazione di continuo contrasto tra il M. e gli altri sodali incompatibile con la comune adesione a programmi criminali. Nessun elemento potrebbe trarsi a sostegno dell’ipotesi associativa dai fatti di favoreggiamento contestati al capo 28), non essendo dato rilevare (nella motivazione del provvedimento impugnato, indicazioni concrete sulla consapevolezza del ricorrente di agire nell’interesse di un sodalizio e non, ad es., nell’interesse personale del M.; quanto alla specifica imputazione di favoreggiamento, non sarebbe nemmeno individuabile con certezza il reato presupposto, essendo solo genericamente sospettabile, al più, un non meglio identificata causa illecita sottostante alla consegna dei titoli e dei valori sequestrati. Del tutto priva di motivazione sarebbe, inoltre, riguardo allo stesso reato, l’affermazione della sussistenza dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

In ordine alla struttura associativa finalizzata al traffico di droga, la difesa rileva la mancanza di una vera organizzazione criminale, esclusa anche dalla permanente situazione di conflittualità tra i presunti sodali, e lamenta l’illogica esclusione, da parte dei giudici territoriali, dell’ipotesi che il ricorrente fosse solo un assuntore di droga, e fosse rimasto coinvolto nei fatti solo per acquisti di droga ad uso personale.

Con il secondo motivo, la difesa lamenta il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione dell’ordinanza anche in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

I giudici territoriali non avrebbero tenuto conto della personalità dell’indagato, nè della circostanza che il suo presunto referente criminale, il M., era ormai ristretto in carcere;avrebbero in definitiva considerato solo un pericolo astratto di reiterazione dei reati, l’ultimo motivo attiene alla presunta violazione dei diritti di difesa per l’illegittimo differimento dei colloqui difensivi dell’indagato.

A sostegno del ricorso la difesa ha presentato ampi motivi aggiunti.

Procedendo per ragioni di ordine logico, dalle questioni processuali, e richiamati in proposito, per quanto possa occorrere, gli ampi ed autonomi poteri di accertamento anche in fatto riservati in materia alla Corte di Cassazione ai fini del sindacato di legittimità, (Sez. 3, n. 10504 del 1999, 30.6.1999, Cola ; vedi, Cass., Sez. 5, 24.10.1991, n. 10646; Cass. 19.3.2002, Ranieri), va rilevato anzitutto, sulla questione che si pone come pregiudiziale a tutte le altre, che il provvedimento di differimento del colloquio con il difensore bene può essere motivato basandosi sulla gravità dei fatti riguardanti una pluralità di indagati, al fine di evitare preordinate e comuni tesi difensive (cfr. Cass. Pen. Sez. 6, n. 2941 in data 21.10.2009, Rv. 245806, Siracusa), soprattutto quando, come nella specie, una consistente quota indiziaria si riferisca al contenuto di conversazioni intercettate, cioè a contesti dialogici che coinvolgono necessariamente più protagonisti, ovviamente interessati a fornire strumentali versioni comuni a confutazione dell’ipotesi accusatoria. Sulla questione della utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, è ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che esse sono comunque utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (S.U., 25 settembre 2008, n.150, Correnti; S.U., 25 settembre 2008, n. 1152; SEZ. U nr. 01149 del 25/09/2008, Magistris). Sempre in tema di fonti di prova utilizzabili, va disatteso il rilievo difensivo secondo cui le dichiarazioni de relato dei collaboratori, nella parte riferibile ad informazioni apprese dallo stesso imputato, dovrebbero ritenersi inficiate dalla smentita dello stesso imputato come fonte diretta, non rientrando tale situazione nella disciplina dell’art. 195 c.p.p. (Corte di Cassazione Nr. 16891 del 10/02/2010, imputato Tolentino). Per il resto, la motivazione della sentenza impugnata resiste alle censure difensive quanto alla valutazione della gravità indiziaria rispetto alle condotte di reato attribuite al ricorrente, salvo quanto si dirà in ordine al rapporto tra l’ipotesi associativa di cui al capo 1) e il reato di favoreggiamento di cui al capo 28).

La tecnica di redazione del ricorso, alquanto diffusa e non sempre molto organica, è spesso caratterizzata da deduzioni soltanto assertive, come riguardo alla censura dello scarso approfondimento, da parte dei giudici territoriali, dell’attendibilità dei vari collaboratori, o riducibili a mere affermazioni di principio, spesso nemmeno condivisibili, come si è detto per le questioni processuali.

Alcune notazioni "di merito" sono poco pertinenti o comunque generiche e/o scarsamente apprezzabili, come quella che vorrebbe dedurre indicazioni favorevoli al ricorrente dalla circostanza, indicata senza specifici riferimenti processuali, che l’attività intercettativa, nella parte concernente utenze telefoniche intestate all’imputato, avrebbe lasciato emergere solo "usuali contatti lavorativi, spesso proprio con le forze dell’ordine, a testimonianza di un’attività professionale non di facciata o di servizio(?)";

così come sono intrinsecamente deboli le argomentazioni difensive basate su altri elementi di segno soltanto "negativo", come la presunta mancata rilevazione di contatti del ricorrente con narcotrafficanti internazionali (ipotizzati peraltro dai giudici territoriali nell’analisi di alcuni viaggi all’estero del ricorrente); o su considerazioni di scarso peso logico, come la presunta contraddizione, più volte sottolineata in ricorso, tra il ruolo di gestore ed "esitatore" dello stupefacente del P., e quello, ritenuto incompatibile, di acquirente di droga, proveniente da diverse indicazioni di prova, bastando rilevare, al riguardo, che anche chi "esita" partite di droga deve prima acquistarle.

Non molto incisive sono poi le contestazioni dell’attendibilità e/o della concludenza indiziaria delle dichiarazioni dei vari collaboratori; riguardo al co., la difesa si impegna in brevissime notazioni, sottolineando che il collaborante si sarebbe limitato a rivelare una conoscenza soltanto "professionale" del ricorrente, "come tale non sodale ma unicamente cliente di altro soggetto, tal ma., fornitore della (OMISSIS) bene", laddove è evidente, piuttosto, che anche nella rievocazione difensiva dei citati contributi collaborativi, emergono contatti certamente non "professionali" del ricorrente negli ambienti del traffico di sostanze stupefacenti e specificamente con sodali del M..

Riguardo a R.L., a parte il rilievo soltanto "descrittivo" della presunta qualità di teste "border line" della donna, che sarebbe stata ammessa anche da un valorosissimo requirente, la difesa si limita a citare non meglio identificate "restanti propalazioni" che avrebbero costituito strumento di vendette personali della dichiarante, ad es nei confronti di un notissimo esponente del mondo dello spettacolo, che non si comprende però, alla stregua del rapidissimo accenno difensivo, quando e in che termini abbia goduto di una qualche ribalta nel presente procedimento; o pretende di trarre elementi di dubbio sull’attendibilità della donna dalle sue, all’evidenza marginali, imprecisioni sulla durata del suo rapporto sentimentale con il P., o dall’inverosimiglianza, affermata in termini assoluti, del narrato della teste su un acquisto di droga presso il clan Forastefano, narrato, peraltro, nemmeno chiaramente focalizzato dalla difesa riguardo al ruolo del P., e comunque riferibile a fatti in nessun modo esclusi dall’ambito dello storicamente possibile. Non sembrano decisive nemmeno le notazioni difensive sulla sospetta progressione delle dichiarazioni del Cu. su un incontro in (OMISSIS), relativamente al quale solo in un secondo momento, rispetto alle prime propalazioni, il collaborante avrebbe ricordato la presenza dell’avv. P., non essendo affatto possibile escludere, soprattutto nell’ambito di una generale ricostruzione di vicende criminali complesse e articolate nel tempo, la graduale focalizzazione di fatti e circostanze provvisoriamente sfuggite alla memoria.

Sembra poi del tutto impropria, per concludere l’esame delle deduzioni difensive in punto di contestazione dell’attendibilità o della concludenza delle indicazioni di prova sottolineate dai giudici territoriali, l’enfatizzazione delle caratteristiche planimetriche della palestra gestita dal M., non fosse che per l’ovvia considerazione che spazi di riservatezza avrebbero potuto comunque essere assicurati ai convenuti impegnati in traffici illeciti, quanto meno in ragione della banale scansione degli orari di apertura e di chiusura al pubblico dell’esercizio, peraltro dotato, secondo quanto nota opportunamente il tribunale, di sistemi di video sorveglianza esterna.

Più in generale, la difesa non si impegna in realtà in una puntuale contestazione dei passaggi salienti delle argomentazioni dell’ordinanza impugnata, optando piuttosto a vantaggio di una tecnica di replica incentrata su spunti isolati, come tali incapaci di cogliere vizi logico giuridici nella ben più complessa articolazione dell’impianto motivazionale del provvedimento.

La stessa "insufficienza" caratterizza le interlocuzioni difensive sulle due ipotesi associative. A fonte delle numerosissime indicazioni di prova sottolineate dai giudici territoriali, e coerentemente ritenute ascrivibili ad un quadro indiziario di notevole gravità complessiva, la difesa oppone considerazioni corrispondenti a mere opzioni ipotetiche, come la "possibilità" che il P. fosse un semplice consumatore di droga, o la considerazione di elementi "negativi", cioè di ciò che "non" sarebbe emerso a carico del ricorrente, o generiche e assertive deduzioni sull’elemento dell’affectio societatis, rispetto al quale ha assai poco pregio il rilievo dei presunti (ma non meglio analizzati) contrasti tra il M. e gli altri associati, essendo di tutta evidenza che la vita di un’associazione criminale possa essere caratterizzata da momenti di aspro confronto "interno".

Non molto più puntuali sono le censure sul reato di favoreggiamento di cui al capo 28), che peraltro, come si vedrà meglio oltre, sostanzia largamente, alla stregua della contestazione, i modi della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso di cui al capo 1..

In sintesi, le critiche difensive si appuntano, in diritto, sulla non configurabilità del delitto di favoreggiamento per induzione altrui al mendacio e rilevano l’assenza di indicazioni sul reato presupposto, arbitrariamente individuato dai giudici territoriali nel reato di usura, in assenza di indicazioni essenziali sul fatto tipico, come ad es. la misura degli interessi, e indugiano sui profili soggettivi dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Anche in questo caso, però, la difesa trascura la necessaria corrispondenza tra i motivi di ricorso e le argomentazioni del provvedimento impugnato, che da conto in realtà in modo del tutto logico e coerente, di tutti i temi di prova connessi alla specifica contestazione. La natura illecita dei rapporti tra il M., il S. e il Ca., emersi dalla perquisizione del 16.2.2007, è logicamente incontestabile, per la stessa necessità dell’intervento del ricorrente come sedicente creditore, in quanto in grado di riferire il fatto costituivo alla propria attività professionale; la specifica connotazione criminale nella direzione della identificazione di sottostanti patti usurari, è altrettanto logicamente desunta dal tribunale non solo in ragione di quanto sarebbe già in qualche misura implicito nella natura "finanziaria" dei rapporti, non altrimenti "sospetti", ma dalle dichiarazioni dell’ A. sulle attività usurarie del M., e dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, nel corso di una delle quali il M. manifestava la volontà di appropriarsi, a soddisfacimento del proprio credito, della quota spettante al S. in una società che gestiva una discoteca, modi satisfattivi certo non appropriati a "normali" rapporti obbligatoli.

E costituisce idonea confutazione della tesi difensiva di un intervento del ricorrente esclusivamente limitato all’ambito dei suoi rapporti con il M., la sottolineatura da parte dei giudici territoriali, della diffusa consapevolezza, tra vari sodali (lo stesso A., ad es. ma anche il ma., peraltro direttamente implicato nella vicenda), della disponibilità del P. a sfruttare in modo del tutto improprio le sue qualità professionali a vantaggio degli interessi criminali facenti capo al sodalizio.

Così come il contributo del P. non si sarebbe limitato al suggerimento del mendacio altrui, ma si sarebbe piuttosto esteso ad un ben diverso e diretto coinvolgimento del ricorrente nella vicenda, con la simulazione della propria implicazione per legittime ragioni professionali nei rapporti finanziari in questione, mettendo conto soltanto di aggiungere, al riguardo, che anche sistematiche condotte di favoreggiamento possono finire per essere sussumibili sotto il paradigma della condotta di partecipazione ad un associazione criminale, tracimando i limiti della specifica incriminazione ex art. 378 c.p. (Nel senso che la condotta favoreggiatrice a favore dei componenti di una associazione a delinquere può esser assunta come valido indizio di una partecipazione alla stessa banda criminale, cfr. ad es. Corte di Cassazione, nr. 3461 dell’08/11/1999 Azzone).

Senza dire che la stessa questione della specifica qualificazione della condotta nei termini del delitto di cui all’art. 378 c.p., perde di molto la sua rilevanza, nella misura in cui il ruolo nella vicenda del P. esprime comunque una solidarietà e una convergenza di interessi criminali con la cosca coriglianese, espressa nei modi di un contributo ben identificato e "stabilmente" legato, peraltro, alle qualità professionali del ricorrente, indipendentemente dall’autonoma titolazione giuridica delle sue concrete manifestazioni. Quanto ai motivi nuovi, essi sono largamente contaminati da profili di merito, incompatibili con i limiti del giudizio di legittimità.

La difesa riesamina la questione dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia, peraltro con la tecnica della citazione di singoli incisi delle dichiarazioni, ovviamente selezionati in funzione delle esigenze difensive, senza mai cogliere indicazioni davvero decisive per supporre il mendacio dei dichiaranti, ma soprattutto prescindendo in larga misura dal percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, che si articola secondo una linea di coerenza e di indiscutibile plausibilità logica, soprattutto nell’ottica della gravità indiziaria, nel sottolineare i plurimi contributi dichiarativi sul conto del P., tra i quali non solo quelli della R., del Cu. e dell’ A., ma anche di Mi.Gu.; e fondatamente considera rilevanti, in una visione organica e complessiva delle risultanze di prova, che la difesa pretende singolarmente di svalutare, proponendone un’analisi riduttiva e disarticolata, anche i risultati dell’attività captativa, nella parte in cui rivelano ad. es., i rapporti in materia di droga, comunque in concreto qualificabili nel singolo caso, tra il ricorrente e il M.. Le precedenti osservazioni valgono però essenzialmente in riferimento alle ipotesi associative.

L’ordinanza impugnata va invece annullata proprio relativamente alla specifica imputazione di favoreggiamento di cui al capo 28, per quanto per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente.

Ed invero, la sovrapposizione tra il delitto associativo e il reato di favoreggiamento, può sussistere solo quando il favoreggiamento venga posto in essere per la copertura di un singolo reato-fine, ovvero per un reato totalmente estraneo alle finalità dell’associazione, mentre si è visto che nella specie le condotte di favore del P. esprimevano, secondo le valutazioni del tribunale, la sua interazione organica e sistematica con gli altri associati (su questi principi, cfr. Corte di Cassazione N, 40966 del 08/10/2008 SEZ. 6 Pillari), in vista del perseguimento di uno dei fini dell’associazione, cioè la consumazione di reati contro il patrimonio, in essi compresi i delitti di usura, al punto che la rubrica cautelare, nel descrivere la posizione del ricorrente all’interno dell’associazione mafiosa di cui al capo 1), lo indica come "incaricato di compulsare i debitori di mutui contratti a tasso usurano; mentre la stessa imputazione di favoreggiamento è contestata in forma aggravata ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 in quanto finalizzata ad agevolare la cosca coriglianese. E’ ovvio poi che l’esclusione dell’autonoma rilevanza penale della condotta di favoreggiamento assorte le questioni difensive sull’aggravante mafiosa.

Quanto alle esigenze cautelari, infine, le generiche deduzioni della difesa su un presunto, più o meno specchiato stile di vita del ricorrente non varrebbero certo a superare la presunzione di pericolosità legata al titolo dei reati associativi; ma non appare conferente neanche il rilievo della situazione di detenzione del M., in sostanza implicante l’apodittica affermazione di una mancanza di "autonomia" criminale del ricorrente, peraltro inserito, secondo l’accusa, in un più ampio contesto di rapporti associativi e di plurime relazioni con altri sodali.

Alla stregua delle precedenti considerazioni l’impugnata ordinanza deve essere annullata senza rinvio relativamente ai reati di favoreggiamento con il rigetto, nel resto, del ricorso.

Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata relativamente ai reati di favoreggiamento; rigetta nel resto il ricorso. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *