T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 15-03-2011, n. 2331

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con delibera del Consiglio regionale n. 188 del 6.10.2004 la soc. M. S.r.l. è stata autorizzata ad esercitare per anni 7 l’attività di cava di sabbia e ghiaia in località Poggio delle Fasce nel territorio del Comune di Graffignano (VT) su un terreno di circa ha 7.00.00 (distinto in catasto al foglio 13, prot. 8/p, 9/p, 10/p, 11/p, 15/p, 29/p e 30/p).

Nella domanda di rilascio la M. S.r.l. aveva fatto presente che proprietario del terreno era il Sig. Renato B. che le aveva concesso la disponibilità al fine della coltivazione di una cava (cfr., atto del 3.12.2002 registrato all’Agenzia delle Entrate di Viterbo in data 3.11.2003 al n. 8626, serie 3).

In proposito, con scrittura privata registrata il 5.11.2003, la ricorrente ha ottenuto dal B. la disponibilità del terreno di cui è causa; ai sensi dell’art. 4 di detta scrittura "alla data del 30.9.2004, qualora lo sfruttamento non potesse iniziare per qualsivoglia impedimento, il presente accordo si intenderà risolto e nulla sarà dovuto dall’una all’altra parte per qualsiasi titolo e ragione".

Come risulta dalla documentazione in atti – alla data del 30.9.2004 – l’attività estrattiva non è stata iniziata dalla ricorrente.

Successivamente, il B. ha venduto il terreno alla Società agricola C.D.S.B. (atto a rogito notaio Castaldi di Canino (VT) in data 8.10.2004, rep. n. 8958); quest’ultima si è sempre rifiutata di cedere alla ricorrente la disponibilità del terreno.

Con istanza del 12.7.2007 la ricorrente ha chiesto alla Regione Lazio l’emanazione, ai sensi degli artt. 45, 6 comma, e 32, 3 comma, del RD n. 1443/1927, di un provvedimento di occupazione di urgenza del terreno; poi ha notificato apposita diffida.

Con la nota impugnata la Regione Lazio ha comunicato che "l’art. 32 del RD n. 1443/1927 fa riferimento al sistema della concessione di beni che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato e non a quello dell’autorizzazione che, riferito a beni lasciati in disponibilità del proprietario, è regolato dalla vigente L.reg. n. 17/2004 in materia di cave e torbiere. Il successivo art. 45 è applicabile solo in casi del tutto eccezionali allorché il proprietario del fondo non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera dopo averne ottenuto la relativa autorizzazione.

Nel caso in esame la C.S.B. S.r.l. ha manifestato l’intenzione di avviare una attività estrattiva di cava su terreni di proprietà diffidando la Regione al rilascio della concessione di scavo, già conferita alla M. S.r.l.".

Con il ricorso in epigrafe la ricorrente ha prospettato i seguenti motivi di diritto:

1). Violazione dell’art. 3 L. n. 241/1990 e successive modificazioni ed integrazioni nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore e sviamento di potere;

2). Violazione degli artt. 45, 6 comma, e 32, 3 comma, RD n. 1443/1927 nonché art. 15 della L.reg. n. 27/1993 e 7 della L.reg. n. 17/2004;

3). Violazione degli artt. 45, 6 comma, e 32, 3 comma, RD n. 1443/1927 nonché art. 15 della L. reg. n. 27/1993 e 7 della L. reg. n. 17/2004; eccesso di potere per sviamento ed errore sui presupposti;

4). Violazione art. 10 bis della L. n. 241/1990 e successive modificazioni ed integrazioni; eccesso di potere.

In giudizio si sono costituite entrambe le controparti con deposito di memorie.

Tanto premesso, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

1). Con il primo motivo di ricorso la ricorrente contesta la data del contratto di vendita tra il B. e la C.S.B. che sarebbe stato stipulato non in data 30.9.2004 ma l’8.10.2004 e cioè dopo il rilascio dell’autorizzazione regionale alla ricorrente (6.10.2004).

Inoltre, in base alla scrittura privata sottoscritta tra il B. e la ricorrente in data 3.12.2002, questa aveva la disponibilità del terreno sia alla data di presentazione della domanda di rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione alla Regione Lazio sia alla data del 30.9.2004.

La controinteressata replica con la memoria datata 15.4.2008.

Con scrittura privata registrata il 5.11.2003 la ricorrente ha ottenuto dal B. la disponibilità del terreno di cui è causa; ai sensi dell’art. 4 di detta scrittura "alla data del 30.9.2004 qualora lo sfruttamento non potesse iniziare per qualsivoglia impedimento il presente accordo si intenderà risolto e nulla sarà dovuto dall’una all’altra parte per qualsiasi titolo e ragione"; alla data del 30.9.2004 l’attività estrattiva non è risultata iniziata.

Dunque, la ricorrente non avendo iniziato l’attività alla data del 30.9.2004 aveva perso la disponibilità del terreno per intervenuta risoluzione di diritto della scrittura privata a suo tempo sottoscritta.

Circostanza, questa, che risulta confermata anche dalla Regione Lazio, con la memoria del 10.12.2010, nella quale si ribadisce che la ricorrente – sin dall’ottobre 2004 – ha perso la disponibilità del terreno oggetto dell’autorizzazione del Consiglio regionale n. 188/2004.

L’attività autorizzata alla M. S.r.l. è una attività estrattiva di cava di sabbia e ghiaia, il cui presupposto imprescindibile per il rilascio della prescritta autorizzazione è la disponibilità del terreno. La ricorrente, alla data di adozione della deliberazione di Consiglio regionale di autorizzazione alla attività estrattiva, non aveva più la disponibilità delle aree in quanto il contratto di sfruttamento con il proprietario Sig. B. era scaduto il 30.9.2004.

Non trova riscontro, in fatto, quanto sostenuto nell’ultima memoria difensiva della ricorrente, depositata il 22.12.2010, nella quale si sostiene che il termine non era essenziale perché al suo verificarsi il contratto stipulato tra la ricorrente e il B. non collegava, né direttamente, né indirettamente, l’effetto della risoluzione.

La censura deve essere, pertanto, disattesa.

2). Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che, in base ai citati articoli (cfr., 45, 6 comma, e 32, 3 comma, del RD n. 1443/1927), il soggetto autorizzato a coltivare una cava è legittimato a chiedere e ottenere che l’autorità competente disponga l’occupazione del terreno necessario per la sua coltivazione.

Anche questa censura non merita condivisione.

Occorre richiamare, in via preliminare, il disposto normativo.

L’art. 45 RD n. 1443/1927 prevede che "le cave e le torbiere sono lasciate in disponibilità del proprietario del suolo. Quando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l’ingegnere capo del Distretto minerario può prefiggere un termine per l’inizio, la ripresa o la intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso, l’ingegnere capo del Distretto minerario può dare la concessione della cava e della torbiera in conformità delle norme contenute nel titolo II del presente decreto in quanto applicabili".

Detta norma ha canonizzato l’interesse pubblico allo sfruttamento delle cave, in analogia con quanto previsto per le miniere, vale a dire in ragione del suo carattere di risorsa strategica per l’economia nazionale.

L’art. 32 del Regio Decreto menzionato prevede, poi, che, entro il perimetro della concessione, le opere necessarie per il deposito, il trasporto e la elaborazione dei materiali, per la produzione e trasmissione dell’energia, e in genere per la coltivazione del giacimento e per la sicurezza della miniera, sono considerate di pubblica utilità a tutti gli effetti della L. n. 2359/1865.

Le norme appena esposte prevedono, quindi, la possibilità di concedere lo sfruttamento della cava a terzi subordinatamente alla mancata coltivazione della cava da parte del proprietario.

La giurisprudenza ha più volte affermato, al riguardo, che l’art. 45, comma 2, R.D. n. 1443/1927 è suscettibile di applicazione soltanto nell’ipotesi in cui il proprietario di un’area che sia urbanisticamente destinata all’attività estrattiva non la sfrutti, astenendosi dal richiedere o dall’esercitare l’autorizzazione, e produce effetti costitutivi consistenti nell’avocazione della cava al patrimonio indisponibile della Regione soltanto se, una volta raggiunto dalla diffida regionale, il proprietario perduri nel comportamento inerte alla scadenza del termine assegnatogli (cfr., T.A.R. Umbria, 20 maggio 2003, n. 390).

Nella vicenda la controinteressata ha manifestato la sua disponibilità a coltivare la cava; dunque, non si sono maturate le condizioni oggettive previste dal citato art. 45.

Inoltre, la fattispecie di cui all’art. 32 non può essere invocata dalla ricorrente per riottenere la disponibilità dell’area di cava, ottenuta e poi venuta meno in virtù di una specifica scrittura privata con il proprietario dell’area, in quanto il comma 3 dell’art. 32 si riferisce ad un regime di concessione (e non di autorizzazione) e la dichiarazione di pubblica utilità è finalizzata ad opere necessarie per il deposito, trasporto da eseguirsi fuori del perimetro della concessione stessa.

Pertanto, è indiscusso che l’istituto dell’occupazione di urgenza non può essere invocato al fine di riottenere la disponibilità dell’area di cava quando il titolo di tale disponibilità sia venuto meno; l’art. 32, 4 comma, è applicabile alle ipotesi ben specificate dalla norma stessa e solo allorché l’attività di cava era già esercitata.

3). Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente contesta che la controinteressata non avrebbe presentato una formale domanda per la coltivazione della cava de qua.

Anche questo vizio non merita positivo apprezzamento.

Risulta dalla documentazione allegata in giudizio che alla C.S.B. S.r.l. non è stato mai fissato alcun termine per la coltivazione della cava; di conseguenza, non è possibile rilasciare la concessione di coltivazione della cava in favore di terzi.

Peraltro, ai sensi del citato comma 1 dell’art. 45, non rileva che la stessa controinteressata non abbia presentato autonoma domanda per il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava.

4). Infine, l’interessata lamenta la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

L’infondatezza di quest’ultima argomentazione emerge dal fatto che nella specie risulta superflua l’applicazione dell’art. 10bis della L. n. 241/1990; dalle argomentazioni che precedono emerge che la ricorrente non avrebbe, comunque, potuto apportare al procedimento in questione nessun elemento utile a determinare una diversa valutazione della PA.

Inoltre, con la nota n. 221759 del 29.12.2009 la Regione ha avviato il procedimento per l’annullamento dell’autorizzazione.

Pertanto, il ricorso è da respingere.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge il presente ricorso.

Compensa tra le parti le spese, competenze ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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