Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio parte ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendo la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto di seguito di espone.
M.S., già titolare di porto d’armi ad uso caccia sportiva, in data 18/10/1996 si vedeva notificare dalla Prefettura di Roma un divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente. Il presupposto del provvedimento di divieto era dato dall’emissione da parte del Tribunale di Milano di una ordinanza di custodia cautelare in carcere del 3/7/1996 per il reato di concorso in corruzione aggravata. Successivamente, l’interessato veniva assolto in relazione a tale ipotesi di reato ma, nelle more, subiva presso il Tribunale di Perugia un procedimento per corruzione in atti giudiziari, concluso con sentenza del 6/7/2001 con l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (patteggiamerito) ad un anno, sei mesi e venti giorni di reclusione. Il 6/11/2006 il Tribunale di Perugia concedeva al M. la riabilitazione tenuto conto non solo dell’avvenuto decorso del tempo ma anche della buona condotta e, quindi, della personalità del soggetto.
A seguito di ciò, il M. chiedeva alla Prefettura di Roma la revoca del divieto di porto d’armi e la restituzione della relativa licenza.
Con decreto prefettizio del 6/6/2008 prot. n. 51880, l’istanza veniva respinta senza tenere conto della riabilitazione e omettendo di considerare il favorevole giudizio del GUP di Perugia e l’intervenuta estinzione del reato ex art. 445 c.p.p..
Ritenendo erronea ed illegittima la determinazione assunta dall’Amministrazione, il M. ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
Con una successiva memoria il ricorrente ha argomentato ulteriormente la propria domanda di annullamento.
All’udienza del 10 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
1. Il Collegio osserva che avverso il provvedimento impugnato il ricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso.
a) Violazione degli articoli 11, 39 e 43 T.U.L.P.S. ( R.D. n. 773/1931); eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento e difetto di motivazione; violazione dell’art. 3 l.n. 241 del 1990.
Al riguardo, è stato evidenziato che il diniego opposto dalla Prefettura alla richiesta di revoca del divieto di detenere armi si basa sugli artt. 11 e 39 del TULPS in quanto si è ritenuto il M. capace di abusare delle armi, ma l’Amministrazione ha basato la propria determinazione esclusivamente sulla scorta dell’intervenuta applicazione della pena su richiesta ex art 444 c.p.p. (patteggiamento), omettendo di eseguire una valutazione di ordine prognostico. Un corretto iter procedurale e motivazionale avrebbe imposto l’analisi dei fatti (e dunque non solo del reato ma anche del comportamento complessivo posteriore ai fatti, del volontariato svolto, dell’intervenuta riabilitazione, della stessa estinzione del reato), e avrebbe imposto di valutare successivamente la sussistenza di una correlazione tra fatti esaminati e l’uso delle armi (nella fattispecie inesistente). La natura di quelle armi (solo da caccia), per eventualmente concludere (motivando) sul perché da quello specifico reato fosse inferito un giudizio di inaffidabilità sull’uso delle armi. Neanche l’applicazione dell’art. 43 TULPS avrebbe consentito all’Amministrazione resistente di negare il porto d’armi al M., posto che il reato oggetto della sentenza di patteggiamento non rientra tra quelli per i quali la Prefettura è vincolata al ritiro del porto d’armi.
b) Violazione sotto altro profilo dell’art. 11 T.U.L.P.S. ( R.D. n. 773/1931) e dell’art. 445 c.p.p..
In relazione a tali violazioni il ricorrente ha osservato che l’avvenuta riabilitazione e l’avvenuta estinzione del reato, attesa la natura di tali istituti, avrebbero, ove esaminati, condotto l’Amministrazione a decisioni differenti da quelle contestate. L’art. 11 TULPS, infatti, attribuisce rilevanza all’intervenuta riabilitazione in quanto il primo comma del citato articolo 11 vieta il rilascio delle autorizzazioni di polizia a chi ha riportato una condanna superiore a tre anni per delitto non colposo "e non ha ottenuto la riabilitazione", sicché è chiaro che il legislatore ha attribuito all’intervenuta riabilitazione (e, dunque, a maggior ragione all’istituto dell’estinzione) il potere di "emendare" l’intervenuta condanna, con la conseguenza che il condannato, purché riabilitato, ben può aspirare alla concessione di una autorizzazione di polizia.
c) Violazione degli art. 3 e 10 bis l.n. 241/1990 e dell’art. 445, comma 2, c.p.p.; eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancata valutazione di risultanze istruttorie e difetto di motivazione.
In ordine a questo terzo motivo di ricorso è stato rilevato che a seguito di preavviso di rigetto, il ricorrente ha presentato una breve memoria per illustrare le ragioni fattuali e di diritto sulla base delle quali si riteneva di dover procedere alla revoca del provvedimento di divieto a suo tempo adottato, ma l’Amministrazione non ne ha tenuto conto, violando l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 e l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi. Stessa sorte è toccata alla memoria protocollata dalla Prefettura il 31/10/2007, con la quale l’istante sollecitava l’Amministrazione a tenere conto anche dell’intervenuta estinzione del reato ex art. 445, comma 2, c.p.p.. Tali violazioni non possono essere considerate irrilevanti facendo riferimento a quanto stabilito dall’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, perché tale norma di riferisce agli atti vincolati mentre il provvedimento impugnato è caratterizzato da una ampia discrezionalità.
2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda; contestando le censure avanzate dal ricorrente; affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
3. Il Collegio – sulla base dell’esame della disciplina applicabile alla fattispecie e di quanto emerge dalla documentazione prodotta in giudizio – ritiene che le censure avanzate dal ricorrente siano infondate per le ragioni di seguito indicate.
Anzitutto, dal tenore del provvedimento impugnato emerge che l’Amministrazione ha assunto le proprie determinazioni all’esito di una istruttoria completa – avendo valutato l’istanza del M., la memoria datata 31.10.2011, le note della Questura di Roma del 13.3.2007 e 7.5.2008, il provvedimento di riabilitazione del Tribunale di Perugia del 4.11.2006 e le altre circostanze del caso concreto – motivando in modo congruo in relazione agli esiti dell’istruttoria, ai dati di fatto che hanno caratterizzato la vicenda e alle norme applicate, individuate negli artt. 11 e 39 T.U.L.P.S. ( R.D. n. 773/1931).
Per quanto concerne la riabilitazione del M., va considerato che tale istituto è preso in considerazione ed assume rilevanza in determinate ipotesi solo in relazione alle licenze di polizia in generale (cfr. art. 11 del TULPS), ma non anche riguardo alle licenze di porto d’arma (cfr. artt. 30 ss. del TULPS). Pertanto, deve ritenersi che la riabilitazione prevista dall’art. 179 c.p. non incida sulla rilevanza giuridica della sentenza di condanna e non impedisca all’Amministrazione di esercitare le proprie valutazioni discrezionali considerando negativamente i fatti accertati nella condanna riportata, quali sintomi di non affidamento all’uso corretto delle armi ai fini del rilascio del porto d’armi (Consiglio Stato, sez. VI, 03 marzo 2010, n. 1245).
Ciò posto, con particolare riferimento alla vicenda che ha interessato il ricorrente va considerato che il provvedimento di divieto a detenere armi, munizioni e esplodenti, emesso in data 18.10.1996 era stato adottato in quanto nei confronti del ricorrente era stata emessa una ordinanza cautelare personale nell’ambito di un procedimento penale per il reato di concorso in corruzione aggravata. Con sentenza n. 317/99 emessa dal Tribunale di Perugia il 20.12.1999 il M. è stato assolto dalle relative imputazioni.
A prescindere dalle motivazioni dell’assoluzione (indicate nella nota della Questura di Roma del 9.3.2009) va rilevato che dinanzi alla medesima Autorità giudiziaria di Perugia è stato avviato un procedimento penale nei confronti del M., concluso con sentenza del 6/7/2001 di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (patteggiamerito) ad un anno, sei mesi e venti giorni di reclusione, per i reati di corruzione in atti giudiziari, corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri d’ufficio, false comunicazioni, appropriazione indebita, violazione delle norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per valutazione esagerata dei conferimenti in natura.
Sulla base di tali dati di fatto, nel corso dell’istruttoria avente ad oggetto la valutazione dell’istanza del 6.6.2008, di revoca del divieto di detenere armi in data 18.10.1996, sono state acquisite e valutate le note della Questura di Roma Div. III Cat. 6D del 13.3.2007 e del 7.5.2008 recanti parere sfavorevole alla revoca del citato provvedimento, in quanto "benché in ordine al procedimento posto a base del divieto di detenzione armi e munizioni, sia stata emessa sentenza di assoluzione, l’istante ha subìto, successivamente, un’applicazione di pena, su richiesta delle parti, ad anni uno, mesi sei e giorni 20 di reclusione in ordine a gravi delitti, alcuni dei quali commessi continuativamente daI 1990 fino al 2001, pertanto, "non appare rilevante’, ai fini della revoca in questione, che il Tribunale Civile e Penale di Perugia – Ufficio in data 4.12.2006, abbia concesso la riabilitazione con riguardo alla sentenza emessa dal GUP presso lo stesso Tribunale di Perugia il 6.7.2001, "atteso che la stessa assume rilevanza esclusivamente sulle eventuali pene accessorie e sugli altri effetti penali della condanna, non valendo a mettere in discussione l’esistenza dei fatti per cui lo tesso M. ha, a suo tempo, prestato il proprio consenso all’applicazione della pena medesima".
Tutte le circostanze indicate – ivi comprese quelle evidenziate dal ricorrente con memoria del 31.12.2007 (richiamata anche nel provvedimento impugnato) – sono state considerate e valutate, sicché l’Amministrazione risulta aver correttamente operato considerando, peraltro, che l’esercizio del potere di rilasciare o meno il porto d’armi, accrescitivo della sfera giuridica del soggetto richiedente riguardante importanti interessi pubblici, quali l’incolumità dei cittadini e la prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale abuso delle armi, è ampiamente discrezionale e non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza o del travisamento dei fatti. Del resto, qualunque precedente penale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull’affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi, e neppure è necessario che tale presupposto sia rappresentato da precedenti penali (T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 29 aprile 2010, n. 1279) e qualunque dato di fatto o circostanza rilevante possono essere presi in considerazione e posti a fondamento delle determinazioni assunte in materia dall’Amministrazione.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
5. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
lo respinge;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Amministrazione resistente che si liquidano in complessivi 2.000,00 (duemila/00) euro;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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