Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-12-2010) 22-03-2011, n. 11307 Illeciti e sanzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

, del Foro di Roma, che chiede l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

P.S., tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, in data 4.11.2009, confermativa della sentenza 29.11.2005 del Tribunale di Roma che lo aveva condannato, per due delitti di ricettazione di materiale archeologico, unificati dalla continuazione, alla pena di un anno, otto mesi di reclusione ed Euro 600,00 di multa, concesse le attenuanti generiche.

Il ricorrente deduceva:

1) mancanza, manifesta illogicità della motivazione per omesso esame delle risultanze dibattimentali di primo grado e dei motivi di appello;

2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla asserita autenticità ed all’interesse archeologico del materiale sequestrato, considerato che non era stato espletato alcuna accertamento tecnico al riguardo e che le dichiarazioni rese dalle testimoni, S. e R., erano contraddittorie, laddove le stesse, avevano fatto generico riferimento al carattere autentico di alcuni reperti, escludendone l’elevato interesse archeologico;

3) erronea applicazione dell’art. 648 c.p., per difetto di prova sul delitto presupposto di cui alla L. n. 1089 del 1939, art. 67, non essendo stato accertato che il rinvenimento dei beni archeologici fosse avvenuto in epoca successiva all’entrata in vigore di detta legge ed essendo a carico della Pubblica Accusa la prova della illegittima provenienza dei beni stessi;

4) carenza di motivazione sulla mancata derubricazione del reato di ricettazione in quello di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176, potendosi, nella specie, ravvisare il mero possesso, da parte dell’imputato, di beni di interesse artistico, storico ed archeologico.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Le censure proposte sono meramente reiterative di quello svolte in appello, disattese dalla Corte territoriale con corretta e logica motivazione, come tale, incensurabile in sede di legittimità.

Sul presupposto della mancata contestazione del fatto che l’imputato era stato sorpreso, in due occasioni, dalla P.G. mentre trasportava sulla sua autovettura i reperti archeologici elencati nell’imputazione, i giudici di appello danno dato conto della superflutà degli accertamenti tecnici richiesti, a fronte delle dichiarazioni testimoniali dei due funzionari delle soprintendenze ar- cheologiche che avevano confermato "la sicura autenticità di detti reperti ed il loro valore storico archeologico". La prova del delitto presupposto di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 125 (c.d. furto archeologico, in precedenza sanzionato dalla L. n. 1089 del 1939, art. 67), è stata dedotta, con adeguata motivazione, dalla presenza di terriccio su buona parte dei reperti in questione, dalla mancata indicazione di riscontri, da parte del P., in ordine a pregresse vicende traslative degli stessi, dalla varietà tipologica dei reparti medesimi e dalla ripetitività degli episodi ascritti all’imputato, circostanze, peraltro, che correttamente la Corte di merito ha ritenuto inconciliabili con la condotta del meno grave delitto, D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 176 (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato). Deve, quindi, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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