Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-06-2011, n. 12134 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12/512003, il Giudice del lavoro del Tribunale di Agrigento, in accoglimento della domanda proposta da G. S. nei confronti del GIORNALE DI SICILIA – Editoriale Poligrafica – S.p.a., per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto instauratosi con quest’ultima, sin dal maggio 1964, presso l’ufficio di corrispondenza di Agrigento., condannava la società convenuta in giudizio, a corrispondergli gli importi di Euro 111.206,67, a titolo di differenze retributive, di Euro 14.221,65, a titolo di mensilità aggiuntive, di Euro 13.609,90, a titolo di indennità di preavviso, di Euro 13.682,56, a titolo di t.f.r., oltre accessori come per legge ed al rimborso delle spese processuali.

Contro tale sentenza – con la quale il primo Giudice, sulla base delle dichiarazioni dei testimoni escussi aveva ritenuto che il ricorrente, per l’impegno quotidiano ed il suo stabile inserimento nell’organizzazione dell’impresa, dovesse qualificarsi lavoratore subordinato, con la qualifica di redattore – proponeva appello la società soccombente, lamentandone l’erroneità. Il G. resisteva al gravame.

Disposto il riesame di due testi, a chiarimento delle deposizioni rese in primo grado, con sentenza del 4 maggio-10 luglio 2006, l’adita Corte d’appello di Palermo, rilevato che il materiale probatorio acquisito induceva ad escludere la presenza nel dedotto rapporto di lavoro dei connotati della subordinazione, in accoglimento del gravame, rigettava le domande proposte dal G. con il ricorso introduttivo.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il G. con un unico, articolato motivo.

Resiste il Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica spa con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso il G., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 253 c.p.c. e artt. 2094 e 2697 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, omessa ed erronea valutazione ed interpretazione di risultanze processuali e di documenti ed omesso esame su di un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte di Appello di Palermo, "con inadeguata insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alle acquisizione istruttorie", abbia affermato l’inesistenza del rapporto di lavoro subordinato inter partes, violando l’art. 2094 c.c..

Secondo il ricorrente, la Corte di Appello sarebbe pervenuta alla decisione impugnata dopo avere valutato autonomamente, ed in modo del tutto differente dalla valutazione compiuta dal Giudice di prime, cure le prove testimoniali. Il motivo, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento. Invero, il Giudice d’appello ha, in primo luogo, opportunamente tenuto a puntualizzare – richiamando la giurisprudenza di questa Corte – che, anche in tema di lavoro giornalistico, l’elemento fondamentale, ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, resta sempre l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza ed un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi con riferimento alla peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore ed alle modalità del suo svolgimento (v., tra le tante, Cass. n. 4797/2004); con la conseguenza che, pur verificandosi, nel lavoro giornalistico, una attenuazione del vincolo di subordinazione, dovuto al carattere eminentemente intellettuale delle prestazioni ed alla loro connaturale creatività, tuttavia tale vincolo va, comunque, desunto dalla soggezione alle specifiche direttive e disposizioni impartite dai capi servizio.

Posti tali principi, il Giudice d’appello ha proceduto ad un attento esame delle dichiarazioni dei testi escussi in primo grado, riascoltando inoltre il Capo servizio della cronaca regionale del Giornale di Sicilia – preposto come tale al coordinamento delle redazioni o uffici locali, tra cui quello di Agrigento, dove il G. aveva svolto la sua attività – nonchè il redattore responsabile della Redazione di Agrigento dal 1983 al 1985.

All’esito di tale indagine, la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione, ampiamente motivata, che, nella fattispecie esaminata, non risultavano provati i requisiti fondamentali della subordinazione, la cui presenza doveva considerarsi indefettibilmente richiesta anche nel lavoro giornalistico.

In particolare, ed in applicazione dei principi elaborati da questa corte in materia, il Giudice d’appello ha negato la subordinazione a causa, tra l’altro, dell’assenza di un obbligo di presenza e di orario del G. presso la dipendenza di Agrigento del Giornale di Sicilia, e dell’assenza di direttive da parte del responsabile della Redazione di Agrigento con il quale il G. "decideva" soltanto come impostare le notizie operando, quindi, secondo scelte che egli concordava, piuttosto che subire, con il predetto responsabile.

La sentenza impugnata, così argomentando, non si è discostata dai principi di diritto enunciati e non merita le censure che le vengono mosse con il ricorso. Devesi, in proposito, ancora rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U. n. 13045/97) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

Tenuto conto di siffatti limiti del potere di indagine della Corte di legittimità, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 4.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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