Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-06-2011, n. 12238 Risoluzione del contratto per inadempimento

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Svolgimento del processo

La società Tatulli Costruzioni, premesso di avere stipulato con M.D., in data 28 giugno 1993, un contratto preliminare per la vendita di un appartamento per il prezzo complessivo di L. 329.932.000, con obbligo di pagamento integrale del prezzo alla data di immissione in possesso, avvenuta il 18 marzo 1996, e che la controparte, nonostante avesse avuto in consegna l’immobile da oltre un anno e avesse ricevuto diffide, non aveva provveduto a versare il saldo di L. 65.470500, convenne dinanzi al tribunale di Bari il promissario acquirente chiedendone la condanna al pagamento del prezzo ancora dovuto o, in subordine, la dichiarazione di risoluzione di diritto del contratto conseguente al mancato adempimento nel termine intimato a mezzo di diffida.

All’esito del giudizio, in cui il convenuto rimase contumace, il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda della società attrice formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, dispose la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente, che condannò al rilascio dell’immobile ed al pagamento della penale convenuta di L. 30.000.000.

Interpose appello principale il M., lamentando la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, atteso che la domanda della controparte accolta dal giudice di primo grado, pur essendo nuova, non gli era stata mai notificala e chiedendo, nel merito, il rigetto delle richieste della controparte.

La società Tatulli Costruzioni si costituì in giudizio riproponendo a sua volta, a mezzo di appello incidentale, la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e quella di risarcimento del danni. Con sentenza n. 686 del 20 luglio 2004, la Corte di appello di Bari dichiarò nulla la decisione impugnata per avere pronunciato su una domanda che, pur essendo nuova, non era stata notificata al convenuto contumace; accolse inoltre l’appello incidentale, rilevando che il M., nonostante il tempo trascorso dalla consegna dell’immobile, non aveva corrisposto il saldo del prezzo, pari a L. 65.469.500, nè pagato parte delle rate del mutuo bancario acceso sull’immobile, esponendo in tal modo la controparte ad azioni esecutive; dichiarò invece inammissibili, perchè proposte per la prima volta in appello, le ulteriori richieste consequenziali alla domanda di risoluzione avanzate dalla società.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 10 ottobre 2005.

Ricorre, affidandosi a tre motivi, M.D..

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la società Tatulli Costruzioni.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 166 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per non avere dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dalla società, che si era costituta nel relativo giudizio oltre il termine di 20 giorni prima della data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione in appello. Nel caso di specie, infatti, l’appello indicava tale data al 2 dicembre 2002, mentre la controparte si era costituta il 14 novembre 2002. Nè a tal fine assume rilievo, ad avviso del ricorrente, che la prima udienza era stata rinviata d’ufficio al 6 dicembre 2002, atteso che tale spostamento era avvenuto, in via automatica, ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, e non in forza del decreto di differimento contemplato dal comma successivo del medesimo articolo. Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., lamentando che la Corte territoriale abbia respinto, senza motivare sul punto, la propria eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale avanzato dalla controparte per difetto di interesse, atteso che la società Tatulli era stata completamente vittoriosa nel giudizio di primo grado.

I due motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono infondati.

Questa Corte è ferma nell’affermare che l’art. 1453 c.p.c., comma 2, -che prevede che la risoluzione per inadempimento nei contratti a prestazione corrispettive può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento – esprime un principio di ordine processuale in base al quale nei contratti con prestazioni corrispettive è consentito alla parte, in deroga alle norme che vietano la mutatio libelli nel corso del processo, sostituire, ferma restando l’identità dei fatti costitutivi, alla domanda originaria di adempimento coattivo del contratto quella di risoluzione per inadempimento, con la precisazione che tale principio, derogando alle divieti di mutamento della domanda stabiliti dall’art. 183 cod. proc. civ., per il primo grado, e dall’art. 345 c.p.c., per il grado di appello, comporta l’effetto che tale mutamento deve ritenersi consentito per tutto il corso del giudizio di primo grado e di appello e anche nel giudizio di rinvio (Cass. n. 13003 del 2010; 2715 del 1996).

Dall’applicazione di tale principio discende che, nel caso di specie, la parte appellata, al fine di formulare la domanda di risoluzione per inadempimento, non aveva alcun onere di proporre appello incidentale, potendo avanzarla anche con l’atto di costituzione in appello. Più precisamente, consegue che l’atto contenente una tale domanda, difettando i presupposti propri dell’atto di impugnazione, condivideva il contenuto della comparsa di costituzione e risposta.

La dedotta violazione del termine di cui all’art. 343 cod. proc. civ. – stabilito esclusivamente per la proposizione dell’impugnazione incidentale e non già per la costituzione in appello – non ha prodotto, pertanto, alcuna conseguenza in termini di inammissibilità o nullità della relativa domanda, dovendo escludersi, per le ragioni dette, che l’atto proposto dalla parte avesse natura di appello incidentale e quindi fosse sottoposto alle forme ed ai termini per esso previsti dalla legge.

I motivi proposti vanno quindi disattesi per difetto del requisito di decisività, in quanto la dedotta inammissibilità dell’impugnazione incidentale, se anche fosse stata rilevata, non avrebbe precluso o impedito al giudice di appello di esaminare e pronunciarsi sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.

Il terzo motivo di ricorso denunzia erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., comma 3, e dell’art. 1455 cod. civ., censurando la decisione di appello per avere ritenuto grave l’inadempimento del convenuto, nonostante che esso riguardasse solo una misura pari al 20% del prezzo stabilito e senza considerare l’interesse all’adempimento della controparte nonchè la tolleranza da questi dimostrata, e per avere considerato, ai lini dell’inadempimento, fatti ed evenienze, quali il mancato pagamento delle rate del mutuo bancario o dell’ici, successive alla domanda di risoluzione.

Il mezzo è infondato.

Il principio richiamato dal ricorrente, conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui la valutazione del comportamento della parte contrattuale ai fini di accertare il suo inadempimento va compiuto con riguardo alla situazione esistente al momento della proposizione della domanda, senza considerare la condotta e le scadenze successive, risulta rispettato dalla Corte territoriale, la quale, al di là dei riferimento ad altri inadempimenti, almeno in parte verificatisi dopo la proposizione della domanda di risoluzione in appello, ha giustificato la propria conclusione principalmente in ragione del mancato pagamento da parte del promissorio acquirente della somma dovuta a saldo del prezzo di vendita, pari a L. 65.469.500.

La censura che contesta la valutazione del giudice in ordine alla gravità di tale inadempimento appare invece inammissibile, introducendo un sindacato su un apprezzamento di fatto, che, come tale, compete al giudice di merito e non al giudice di legittimità.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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