Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 22-03-2011, n. 11325 Aziende di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.A., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la ordinanza 30.7.2010 con la quale il Tribunale di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza 2.7.2010 del Giudice delle indagini che aveva disposto, a carico del prevenuto la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui all’art. 416 c.p., commi 1 e 5; art. 644 c.p., comma 1 e comma 5, nn. 3 e 4; art. 629 c.p., comma 1; D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

La difesa del ricorrente richiede l’annullamento dell’indicato provvedimento deducendo: 1) vizio di erronea applicazione della legge penale e vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed e).

A sostegno del motivo, la difesa afferma che: a) l’imputato se pur aveva consegnato materialmente somme di denaro al D.P., pur tuttavia non aveva esercitato pressioni estorsive per procedere alla loro riscossione; b) non vi sono intercettazioni telefoniche che lo riguardano e tali da far ritenere che fosse a conoscenza delle modalità con le quali venivano recuperate le somme presso i "clienti". La mancanza di elementi di prova concreti, sostiene la difesa, incide direttamente sulla prova della (insussistente) partecipazione dello S. all’associazione per delinquere contestata. La difesa afferma che sono del tutto immotivate le ragioni relative alla contestazione del delitto di cui all’art. 629 c.p. e del reato di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, risultando, per tale illecito, una semplice occasionalità nella attività di finanziamento erogato a favore di soggetti terzi.

2) Con riferimento alla circostanza aggravante dell’utilizzo del c.d.

"metodo mafioso", la difesa denuncia la totale assenza di elementi di prova a carico del ricorrente che neppure conosceva dell’utilizzo di tali metodi da parte degli altri componenti della profilata associazione, in ciò richiamando la disciplina dell’art. 59 c.p.; 3) con un terzo motivo la difesa deduce la mancanza di elementi sufficienti a giustificare la esistenza di esigenze cautelari.

Il ricorso è manifestamente infondato. Va premesso che con l’ordinanza qui impugnata, il Tribunale del Riesame ha descritto in modo estremamente preciso un’articolata associazione per delinquere dedita all’attività della usura, individuando l’ambito territoriale di operatività, sia le persone partecipanti, sia i rispettivi ruoli ricoperti dai singoli partecipi. Il Tribunale ha quindi preso in considerazione fatti specifici, dimostrativi della concreta attività svolta, nei rispettivi ruoli, dagli indagati, nonchè le modalità di reperimento dei fondi da dare ad usura, e le modalità con le quali i componenti della associazione riscuotevano le somme erogate, ricorrendo anche a metodi estorsivi attuati con modalità e con minacce particolarmente intense dimostrativi di metodi mafiosi.

Il Tribunale ha quindi descritto l’attività dello S. ponendo in evidenza gli elementi di prova sulla cui base è stato possibile inferire come lo stesso partecipasse a pieno titolo all’associazione avendo rapporti non occasionali con lo SC. e con il F., entrambi soggetti di rilievo nell’organizzazione criminale. Nell’ordinanza viene altresì articolatamente descritta l’attività usuraria dello S. attraverso la erogazione di somme di denaro al D.P.D. il quale in più atti di indagine ha esposto le modalità con le quali è stato costretto a spogliarsi di beni per pagare le somme ricevute a mutuo e maggiorate di interessi esorbitanti. In tale ambito il Tribunale ha svolto la verifica delle dichiarazioni rese dal D.P. (v. pag. 11 dell’ordinanza) rinvenendo plurimi riscontri oggettivi e documentali. Altrettanto articolata appare poi l’ordinanza in riferimento all’analisi del reato di estorsione, ascritto all’indagato nel capo DD) della rubrica dell’imputazione essendo descritte, anche in questo caso, i ruoli e le condotte dei singoli compartecipi accertati attraverso le dichiarazioni della parte offesa e i riscontri oggettivi alle sue affermazioni. Pertanto, le censure mosse dalla difesa appaiono del tutto generiche in quanto non individuano specifici punti dell’ordinanza dai quali emergano contraddizioni o manifeste illogicità. Parimenti la difesa non ha messo in evidenza "errori" nell’interpretazione o nell’applicazione della legge penale. Le censure formulate attengono ad aspetti valutativi del merito delle prove allo stato acquisite, con la conseguenza che tali doglianze non possono essere oggetto di considerazione in questa sede, essendo precluso in sede di legittimità procedere ad una autonoma rilettura degli elementi di fatto, potendo essere presi in considerazione solo specifici vizi della motivazione che siano desumibili dalla lettura del provvedimento impugnato o da altri atti processuali che devono essere indicati in modo specifico e puntuale dal ricorrente.

Anche per quanto attiene alla denunciata carenza di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, va rilevata la manifesta infondatezza del motivo e la sua genericità. In particolare va osservato che il Tribunale del riesame ha fatto espresso richiamo all’ordinanza cautelare del 2.7.2010 nella quale sono dettagliatamente indicati gli elementi fondanti la suddetta circostanza aggravante e i criteri adottati dai giudici del merito per ritenerne la sussistenza;

l’ordinanza del Tribunale del riesame, sul punto, per effetto dell’indicato richiamo (vv. pp. 1 e 2 dell’ordinanza impugnata), impone una lettura congiunta ed integrata sia del provvedimento qui impugnato, sia dell’ordinanza genetica. Sotto questo profilo si deve rilevare la manifesta infondatezza della denuncia di carenza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè l’ordinanza del Tribunale del riesame trae la propria forza argomentativa proprio dalla richiamata ordinanza cautelare del 2.7.2010. Per esaustività dell’esame del punto in questione, va osservato che la difesa non ha neppure indicato con l’odierno ricorso gli eventuali specifici aspetti di censura proposti con l’atto di impugnazione avanti il Tribunale del Riesame e da questi non prese in considerazione; di qui consegue che anche sotto questo profilo la censura della difesa è del tutto generica, poichè, per il principio di autosufficienza del gravame, è preciso onere della parte ricorrente esplicitare, in modo specifico e puntuale (anche attraverso un semplice richiamo per riassunto) l’aspetto della impugnazione proposta che non è stato preso in considerazione dal giudice del gravame. La censura della difesa rimane pertanto ancorata alla generica affermazione che non vi sarebbe la prova che lo S. fosse a conoscenza dell’utilizzo di "metodi mafiosi" da parte dei suoi concorrenti nel reato. La doglianza, in sè, è generica, perchè è limitata alla manifestazione di valutazioni soggettive, tese ad una diversa lettura del materiale probatorio (non proponibile nella presente sede) senza formulare specifiche censure inerenti la motivazione del provvedimento impugnato o delle fonti di prova poste a suo fondamento. Dalla lettura complessiva del provvedimento impugnato (letto, attraverso la necessaria integrazione con l’ordinanza 2.7.2010) appare, allo stato. corroborata di prova l’affermazione che lo S. fosse concorrente di una associazione dedita alla attività del prestito ad usura e alla commissione dei reati ad essa funzionalmente connessi (quale l’estorsione); parimenti corroborata di prova appare l’ulteriore affermazione della partecipazione dello S. anche all’attività di estorsione (v. in particolare il capo DD della rubrica dell’imputazione). In tale contesto, allo stato, non appare manifestamente illogico ritenere che lo S., a prescindere dalla circostanza che abbia o meno direttamente fatto uso in specifici episodi di c.d. "metodi mafiosi", ha attivamente partecipato alla commissione di reati concorrendo con persone che quei metodi adoperavano, così direttamente traendo diretto beneficio in quanto concorrente nel reato, proprio dalla circostanza di apparire con quei soggetti associato.

Con riferimento al fondamento della censura inerente alla contestazione del reato di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, va osservato che trattasi di doglianza generica inducente ad aspetti di valutazione attinenti al merito, posto che la prova dell’elemento costitutivo della "abitualità", propria dell’illecito in esame, va desunto, non da un singolo episodio illecito, ma dal più ampio contesto fattuale, che nel caso in esame è rappresentato proprio dall’attività dell’associazione criminale della quale l’indagato è partecipe. Trattasi quindi di censura che attiene a valutazioni di merito, come tali sottratte a sindacato in sede di legittimità.

Altrettanto generiche sono le doglianze riguardanti le c.d. esigenze cautelari sulle quali il Tribunale del riesame si è soffermato con motivazioni specifiche e adeguate.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle Ammende attesa la pretestuosità delle doglianze.

Si manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Dispone che si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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