Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 22-03-2011, n. 11322 Aziende di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 2.7.2010 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce disponeva la misura cautelare della Custodia in carcere nei confronti di M.F. siccome indagato per i reati di cui agli artt. 416, 110 e 629 c.p., art. 110 c.p., art. 644 c.p., comma 1 e comma 5, nn. 3 e 4, art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, fatti commessi in (OMISSIS) tra il secondo semestre del (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS).

La difesa dell’indagato proponeva istanza di riesame che il Tribunale respingeva con ordinanza 20.7.2010.

Ricorre la difesa art. 311 c.p.p., richiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata deducendo il vizio di manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) attuato attraverso: l’ipervalorizzazione del materiale probatorio, l’omissione nella rilevazione di discordanze e contraddizioni intrinseche ed estrinseche, il generale travisamento del fatto. In particolare la difesa ricorrente lamenta la sostanziale inattendibilità del testimone F., che formula dichiarazioni de relato, prive di qualsivoglia sostanziale riscontro, senza essere stato sottoposto ad una vaglio di attendibilità secondo le regole previste dall’art. 192 c.p.p., alla luce anche della considerazione che le dichiarazioni del detto testimone contrastano con quelle rese da M.D..

Il ricorso è inammissibile nella forma, perchè fondato su doglianze di contenuto generico ed è comunque manifestamente infondato nel merito. Il Tribunale del riesame, procedendo ad una valutazione del provvedimento cautelare ha riscontrato sulla base degli atti di indagine fondata la ipotesi dell’esistenza di un’associazione per delinquere operante in varie località del leccese, avente lo scopo di esercitare l’attività di usura su larga scala con la predisposizione alla commissione dei reati satelliti (estorsioni, minacce) funzionalmente connessi con il perseguimento del programma criminoso. Il Tribunale ha quindi esplicitato le fonti di prova di riferimento a giustificazione della propria decisione, indicando: 1) dichiarazioni testimoniali rese dalle persone informate sui fatti; 2) intercettazioni telefoniche; 3) risultanze delle attività di pedinamento e controllo effettuate dalla polizia giudiziaria; 4) documentazione acquisita nel corso delle indagini.

Il Tribunale ha quindi preso in considerazione la struttura soggettiva della organizzazione criminale individuando in S.A., F.F. e D.L. gli organizzatori e coordinatori della illecita attività. Il vertice organizzativo si avvaleva della attività esecutiva (espletata con ruoli differenziati ma complanari al raggiungimento delle finalità della organizzazione) di S.A., C.L., M.O., M.F., M.C., T.A., P.F., quali "canali usurari" operanti con le vittime del reato di usura, nonchè di L. A., R.G. quali esecutori delle "riscossioni" delle somme di denaro presso le vittime e ancora, di S. A., Q.A. e R.A. aventi la funzione di reperire ed individuare le vittime da contattare agendo, infine, il P.S. quale anello di congiunzione tra gli esecutori degli illeciti e la c.d. "cupola". Il Tribunale ha quindi indicato quali iniziali fonti di prova della esistenza della suddetta organizzazione criminale, fra gli altri: il D.P., il F. e il P. (parti offese del delitto di usura) le cui deposizioni sono state vagliate alla luce di plurimi riscontri rappresentati: dall’esame incrociato delle dichiarazioni degli stessi, dalle intercettazioni telefoniche, dalla documentazione acquisita e sottoposta a vaglio anche attraverso una consulenza contabile disposta dall’Ufficio del Pubblico Ministero.

Il ruolo del M.F. è stato quindi individuato nei due piani costituiti dalla partecipazione adesiva alla associazione criminale, nonchè nel ruolo specifico svolto all’interno di essa ed eziologicamente funzionale all’attuazione del programma criminoso.

Infatti, sulla base degli elementi di prova indicati il Tribunale ha posto in evidenza che il ricorrente svolgeva la doppia funzione di consegnare le somme di denaro date ad usura, e di acquisire le "garanzie" per le somme erogate, in ciò operando con la collaborazione del L..

Il Tribunale ha valutato la posizione del ricorrente attraverso le plurime dichiarazioni del F. che ha descritto e narrato episodi specifici relativi tanto ai rapporti economici usurari da lui instaurati con l’organizzazione (erogazione della somma di 30-40 milioni a fronte dei quali ne sono stati restituiti più di cento in ragione di una tasso usurario del 10% mensile), quanto i tentativi di risolvere le proprie pendenze economiche (anche attraverso l’ausilio di legali), quanto, ancora, specifici episodi di intimidazione subiti, puntualmente segnalati ai carabinieri nel loro sviluppo dinamico con indicazione dei giorni e delle ore dei singoli fatti.

Le dichiarazioni del F., pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, sono state sottoposte a vaglio critico da parte del Tribunale che ne ha rilevato la "linearità espositiva", una "coerenza logico esplicativa"e la mancanza di "divergenze o lacune".

Deve pertanto affermarsi che il Tribunale ha condotto una valutazione sulla attendibilità intrinseca ed estrinseca del testimone secondo le regole fissate in sede di legittimità.

La motivazione del provvedimento è quindi adeguata, priva di illogicità e non sindacabile nel merito.

La difesa, a sua volta, nel proprio ricorso non ha posto in evidenza specifici punti nei quali il provvedimento manifesti illogicità della motivazione, nè ha indicato (richiamando specifici atti processuali) punti nei quali si evidenzi il vizio di illogicità della motivazione rispetto al contenuto di specifici atti processuali. Il ricorso, pertanto contiene una critica del tutto generica, immotivata, ed essenzialmente incentrata sul merito della valutazione in fatto svolta dal Tribunale.

Sotto questo profilo il provvedimento non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità e conseguentemente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende ex art. 616 c.p.p., attesa la pretestuosità delle doglianze.

Ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., si dispone che il Cancelliere comunichi copia del presente provvedimento alla Autorità penitenziaria del luogo ove trovasi ristretto l’indagato.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Si comunichi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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