Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 22-03-2011, n. 11469 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il Tribunale di Napoli, con sentenza deliberata il 7 febbraio 2010, ha applicato all’imputato M.S. la pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p., in relazione al reato previsto e punito dagli art. 81 c.p. e L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9, comma 2, allo stesso contestato "perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, essendo stato sottoposto…. alla misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel Comune di Napoli, non osservava gli obblighi e le prescrizioni ad essa inerenti: in particolare:

– si associava abitualmente a persone condannate o sottoposte a misura di sicurezza o di prevenzione (in data 7/11/2008, 30/12/2008, 9/4/2010, 22/6/2010);

– non si presentava tra le ore 9 e le ore 12 di domenica 25/4/2010 presso il Comm.to PS Montecalvario preposto alla sua sorveglianza;

– usciva dalla propria abitazione prima delle ore 6 in data (OMISSIS), (controllo dalle ore 2,00 alle ore 2,25), in Napoli dal 07/11/2008 fino al 22/6/2010 (arresto del 6/7/2010), con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale". 2. – Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’Imputato, denunziandone l’illegittimità:

– con il primo motivo dedotto, per mancanza di motivazione, relativamente alla effettiva riconducibilità della condotta ascritta all’imputato alla fattispecie contestata, sostenendo il ricorrente che il divieto di associarsi di cui alla norma incriminatrice, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, secondo cui la sua violazione richiede una "frequenza e abitualità di incontri", dovendo l’illiceità della condotta essere esclusa "qualora non sia segnalata alcuna circostanza sospetta e la frequentazione sia avvenuta in pieno giorno ed in contesti che non consentano di presumere la preparazione di azioni delittuose" (in tal senso Cort.

Cost. sentenza n. 27 del 20 aprile 1959), laddove, nel caso in esame, il M. "è stato controllato tutte le volte nei pressi della propria abitazione e in pieno giorno"; una delle persone "frequentate", T.E., era suo cognato, mentre uno dei pregiudicati notati dall’autorità di polizia in sua compagnia, aveva solo un precedente per reato contravvenzionale, del quale l’imputato legittimamente poteva non conoscere, essendo illogico pretendere che egli richiedesse il certificato penale a tutte le persone incontrate, con la conseguenza che il giudicante non doveva applicare alcuna pena al M., relativamente alla contestata violazione del divieto di associarsi a pregiudicati.

– con il secondo motivo, per violazione di legge ( art. 81 c.p.), nel senso che, essendo il reato contestato "a condotta plurima ed abituale", il giudicante non doveva applicare l’Istituto della continuazione.
Motivi della decisione

1. – L’impugnazione è Inammissibile perchè basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità ovvero manifestamente infondati.

Nessun profilo di illegittimità è infatti ravvisarle nella sentenza impugnata avendo il giudicante adempiuto correttamente all’obbligo di motivazione secondo il particolare schema argomentativo proprio della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. nei termini ormai definiti dalle sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 5777 del 27 marzo 1992, ric. Di Benedetto (RIV. 191135). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in particolare, "in tema di patteggiamento, una volta che l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di applicazione della pena, non è consentito, fuori dai casi di palese incongruenza, censurare il provvedimento in punto di qualificazione giuridica del fatto e di ricorrenza delle circostanze, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione, ricorrendo in proposito un dovere di specifica argomentazione solo per il caso che l’accordo abbia presupposto una modifica dell’imputazione originaria" (così Cass., Sez. 6, Sentenza n. 32004 del 29/7/2003, Rv. 228405, ric. P.G. in proc. Valetta;

Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3622 del 30/1/2006, Rv. 233369, ric. P.G. in proc. Laaziz). Le argomentazioni svolte in ricorso, relativamente al contestato divieto di associarsi a pregiudicati, del resto, a fronte di un passaggio motivazionale assolutamente congruo, secondo cui "le frequentazioni con soggetti pregiudicati" risultavano "documentate dai ripetuti controlli costanti nel tempo con soggetti per i quali le Forze dell’Ordine hanno fornito prova della condizione di pregiudicati, producendo i relativi certificati penali" e che "solo in due casi le persone incontrate erano parenti dell’imputato" si risolvono in deduzioni in fatto, assolutamente indimostrate.

1.2 – Manifestamente infondata risulta anche l’ulteriore deduzione difensiva, volta a contestare la legittimità dell’applicazione della continuazione, ove si consideri che nel caso in esame, al M. non è stata contestata soltanto una pluralità di violazioni, in tempi diversi, della prescrizione relativa al divieto di associarsi a pregiudicati, ma anche quella relativa all’obbligo di presentazione all’autorità di polizia ed al divieto di allontanamento dalla propria abitazione in determinati orari, (senza contare, per altro, che come già affermato da questa Corte (in termini Sez. 1, Sentenza n. 25708 del 19/6/2009, ric. Rv. 243798)" è configurabile la continuazione tra più violazioni della prescrizione, inerente alla sorveglianza speciale di p.s., di non associarsi abitualmente alle persone che abbiano subito condanna o siano sottoposte a misura di prevenzione o di sicurezza, in quanto, pur non essendo sufficiente un singolo episodio ad integrare il reato, che ha natura di reato abituale, una volta determinatasi l’abitualità della frequentazione, i successivi episodi non sono indifferenti, ma integrano nuovi reati che possono essere unificati a norma dell’art. 81 c.p.).

2. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro mille 1500,00 (millecinquecento), ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1500,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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