T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 16-03-2011, n. 2365

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il ricorrente – alla data del ricorso agente scelto di polizia penitenziaria, oltre che dirigente della organizzazione sindacale UGL FN PP – impugna (attraverso il meccanismo giuridico per silentium di cui all’articolo 6 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199) il provvedimento del 18 giugno 2007, recante sanzione disciplinare ai sensi dell’articolo 3, punto 2, lettere f) e m), del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449, per il seguente addebito: "in data 5 gennaio 2007, dalle ore 8,45 alle ore 9,15, la signoria vostra rimaneva assente dal posto di servizio per intrattenersi, unitamente ai colleghi Galazzo Giovanni e Bongiovanni Sebastiano, senza alcuna autorizzazione, nell’ufficio di polizia giudiziaria in sede, al fine di presentare atto di querela nell’interesse dell’organizzazione sindacale di appartenenza. Il fatto di infrazione, che si configura, precisamente, per avere la signoria vostra tralasciato il servizio ai fini dello svolgimento della succitata attività estranea al servizio stesso, risulta dettagliatamente documentato dalla stessa attestazione di querela, di cui è stata rilasciata copia".

I motivi di ricorso sono i seguenti.

1) "Eccesso di potere per violazione dei principi posti a presidio della funzione giustizia, difetto di istruttoria in sede giudiziale, omesso riesame nel merito della vicenda, omessa pronuncia Sulle doglianze del ricorrente in sede gerarchica. Violazione e falsa applicazione dei principi di cui al D.P.R. n. 1119/1971. Omessa preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della istanza giustiziale (articolo 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241)".

L’Amministrazione, non pronunciandosi sul ricorso gerarchico, ha illegittimamente abdicato alla funzione giustiziale.

2) "Eccesso di potere per violazione delle regole di imparzialità e parità difensiva. Violazione del principio del giusto procedimento e del contraddittorio".

Nonostante il funzionario istruttore sia stato individuato in un funzionario non appartenente allo stesso istituto, ufficio o servizio di quello dell’inquisito, diversi atti istruttori sono stati compiuti di fatto direttamente all’ispettore superiore Schembri Francesco, ossia da colui che non solo ha redatto il rapporto disciplinare dal quale è nato il procedimento in contestazione ma è soprattutto un diretto superiore del ricorrente.

3) "Violazione degli articoli 10 e 24 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449 e dell’articolo 3 del decreto legislativo 10 gennaio 1957, n. 3. Eccesso di potere per violazione della tempistica procedimentale".

I fatti sono accaduti in data 5 gennaio 2006 (recte: 5 gennaio 2007; n.d.r.), la contestazione degli addebiti e l’avvio del procedimento vi sono stati in data 22 febbraio 2007 sulla base di un rapporto redatto e contestato dal comandante di reparto in data 27 gennaio 2007, ossia con 12 giorni di ritardo.

L’inchiesta nel suo complesso, decurtando la proroga dei termini richiesti dal ricorrente, è durata oltre i 45 giorni "prescritti dal provvedimento del 16 febbraio 2007 (prot. n. 1896)".

Il rapporto disciplinare non menziona elementi utili ed obiettivi a configurare un’infrazione.

L’Amministrazione ha emesso il provvedimento punitivo oltre il termine, imposto dal D.P.R. n. 3/1957, di 180 giorni dall’avvenuta conoscenza dell’illecito.

E’ stato violato il termine di 90 giorni per la conclusione dell’inchiesta disciplinare, posto dall’articolo 110 del D.P.R. n. 3/1957.

E’ stato violato il termine di 90 giorni fra un atto del procedimento di disciplinare e l’atto successivo.

4) "Violazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per motivazione insufficiente ed apodittica. Travisamento dei fatti".

Il responsabile del servizio e il comandante di reparto erano stati posti a conoscenza dell’iniziativa del ricorrente e dei suoi colleghi, nulla esponendo in contrario.

Il ricorrente ha ricevuto debita autorizzazione anche da parte del "preposto sentinelle", essendosi recato nei locali per il tempo strettamente necessario (circa 20 minuti) ed a seguito dell’espletamento del servizio di sentinella.

Non risultano ascoltati anche gli altri due querelanti, né risulta acquisita e valutata alcuna loro dichiarazione o scritto difensivo.

È stato violato l’obbligo di motivare ed esporre dettagliatamente le ragioni della mancata considerazione delle giustificazioni opposte dall’incolpato all’addebito disciplinare.

5) Eccesso di potere nella parte in cui il provvedimento sanzionatorio è stato emesso senza considerare l’assenza di elementi di colpevolezza della presenza di causa di giustificazione. Contraddittorietà tra atti e provvedimento sanzionatorio.

La condotta del ricorrente non è stata mai attuata con finalità dolose o intenzionali ma nell’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti (tutela dell’immagine, della reputazione, della libertà sindacale e del diritto di difesa), per cui andrebbe applicata la scriminante dell’esercizio del diritto.

6) Eccesso di potere per l’istruttoria insufficiente. Violazione del principio della proporzionalità e irragionevolezza tra sanzione irrogata e infrazione commessa. Eccesso di potere per sviamento dai canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

2. – Entrambe le parti hanno depositato documenti.

Parte ricorrente ha depositato due memorie.

L’Amministrazione ha depositato una memoria.

La causa è definitivamente passata in decisione all’udienza pubblica del 10 gennaio 2011.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. – Il ricorrente – alla data del ricorso agente scelto di polizia penitenziaria, oltre che dirigente della organizzazione sindacale UGL FN PP – impugna (attraverso il meccanismo giuridico per silentium di cui all’articolo 6 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199) il provvedimento del 18 giugno 2007, recante sanzione disciplinare ai sensi dell’articolo 3, punto 2, lettere f) e m), del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449, per il seguente addebito: "in data 5 gennaio 2007, dalle ore 8,45 alle ore 9,15, la signoria vostra rimaneva assente dal posto di servizio per trattenersi, unitamente ai colleghi Galazzo Giovanni e Bongiovanni Sebastiano, senza alcuna autorizzazione, nell’ufficio di polizia giudiziaria in sede, al fine di presentare atto di querela nell’interesse dell’organizzazione sindacale di appartenenza. Il fatto di infrazione, che si configura, precisamente, per avere la signoria vostra tralasciato il servizio ai fini dello svolgimento della succitata attività estranea al servizio stesso, risulta dettagliatamente documentato dalla stessa attestazione di querela, di cui è stata rilasciata copia".

2.1 – Il primo motivo di ricorso lamenta che l’Amministrazione, non pronunciandosi sul ricorso gerarchico, ha illegittimamente abdicato alla funzione giustiziale.

La censura va respinta perché la fattispecie del silenzio sul ricorso gerarchico è espressamente disciplinata dalla legge, che con l’articolo 6 del D.P.R. n. 1199/1971 attribuisce a quel silenzio una specifica valenza ai fini della successiva tutela dinanzi al giudice amministrativo. Sicché l’Amministrazione non ha abdicato alla funzione giustiziale ma ha invece contribuito – volente o non – a quella funzione, attivando con il proprio silenzio il noto meccanismo giuridico per silentium per cui la tutela avverso la sanzione disciplinare si è trasposta dalla sede dei rimedi amministrativi a quella dei rimedi giurisdizionali.

2.2 – Il secondo motivo di ricorso lamenta che nonostante il funzionario istruttore sia stato correttamente individuato in un funzionario non appartenente allo stesso istituto, ufficio o servizio dell’inquisito ricorrente, diversi atti istruttori sono stati compiuti di fatto direttamente all’ispettore superiore Schembri Francesco, ossia da colui che non solo ha redatto il rapporto disciplinare dal quale è nato il procedimento in contestazione ma che soprattutto è un diretto superiore del ricorrente.

Questo motivo è infondato perché la normativa di riferimento non preclude che atti istruttori possano essere compiuti di fatto direttamente dal superiore che ha redatto il rapporto disciplinare. Inoltre gli atti istruttori hanno natura neutra, non decisoria; né risulta che essi siano stati redatti in modo fuorviante a causa della posizione di superiore gerarchico e di redattore del rapporto disciplinare del loro autore.

2.3 – Il mezzo successivo formula la seguente serie di censure:

a) i fatti sono accaduti in data 5 gennaio 2006 (recte: 5 gennaio 2007; n.d.r.), la contestazione degli addebiti e l’avvio del procedimento vi sono stati in data 22 febbraio 2007 sulla base di un rapporto redatto e contestato dal comandante di reparto in data 27 gennaio 2007, ossia con 12 giorni di ritardo;

b) l’inchiesta nel suo complesso, decurtando la proroga dei termini richiesti dal ricorrente, è durata oltre i 45 giorni prescritti dal provvedimento del 16 febbraio 2007, prot. n. 1896;

c) il rapporto disciplinare non menziona elementi utili ed obiettivi a configurare un’infrazione;

d) l’Amministrazione ha emesso il provvedimento punitivo oltre il termine, imposto dal D.P.R. n. 3/1957, di 180 giorni dall’avvenuta conoscenza dell’illecito;

e) è stato violato il termine di 90 giorni per la conclusione dell’inchiesta disciplinare, posto dall’articolo 110 del D.P.R. n. 3/1957;

f) è stato violato il termine di 90 giorni da un atto del procedimento di disciplinare e l’atto successivo.

Nessuna di queste censure è fondata.

La censura sub a) va respinta perché la tempistica in essa esposta non viola nessuna disposizione sul procedimento disciplinare; né i 12 giorni intercorsi tra i fatti disciplinarmente sanzionati (accaduti in data 5 gennaio 2007) e il rapporto del comandante di reparto (redatto e contestato in data 27 gennaio 2007) concretano un ritardo abnorme (e dunque illegittimo) della procedura.

La censura sub b) (secondo la quale l’inchiesta nel suo complesso, decurtando la proroga dei termini richiesti dal ricorrente, sarebbe durata oltre i 45 giorni "prescritti dal provvedimento del 16 febbraio 2007 (prot. n. 1896)" va – a prescindere da ogni altra considerazione – respinta perché il termine di 45 giorni (previsto dall’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 449/1992) deve decorrere non dall’avvio del procedimento ma dalle giustificazioni – o dalla eventuale richiesta di accertamenti – dell’inquisito.

Infatti ove – come ermeneuticamente corretto – si consideri l’invocato art. 15, comma 5, del decreto legislativo n. 449/1992 insieme al precedente e presupposto comma 4 (secondo cui il funzionario istruttore deve provvedere a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni, e deve svolgere "successivamente" tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari, o richiesti dall’inquisito), appare più corretto ritenere che il termine di 45 giorni per la conclusione dell’istruttoria dovrebbe decorrere non dall’avvio del procedimento ma dalle giustificazioni – o dalla eventuale richiesta di accertamenti – dell’inquisito (confr. la sentenza di questa Sezione 26 giugno 2009, n. 6151). E nel caso di specie questo termine risulta rispettato, giacché:

– il ricorrente ha formulato le proprie memorie difensive al funzionario istruttore con una nota dell’8 marzo 2007;

– la relazione del funzionario istruttore, conclusiva dell’inchiesta disciplinare, reca la data del 17 aprile 2007, l’inchiesta disciplinare risulta dunque conclusa in 40 giorni.

La censura sub c) va respinta perché l’addebito disciplinare risulta chiaramente esposto sia nella contestazione di addebiti del 19 febbraio 2007 (alla quale in questa sede appare sufficiente fare rinvio) sia nella successiva relazione del 17 aprile.

La censura sub d) (secondo cui l’Amministrazione avrebbe illegittimamente emesso il provvedimento punitivo oltre il termine, imposto dal D.P.R. n. 3/1957, di 180 giorni dall’avvenuta conoscenza dell’illecito) va respinta perché il D.P.R. n. 3/1957 non prevede un simile termine.

La censura sub e) (secondo cui sarebbe stato violato il termine di 90 giorni, per la conclusione dell’inchiesta disciplinare, posto dall’articolo 110 del D.P.R. n. 3/1957) va respinta perché la disposizione invocata non è applicabile ai procedimenti disciplinari del Corpo di polizia penitenziaria. A questi procedimenti, infatti, si applica la già citata disposizione di cui all’articolo 15, comma 5 del decreto legislativo n. 449/1992, e come si è visto risulta rispettata nel procedimento.

La censura sub f) (secondo cui sarebbe stato violato il termine di 90 giorni tra un atto del procedimento di disciplinare e l’atto successivo) risulta infondata in fatto: la scansione procedimentale che risulta dagli atti esclude una simile violazione. Appare sufficiente in proposito fare rinvio all’indice degli atti e dei documenti allegati dallo stesso ricorrente al proprio gravame.

2.4 – Anche le censure del quarto motivo di ricorso vanno respinte, così come di seguito specificato:

– la censura secondo cui il responsabile del servizio e il comandante di reparto erano stati posti a conoscenza dell’iniziativa del ricorrente e dei suoi colleghi, nulla esponendo in contrario, va respinta perché in proposito appare corretto quanto affermato nella citata relazione del funzionario istruttore del 17 aprile 2007: la conoscenza da parte dei superiori della iniziativa del ricorrente di recarsi presso l’ufficio di polizia giudiziaria per presentare l’atto di querela, ed altresì la casuale presenza del comandante di reparto nei locali di polizia giudiziaria al momento della presentazione della querela, non equivale certamente alla concessione di uno specifico permesso od autorizzazione per effettuare quanto sopra durante l’orario di servizio;

– la censura secondo cui il ricorrente ha ricevuto debita autorizzazione anche da parte del "preposto sentinelle", essendosi recato nei locali per il tempo strettamente necessario (circa 20 minuti) ed a seguito dell’espletamento del servizio di sentinella, va respinta perché, analogamente a quanto rilevato per la precedente censura, essersi recato nei locali della polizia giudiziaria per il tempo strettamente necessario ed a seguito dell’espletamento del servizio di sentinella non equivale a permesso od autorizzazione;

– la censura secondo cui non risultano ascoltati anche gli altri due querelanti, né risulta acquisita e valutata alcuna loro dichiarazione o scritto difensivo, va respinta perché l’accertamento dell’effettivo svolgersi dei fatti – incontestato per la parte che qui interessa – non risulta viziato da questa omissione;

– la censura secondo cui vi sarebbe stata violazione dell’obbligo di motivare ed esporre dettagliatamente le ragioni della mancata considerazione delle giustificazioni opposte dall’incolpato all’addebito disciplinare va respinta perché il decreto del provveditore regionale numero 43/2007, recante la contestata sanzione disciplinare ed al quale appare sufficiente fare rinvio, risulta adeguatamente motivato.

2.5 – Il mezzo successivo rileva che la condotta del ricorrente non è stata mai attuata con finalità dolose o intenzionali ma nell’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti (tutela dell’immagine, della reputazione, della libertà sindacale e del diritto di difesa), per cui andrebbe applicata la scriminante dell’esercizio del diritto.

Anche questo motivo è infondato, poiché resta comunque la violazione, da parte del ricorrente, dell’obbligo di prestare il proprio servizio nell’orario dovuto; tanto più che la medesima attività avrebbe potuto essere legittimamente espletata o al di fuori dell’orario di servizio o dopo aver richiesto e ottenuto l’autorizzazione dei superiori, o un permesso sindacale.

2.6 – Da ultimo il ricorrente lamenta "Eccesso di potere per l’istruttoria insufficiente. Violazione del principio della proporzionalità e irragionevolezza tra sanzione irrogata e infrazione commessa. Eccesso di potere per sviamento dai canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa".

Anche questo rilievo risulta infondato, poiché da parte dell’Amministrazione procedente non risultano palesi vizi logici né gravi carenze valutative nell’aver ritenuto che il comportamento del ricorrente (essersi assentato senza autorizzazione o permesso – al fine di presentare atto di querela, sia pure nell’interesse dell’organizzazione sindacale di appartenenza – da un servizio che era tenuto ad espletare) rientrasse nelle previsioni di cui all’articolo 3, lettera f) (grave negligenza in servizio) e lettera m) (inosservanza delle norme che regolano i diritti sindacali degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria) del decreto legislativo n. 449/1992.

3. – Il ricorso va dunque respinto.

Le spese, che il Collegio liquida in Euro 2000,00, seguono la soccombenza ai sensi dell’articolo 91 del codice di procedura civile.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese di giudizio dell’Amministrazione intimata, e le liquida in Euro 2000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
n. 43/59
Risultato precedente – Risultato successivo

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