Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-03-2011, n. 1670 televisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza gravata n. 8597 del 2005, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso n. 2664 del 1992 proposto dalla associazione odierna appellante avverso il decreto del Ministro delle Poste e delle telecomunicazioni in data 20 dicembre 1991, recante aumento del canone di abbonamento radiotelevisivo.

Il T.A.R., in particolare, disattese talune eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, lo ha ritenuto infondato nel merito, respingendo i numerosi motivi dedotti con il ricorso originario e con quello per motivi aggiunti.

Propone gravame la ricorrente, ritenendo l’erroneità della sentenza impugnata di cui chiede l’annullamento.

All’udienza del 18 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello va respinto.

Giova esaminare distintamente i quattro motivi di gravame proposti.

Con il primo, il Codacons deduce l’erroneità della sentenza appellata laddove ha disatteso la censura relativa all’assunta violazione dell’art. 22 del D.P.R. n. 367 del 1988, poiché l’Amministrazione avrebbe disposto l’aumento del canone RAI prima del termine di due anni dal precedente aumento.

Il Collegio condivide, al riguardo, quanto sostenuto dal primo giudice laddove ha rimarcato che il citato art. 22 del D.P.R. n. 367 del 1988 non esclude affatto la possibilità per l’Amministrazione di effettuare verifiche di congruità in anticipo rispetto alla cadenza biennale e di procedere, quindi, ad una revisione anticipata del canone.

D’altra parte, non appare al Collegio condivisibile l’assunto sostenuto dall’appellante secondo cui l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente esplicitato le ragioni sottese a tale revisione anticipata.

Invero, dalla premesse al decreto impugnato emergono le ragioni sottese alla contestata determinazione di attendere ad un aumento, individuate nell’esigenza di una sufficiente ed economica gestione dei servizi: tale affermazione non solo risulta del tutto coerente con quanto disposto dall’art. 22, D.P.R. n. 367 del 1988, ma è stata anche corroborata dalle risultanze del procedimento che ha preceduto l’adozione del decreto impugnato in primo grado, in specie dagli atti -primo tra tutti la relazione della segreteria del CIP in data 18 dicembre 1991- idonei ad attestare che l’incremento del canone si fosse reso necessario soprattutto in conseguenza dell’aumento del tasso di inflazione.

Sotto tale profilo, risulta che il contestato provvedimento si è anche basato su una motivazione articolata, suffragata da specifici dati istruttori.

Né, del resto, il procedimento seguito dall’Amministrazione nel ricalcolare il canone può ritenersi viziato per la mancata acquisizione delle proiezioni triennali dei costi e dei ricavi della RAI.

Infatti, come condivisibilmente rimarcato dal T.A.R., infatti, le stesse non costituiscono elemento indispensabile per la determinazione del canone.

Va parimenti disatteso il secondo motivo di gravame con cui il Codacons ripropone la censura relativa al dedotto mancato coinvolgimento del Comitato centrale prezzi nel procedimento conclusosi con la determinazione impugnata in primo grado.

Il Collegio condivide, sulla scorta degli atti di causa, quanto sostenuto nella sentenza gravata laddove si afferma che il Comitato centrale prezzi ha svolto, nella concreta determinazione dell’aumento del canone, un ruolo non certo di sola presa d’atto delle determinazioni di altri organi intervenuti nel procedimento, apportando, viceversa, un contributo di rilievo.

Parimenti, il Collegio concorda con il giudice di primo grado laddove ha rimarcato che, attesa la compiutezza dell’istruttoria svolta dalla Commissione mista PosteTesoro, avrebbe costituito un inutile aggravio procedimentale lo svolgimento di un’ulteriore attività istruttoria ad opera del Comitato centrale prezzi.

Va respinto, ancora, il terzo motivo di appello con cui il Codacons deduce l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui non ha ritenuto la illegittimità della composizione del Comitato centrale prezzi al momento in cui lo stesso ha deliberato sul canone RAI, sostenuta sul rilievo della mancata inclusione dello stesso Codacons tra i suoi componenti.

Giova considerare che, con distinto ricorso, il Codacons aveva impugnato gli atti con cui l’Amministrazione aveva respinto l’istanza volta ad ottenere la nomina di rappresentanti del Codacons medesimo in seno al Comitato centrale prezzi; con la sentenza del 12 giugno 1992, n. 782, successiva quindi alla seduta nella quale il Comitato centrale prezzi ha deliberato sul canone RAI, il T.A.R. per il Lazio, accogliendo quel ricorso, aveva annullato l’impugnato provvedimento di reiezione, disponendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto rivalutare la decisione di esclusione del Codacons, "verificando se sussistano in concreto in capo alla ricorrente i presupposti di legge, per aderire o meno all’istanza medesima".

Orbene, diversamente da quanto sostenuto nell’atto di gravame, la citata sentenza del T.A.R., lungi da determinare retroattivamente l’illegittimità della composizione del Comitato centrale prezzi laddove, nella seduta del 18 dicembre 1991, ha assunto la contestata determinazione relativa all’aumento del canone, ha solo imposto all’Amministrazione di attendere ad un riesame della questione relativa alla posizione da riconoscere al Codacons all’interno della Commissione, senza certo incidere sulla legittimità degli atti in precedenza adottati dalla Commissione medesima (e ciò anche se prima ancora della delibera in questione era stata accolta la domanda cautelare della associazione avverso l’atto negativo).

Va, infine, respinto l’ultimo motivo di appello, riguardante la partecipazione al comitato di esponenti non espressamente previsti dalla normativa di settore..

E’ sufficiente, al riguardo, osservare, d’accordo con quanto sostenuto dal T.A.R., che è mancata nel caso di specie la notifica al controinteressato, per tale dovendosi intendere la persona fisica che fa parte dell’organo la cui illegittima composizione è in contestazione.

Peraltro, la corrispondente censura di primo grado risulta anche infondata, poiché – per meglio valutare gli interessi in conflitto – l’amministrazione comunque può convocare soggetti che possano nella immediatezza fornire ogni utile elemento.

2. L’appello va conclusivamente respinto.

Segue la condanna del ricorrente alle spese processuali del secondo grado, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10177 del 2006, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 6.000, di cui 3.000 in favore della R. e 3.000 in favore del C.I.P.E.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *