Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-11-2010) 22-03-2011, n. 11456 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 16 dicembre 2008 il GUP del Tribunale di Ascoli Piceno, all’esito di procedimento articolatosi nelle forme del giudizio abbreviato, condannava C.E. ed H.F. alla pena di anni trenta di reclusione e C.A., alla pena di anni diciotto di reclusione, riconosciuto il vincolo della continuazione e con la riduzione per il rito adottato, perchè giudicati colpevoli, tutti, del sequestro di persona e dell’omicidio premeditato di K. P., nonchè della tentata distruzione e dell’occultamebto del suo cadavere, nonchè di porto illegale di arma comune da sparo, C.E. ed H.F., inoltre, di violenza privata ed induzione e favoreggiamento della prostituzione, C.E. infine, di simulazione di reato; condotte tutte commesse in (OMISSIS) quella relativa alla simulazione e quella relativa alla violazione delle norme sulla prostituzione, considerata come condotta permanente.

1.2 I fatti di causa venivano in tal guisa ricostruiti dai giudici di merito: nella serata del (OMISSIS) i cittadini albanesi B. E. e K.P. procedevano a bordo di una autovettura condotta da quest’ultimo quando venivano raggiunti da altra autovettura; arrestata la marcia del mezzo, il B. notava scendere dall’altra vettura i connazionali, a lui ben noti, H.P. e C.E. con una terza persona non conosciuta, ma più anziana degli altri e somigliante a C.E.. Quest’ultimo aveva puntato una pistola al fianco del K., mentre gli altri due impugnavano un coltello ed un cacciavite e lo avevano costretto a salire sul loro automezzo dicendogli: "ti abbiamo trovato" ed intimando nel contempo al B. di non parlare, pena la morte per lui ed i suoi familiari, minaccia rimasta senza esito, giacchè il predetto informò subito dell’accaduto sia la convivente che gli amici connazionali K. A. e R.K..

Il 25 gennaio successivo M.B. e N.F. si presentavano a CC. di Acquaviva Picena ove riferivano che presso un loro podere, poco prima, avevano rinvenuto un corpo parzialmente carbonizzato, poi identificato per quello di K.P., con rivoli di sangue rappreso raccoltosi in una pozza vicina. Le operazioni necroscopiche accertavano che il K., prima di essere ucciso con sei colpi di pistola cal. 6,35 mm. Browning sparati alla testa da vicino, era stato selvaggiamente picchiato e che i dati dell’esame erano compatibili con un’epoca della morte molto prossima alla scomparsa, avvenuta, come detto, il (OMISSIS).

C.E. veniva arrestato il 30 gennaio successivo, dopo aver denunciato il furto della sua autovettura Audi A3 ed essersi costituito ai CC. accompagnato dal suo difensore. Detta autovettura veniva ritrovata bruciata in Spagna, dove nel frattempo si era portato H.F., che qui veniva arrestato e consegnato alle autorità italiane in esecuzione di un mandato di arresto europeo.

Sulla base, infine, delle dichiarazioni del B., il quale aveva descritto il terzo uomo coinvolto nel sequestro della vittima come un probabile fratello di C.E., perchè a questi somigliante;

della convivente della vittima, che l’aveva indicato come possibile concorrente nel reato perchè riferitogli un sospetto in tal senso dal fratello di K.; di altre testimonianze indirette in tal senso (la cugina della vittima) e delle intercettazioni dell’utenza in uso a C.A., dalle quali emergeva la sua volontà di procurarsi a pagamento i documenti necessari per recarsi in (OMISSIS); della testimonianza di R.Z., detto (OMISSIS), sentito in Spagna, il quale riferiva dell’arrivo presso di lui di H.F. insieme a due ragazze ed a C.E., subito ripartito con la sua autovettura, e delle difficoltà con la giustizia di C.A. di cui gli aveva riferito il fratello E. nonchè della ricerca da parte di A. di documenti per poter raggiungere la Grecia, i CC. procedevano all’arresto di C.A. presso la stazione di (OMISSIS), mentre era in partenza per (OMISSIS).

Le fotografie di quest’ultimo venivano mostrate a B.E. e R.K.; il primo riconosceva in esse il terzo sequestratore del K. ed il secondo invece parlava di somiglianza con una persona che tre settimane prima, insieme a C.E. e H. F., aveva litigato presso un bar della zona con la vittima per danni automobilistici provocati da K., danni che questi non intendeva pagare.

S.A., infine e B.A. riferivano agli inquirenti di essere state contattate la notte del delitto da C. E. con il quale erano partite in tutta fretta per (OMISSIS), dove avevano raggiunto H.F.; la B. riferiva, altresì, di aver visto l’ H. anche prima della partenza per (OMISSIS) con E. e di aver notato che la maglia era sporca di sangue, mentre la S. riferiva dei rapporti con la vittima, la quale le aveva chiesto più volte di rinunciare alla prostituzione e che più volte l’aveva pagata senza pretendere prestazioni di sorta, circostanze delle quali aveva informato F..

1.2 Avverso la sentenza di prime cure proponevano appello tutti gli imputati e lo stesso rappresentante della P.A.. La corte territoriale dapprima escludeva la necessità di una perizia medico legale per accertare la data e l’orario del decesso del K. e di una perizia tecnica sull’ampiezza delle celle agganciate dalle utenze dei cellulari dei tre imputati, richieste avanzate dai difensori ma ritenute dalla Corte abbandonate con quella di giudizio abbreviato, oltre che ultronee in considerazione degli elementi probatori comunque acquisiti al processo, e poi rimarcava la piena attendibilità del teste B.E., confermando la certa individuazione di C.A. nel terzo uomo coautore del sequestro del K., sulla base della descrizione iniziale operata dal B., del successivo riconoscimento fotografico ad opera dello stesso, riconoscimento riscontrato dalla tuta, la stessa, indossata dall’imputato al momento del sequestro ed al momento dell’arresto, della ricognizione personale e del riconoscimento fotografico del R..

Il giudice di secondo grado accreditava pienamente, quindi, le conclusioni del consulente medico-legale sull’ora e sul luogo dell’omicidio, confermate, a giudizio dei giudicanti, dal rientro a casa di H.F. all’una circa della notte con gli abiti macchiati di sangue, subito affidati alla B. perchè li buttasse via. Richiamava ancora la Corte territoriale le accuse implicitamente mosse da C.A. a carico del fratello E. durante le conversazioni con Z.S. e B.A. a (OMISSIS) e la circostanza che tutti gli imputati, dopo l’ora verosimile del delitto, ora in cui, secondo i tabulati telefonici, si trovavano nella zona di (OMISSIS), si erano dati a fuga precipitosa, ancorchè non ancora ricercati dalla Polizia, senza poi fornire di tali comportamenti alcuna giustificazione.

La Corte, infine, argomentava sulla sussistenza della premeditazione, desunta dalla spasmodica ricerca provata in atti della vittima da parte degli imputati e dal movente dell’omicidio, dato dall’insistenza con cui la vittima stava tentando di sottrarre S. A., prostituta controllata da C.E., all’esercizio della prostituzione.

Sulla scorta delle esposte premesse ed accogliendo, in ordine alla determinazione della pena l’appello del P.M., la Corte di Assise di Appello di Ancona, in riforma della sentenza di prime cure, rideterminava la pena nei confronti di C.A. in anni 18, mesi cinque e giorni 10 di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata, con l’ordine di espulsione degli imputati a pena espiata, 2. Ricorrono per Cassazione avverso la pronuncia della Corte di Assise di Appello gli imputati, assistiti dai rispettivi difensori di fiducia.

C.A. articola tre motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia il ricorrente illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione a plurimi profili delle argomentazioni sviluppate dal giudice di secondo grado, osservando che:

– B. non conosceva il terzo soggetto che accompagnava C. E. e H.F., non ne ha mai fornito una descrizione somatica e quando venne interrogato, all’esito del ritrovamento del cadavere del K., identificò fotograficamente tale R. B.;

– solo il 3.2.2008 B. ha riconosciuto fotograficamente l’imputato, ma aggiungendo, nel contempo, che nel frattempo aveva parlato con i fratelli della vittima, i quali, dopo la sua descrizione, gli avevano fatto il nome di A., circostanze queste che renderebbero inattendibile e non tranquillizzante la identificazione;

– sul punto la sentenza di secondo grado omette di dare conto e di replicare alle censure proposte difensivamente con l’atto di appello;

– anche il preteso riconoscimento da parte del teste R. si appalesa del tutto incerto, posto che lo stesso ha riconosciuto di aver visto l’imputato una sola volta, che la fotografia mostratagli assomigliava all’imputato nella fronte e nel taglio degli occhi, che della persona di cui parla da connotati di altezza notevolmente differenti;

– anche su tale punto, lungamente trattato nei motivi di appello, nulla avrebbe detto di apprezzabile la sentenza di secondo grado;

– non risultano acquisite tracce telefoniche di C.A.;

– il mattino del (OMISSIS) i testi M. e N., recandosi presso il loro fondo, non notarono alcun cadavere semicarbonizzato, così come viceversa accadrà il (OMISSIS) successivo;

– su tale obbiezione fondamentale, fortemente valorizzata dai difensori in ogni sede, il giudice dell’appello nulla avrebbe detto, nonostante lo spostamento dell’ora del delitto travolgerebbe irrimediabilmente tutta la costruzione successiva ad esso accreditata dalla sentenza impugnata;

– neppure sulla chiamata delle ore 5,30 del (OMISSIS), partita dal cellulare della vittima verso quello della convivente, telefonata che aggancia la cella di (OMISSIS), nulla dice la sentenza.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente la violazione dell’art. 412 c.p. ed il difetto di motivazione al riguardo, sul rilievo che la condotta dell’occultamento contestata non risulta per nulla argomentata, nè agli atti risulterebbe che l’omicidio sia avvenuto in luogo diverso da quello in cui il corpo della vittima venne ritrovato.

2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, sul rilievo che la Corte di seconde cure si sarebbe limitata a confermare la gravità delle condotte contestate.

3. Nell’interesse di C.E. sono stati proposti sei motivi di impugnazione.

3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in ordine a tutti i reati contestati all’imputato, sul punto osservando che:

– l’accertamento dell’ora e del luogo della condotta omicidiaria ha importanza essenziale nella prospettazione accusatoria, dappoichè i principali elementi indiziari di accusa, se spostata in avanti e non di molto l’ora del delitto, diverrebbero tante prove di alibi per gli imputati;

– l’ora del delitto viene provata nel processo unicamente in forza della consulenza medico legale e delle conclusioni ivi riportate secondo cui le condizioni cadaveriche erano "comunque compatibili" con un ora prossima a quella della scomparsa;

– quest’unico dato processuale, palesemente incerto perchè espresso in termini di non certezza dallo stesso consulente, viene a scontrarsi con le testimonianze N. e M., gestori del fondo ove il cadavere venne ritrovato, i quali il (OMISSIS), recatisi sul fondo e qui rimasti per un paio di ore, nulla notarono, mentre il (OMISSIS) successivo, tornati sul posto per le medesime incombenze e per le stesse operazioni di campagna, trovarono il cadavere;

– le testimonianze dette sono state totalmente ignorate dai giudici del merito;

quelle testimonianze provano invece, con la telefonata rilevata alle ore 5.30 del 20.1.2008 partita dal cellulare della vittima verso quello della convivente, che l’ora del delitto deve essere spostata in avanti e che, pertanto, la fuga nella notte ed ogni altro elemento intervenuto in quel contesto temporale valorizzato dalla Corte territoriale, assume segno probatorio non d’accusa ma favorevole alla difesa;

– le esposte circostanze giustificavano indagini peritali chieste e non disposte.

3.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente ancora difetto di motivazione in relazione al reato di cui al capo h) della rubrica, contestato come induzione o favoreggiamento della prostituzione di S.A..

Osserva sul punto parte istante che:

– mentre la contestazione individuava le condotte date dall’induzione o dal favoreggiamento, la motivazione indica, ancorchè apoditticamente, la condotta dello sfruttamento;

– il reato è escluso dalle stesse dichiarazioni della S., la quale, nelle dichiarazioni verbalizzate in data 15.2.2008, rappresenta una situazione nella quale ella autonomamente e per scelta personale, sì diede alla prostituzione, dal cui esercizio traeva un proprio reddito con nessuno condiviso.

3.3 Col terzo motivo di ricorso la difesa impugnante contesta la condanna per il reato di cui all’art. 412 c.p., illustrando le medesime argomentazioni già innanzi sintetizzate a margine del secondo motivo proposto nell’interesse di C.A..

3.4 Col quarto motivo di ricorso contesta la difesa ricorrente la ipotizzabilità, nel caso in esame, dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge, richiamando le ragioni innanzi svolte in ordine all’insussistenza di una ipotesi di sfruttamento della prostituzione di S.A., con ciò rafforzando, altresì, la conclusione circa la infondatezza del movente, individuato in sentenza proprio nell’intento di preservare il controllo sulla prostituta insidiata dalla vittima.

3.5 Col quinto motivo di ricorso lamenta la difesa istante, sia per difetto di motivazione che per violazione di legge, la riconoscibilità nella fattispecie dei requisiti della premeditazione, sul punto deducendo, in particolare:

– l’apoditticità della tesi accusatoria, secondo cui dal diverbio registrato il 12.1.2008 presso un bar per pretese risarcitorie dell’ H., danneggiato da un incidente automobilistico, avrebbe preso corpo un proponimento punitivo e la sproporzione tra questo episodio, il movente indicato in sentenza e l’omicidio;

– l’assenza di una adeguata preparazione dell’omicidio e di una programmazione dei momenti successivi, viceversa affidati nella stessa ricostruzione dei giudicanti a comportamenti concitati e certamente non meditati nè programmati in precedenza.

3.6 Col sesto ed ultimo motivo di ricorso si doleva la difesa ricorrente, sotto il profilo del difetto di motivazione, del diniego delle attenuanti generiche, motivato in termini assai deludenti con la sola gravità della condotta.

4. Nell’interesse, infine, di H.F. sono stati presentati due motivi di impugnazione.

4.1 Col primo di essi denuncia in particolare la difesa ricorrente difetto di motivazione della sentenza impugnata, perchè fondata essenzialmente sulle dichiarazioni testimoniali di B.E. e sulla omessa considerazione delle robuste argomentazioni difensive in ordine all’ora ed al luogo del delitto, alla incertezza delle conclusioni peritali, alle testimonianze M. e N., già ampiamente innanzi illustrate anche nei precedenti ricorsi, argomentazioni tutte completamente ignorate dalla Corte di merito.

Del pari ignorate sono state le due consulenze presentate dall’imputato in ordine ai tabulati telefonici a riprova che la sua utenza, il 20.1.2008, ha effettuato e ricevuto numerose telefonate mai compatibili con celle dalle quali dedurre la sua presenza nella zona del ritrovamento del cadavere.

4.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia inoltre la difesa ricorrente difetto di motivazione a sostegno dell’aggravante della premeditazione e di quella di ci all’art. 61 c.p., n. 1, al riguardo rilevando che:

– la sentenza confonde la premeditazione del sequestro con la premeditazione dell’omicidio, posto che la semplice successione temporale, non postula affatto la contestuale ideazione;

– lo stesso B.E. temporeggiò nella presentazione della denuncia, proprio perchè dal sequestro non inferì affatto intenzioni omicide dei sequestratori;

– la fuga precipitosa confligge con la programmazione propria della premeditazione;

– al B. non fu mai detto di tacere perchè avrebbero ucciso "anche" lui, di guisa che dalla minaccia al B. non può trarsi alcun elemento probatorio in ordine alla contestata premeditazione;

– la stessa sentenza accredita, accanto al movente della prostituzione, quello della pretesa risarcitoria per un precedente danno subito da uno dei coimputati, di guisa che il movente è quanto meno incerto e comunque, se sussistente l’altra ipotesi, non ascrivibile alla fattispecie astratta di cui all’art. 61 c.p., n. 1. 5. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre. 5.1 I primi motivi di impugnazione dei tre ricorrenti si articolano in due parti, la prima delle quali, inammissibile in questa sede di legittimità, riguarda per intero valutazioni in fatto volte ad una ricostruzione degli accadimenti alternativa a quella screditata dai giudici di merito.

Di merito è infatti la valutazione sulla attendibilità del B., il quale peraltro ha riferito di cose apprese direttamente e vissute insieme alla vittima, di merito è la valutazione della testimonianza di R., di merito è, ancora, l’argomentazione relativa al riconoscimento fotografico del B., il quale, giova rammentarlo, fin dal primo momento sospettò che il terzo componente del gruppo sequestratore fosse il fratello di E., perchè a questi somigliante, di guisa che la motivazione sul punto è coerente e logica, a nulla rilevando che la sentenza impugnata non abbia dato conto dell’errato riconoscimento eseguito dal teste nell’immediatezza dei fatti rispetto a quello successivo, il quale, non per questo, perde consistenza probatoria, soprattutto se, come nella fattispecie, corroborata dall’altro riconoscimento (quello del R.) e da altre circostanze, quali la fuga nella notte, l’arresto con lo stesso abbigliamento riconosciuto dal B. al momento del sequestro, le testimonianze di Z.S. e B.A., coniugi residenti a (OMISSIS), che la sera del (OMISSIS) vennero chiamati dal cugino dell’imputato con la richiesta di recarsi a (OMISSIS) a prelevare A., richiesta esaudita, e per la quale i predetti coniugi chiesero ed ebbero informazioni dai familiari secondo le quali: E. aveva ucciso un ragazzo di L., i familiari della vittima stavano minacciando rappresaglie ed E. era in qualche modo coinvolto nella vicenda. Sono infine indubbi, ampiamente provati con intercettazioni e testimonianze, ed indiziariamente significativi, i frenetici sforzi dell’imputato per procurarsi, pagandoli profumatamente, documenti per la Grecia e la sua preoccupazione, giustamente valorizzata dal giudice "a quo", riferita sempre ai suoi soccorritori coniugi Z.B., per il fratello E. "che aveva rovinato tutti". 5.2 La seconda parte del motivi in esame è, viceversa, ad avviso della Corte, fondata. Le doglianze, come già innanzi chiarito ma giova ribadirlo, riguardano il ritardo nel ritrovamento del corpo carbonizzato e l’accesso di due testi al loro podere il 21 gennaio senza che lo stesso venisse notato, così come viceversa accadde il 15 successivo. Sul punto, cardine delle censure di appello diffusamente trattato da tutte le difese degli imputati, la Corte distrettuale non ha sviluppato alcuna argomentazione, del tutto ignorando la questione ed omettendo una qualsivoglia replica motivazionale alle doglianze ed alle osservazioni degli appellanti, nonostante l’indubbio rilievo delle dedotte circostanze in fatto e le connessioni logiche da esse desumibili, puntualmente rilevate dagli attenti difensori. Non ignora certo la Corte che, secondo proprio costante insegnamento, "in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata, di guisa che, pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa, sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, "sì da consentire l’individuazione dell’iter logico- giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione" (Cass.,, Sez. 2, 19/05/2004, n.29434), ma l’esposto arresto giurisprudenziale non appare aderire all’ipotesi in esame.

Innanzi tutto l’esposto principio di diritto fa riferimento alle argomentazioni difensive complessivamente intese nell’ambito del singolo motivo di censura e non già ai motivi specifici di gravame, che vanno invece sempre considerati e delibati dal giudice dell’impugnazione, di guisa che non può essere ignorato un motivo di gravame solo perchè implicitamente escluso, il suo contenuto di doglianza, dall’ipotesi fatta propria motivatamente dai giudicanti.

Se esclusione logica in concreto c’è, il dovere di motivazione impone al giudicante di illustrare, ancorchè brevemente, l’incompatibilità tra le ragioni poste a fondamento della tesi accolta e quelle difensive rigettate, ovvero perchè il giudicante privilegi una ipotesi rispetto all’altra.

Nel caso di specie peraltro l’omissione si appalesa più grave e comunque decisiva. Con specifico motivo di impugnazione le difese appellanti richiamavano l’incertezza delle conclusioni del consulente medico-legale sull’ora della morte della vittima dell’omicidio e, nel contempo, fatto di estrema rilevanza probatoria, la circostanza che i due testi N. e M., il mattino del 21 gennaio, non scoprirono il cadavere che il (OMISSIS) successivo, nelle stesse ovvero in analoghe condizioni di tempo e di luogo, notarono immediatamente.

L’argomento speso dalla difesa ha una indubbia coerenza logico- giuridica e ad esso la sentenza di secondo grado non ha dedicato alcuna attenzione, avendolo semplicemente ignorato, con ciò consumando una palese e grave violazione dell’obbligo di motivazione, a cagione della quale ritiene la Corte di cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di merito affinchè, in diversa composizione, senza alcun vincolo ed in piena libertà di determinazione, rivaluti la vicenda, inserendo noi processo logico della decisione il dato di fatto pretermesso dalla motivazione cassata, puntualmente considerando le argomentazioni difensive.

5.3 Infondato è, infine, il secondo motivo di impugnazione proposto nell’interesse di C.C., relativo alla condanna per il reato di cui al capo h) a mente della L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 5 ed 8.

Contrariamente a quanto difensivamente sostenuto infatti, il giudice dell’appello ha largamente trattato l’argomento, peraltro richiamando più di una ragione già illustrata dal giudice di prime cure.

Ed invero la responsabilità del ricorrente in relazione alle condotte contestate, come opportunamente sottolineato dalla motivazione impugnata, rinviene dalle concordi dichiarazioni dei testi B., H., T. e Sh., oltre che dalle affermazioni della stessa S.A., la quale ha apertamente discettato della sua attività di prostituzione delineando un quadro dai quali gli inquirenti hanno poi dedotto ed evidenziato che il movente del duro risentimento del ricorrente nei confronti della vittima originava proprio dall’interferenza di quest’ultimo sull’attività della donna, interferenza volta ad interrompere nell’interesse della S. ed in contrasto con quelli del C. il triste mercimonio.

Nè a tali passaggi motivazionali può negarsi coerenza logica.

Non ha poi pregio il rilievo difensivo, di puro valore lessicale, circa il contrasto tra l’imputazione, con la quale si accusa l’imputato di induzione e favoreggiamento della prostituzione, e la motivazione, ove invece i giudicanti utilizzano il termine "sfruttamento", la dove palesemente, nel complesso descrittivo dei fatti, emerge con chiarezza che col termine sfruttamento si intendeva riferirsi alle condotte di cui alla contestazione.

5.4 Ogni altra doglianza rimane logicamente assorbita dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, analogamente proposto da tutti gli imputati.

6. Conclusivamente la sentenza va annullata, nei limiti precisati col seguente dispositivo, con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Catania per nuovo giudizio.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di omicidio e di tentata distruzione ed occultamento di cadavere e rinvia per nuovo giudizio al riguardo alla Corte di Assise di Appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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