Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-11-2010) 22-03-2011, n. 11455

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 3 giugno 1998 verso le ore 16 tre persone travisate con calzamaglia e cappellino, e armate una di taglierino e le altre due di pistola, entravano in tempi successivi nella filiale del Banco Ambrosiano Veneto di (OMISSIS), ingiungevano al cassiere di impostare l’apertura della cassaforte temporizzata, minacciavano di fare "finimondo", intimavano ai clienti di non uscire e sottraevano dalla cassa L. 21.740.000.

Intervenivano sul luogo della rapina, a seguito di telefonata giunta dalla stessa agenzia, il carabiniere C.C. e il maresciallo S.L. in divisa e il maresciallo Ca.Pa. in borghese, perchè libero dal servizio, e, mentre C. e Ca. si fermavano ai due lati dell’entrata, il maresciallo S., che era entrato in banca, era colpito mentre stava uscendo, dopo aver visto all’interno una persona travisata con pistola, sopra l’anca sinistra con un proiettile trapassante, sparato a breve distanza da uno dei due rapinatori armati di pistola, piegatosi sul ginocchio.

Altri colpi venivano sparati all’esterno contro Ca., con pistola mitragliatrice, dal passeggero dell’auto Lancia K che era nella strada adiacente, a circa 10-15 metri di distanza.

Lo stesso rapinatore, che aveva sparato contro il maresciallo S., uscito dall’agenzia sparava con la pistola in direzione di C., che lo aveva colpito a una gamba, e si toglieva la calzamaglia che indossava, mentre altri colpi erano sparati dal passeggero dell’auto Lancia K, che, intanto, si era diretta verso l’ingresso del parcheggio antistante la banca per essere utilizzata dai rapinatori, usciti dalla banca, per darsi alla fuga ad altissima velocità.

Mentre C. non riportava lesioni, il maresciallo S. riportava una ferita d’arma da fuoco trapassante al gluteo sinistro, con infrazione dell’apice della cresta iliaca sinistra, e il maresciallo C. riportava contusioni multiple.

2. In prossimità del luogo, in cui il rapinatore ferito da C. era entrato nell’auto Lancia K, venivano rinvenuti una pistola Para Ordinance con l’otturatore aperto e con il serbatoio inserito e tracce di sangue, mentre nel punto in cui il rapinatore era caduto, distante circa venti metri, venivano trovati la calzamaglia e il cappellino.

Dal verbale dei rilievi tecnici emergeva che la rapina, avvenuta all’interno dell’agenzia bancaria, aveva interessato anche l’area antistante la stessa e l’ufficio delle Poste, e in detta area venivano rinvenuti numerosi bossoli, ogive e porzioni di proiettili, che documentavano, anche a mezzo planimetrie, l’intensa sparatoria, iniziata all’interno della banca ed estesasi all’esterno e il numero delle armi utilizzate.

I successivi accertamenti balistici, condotti attraverso il microscopio comparatore, consentivano, infatti, di accertare che dodici bossoli e sei proiettili calibro 45 erano stati esplosi dalla pistola semiautomatica Para Ordinance trovata sul posto, ventuno bossoli calibro 9 parabellum marca Fiocchi da tre armi diverse a funzionamento semiautomatico in dotazione alle Forze dell’Ordine, ventinove bossoli calibro 9×19 da una pistola mitragliatrice, quattro bossoli calibro 9×21 da un’unica arma a funzionamento semiautomatico e il bossolo calibro 9 Parabellum marca GFL da altra arma a funzionamento semiautomatico.

L’auto Lancia K, utilizzata dai rapinatori e risultata oggetto di furto come le targhe sulla stessa montate e appartenenti ad altra auto, veniva trovata bruciata lo stesso giorno in altro luogo, mentre all’interno di un’auto Fiat Uno, parcheggiata avanti la banca e oggetto di furto commesso lo stesso giorno, veniva trovato un giubbotto con macchie di sangue, repertate e sottoposte a rilievi e analisi, che non consentivano di risalire al possessore.

3. Nel corso dei rilievi tecnici venivano prelevate alcune formazioni pilifere all’interno del berretto blu con la calzamaglia, appartenente al rapinatore ferito e trovato all’esterno della banca, e il materiale ematico allo stesso relativo.

I reperti di materiale biologico prelevati venivano trasmessi al R.I.S. di Parma come reperti 5 e 6 e subito sottoposti ad accertamenti tecnici, che consentivano di individuare due profili genotipici appartenenti a persona di sesso maschile e un terzo profilo genotipico parziale, senza permettere l’identificazione dei responsabili.

4. A seguito di due archiviazioni disposte il 22 marzo 2000 e, dopo la disposta riapertura delle indagini, il 27 marzo 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano per l’estraneità ai fatti dei soggetti indagati, in data 24 giugno 2005 veniva arrestato per fatti analoghi, commessi in (OMISSIS) in pari data, N.S., rimasto ferito nel conflitto a fuoco.

Gli accertamenti condotti dal R.I.S. di Parma, in relazione alle tracce biologiche sicuramente riferibili a N., e repertate, e alla comparazione dei profili genotipici da esse ricavati con quelli relativi ad altre indagini tecniche svolte dallo stesso Reparto, evidenziavano la riferibilità al predetto anche delle tracce biologiche rilevate e repertate (reperti n. 5 e 6) in occasione dei fatti avvenuti il (OMISSIS), e per cui è processo.

All’esito delle indagini, N.S., cui era stata applicata il 2 gennaio 2007 la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di rapina aggravata, porto abusivo d’arma, tentato omicidio e ricettazione di auto, confermata dal Tribunale del riesame di Milano in data 30 gennaio 2007 e da questa Corte con sentenza del 23 maggio 2007, veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale di Milano con decreto dell’8 novembre 2007 per rispondere, in concorso con quattro complici rimasti ignoti, del delitto di rapina aggravata in danno del Banco Ambrosiano Veneto – agenzia di Settimo Milanese, dei reati di porto e detenzione aggravati di una pistola semiautomatica Para Ordinance P14/45, di una pistola Smith&Wesson cal. 40 e di due pistole semiautomatiche calibro 9×21, del delitto di tentato omicidio aggravato in danno dei marescialli S.L., Ca.Pa. e C.C. e del reato di ricettazione plurima e aggravata di due autovetture e di una targa automobilistica.

5. Con sentenza del 13 novembre 2008, depositata il 22 dicembre 2008, il Tribunale di Milano dichiarava N.S. colpevole dei delitti ascritti, limitando la dichiarazione di responsabilità – quanto ai reati in materia di armi – al delitto di porto e detenzione aggravati di due pistole semiautomatiche calibro 9×21, e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni sedici di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante l’esecuzione della pena; ordinava la confisca delle armi e munizioni e di quant’altro in sequestro; assolveva l’imputato, quanto ai reati in materia di armi, dal reato contestato con riferimento all’ipotesi di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23 in relazione alla pistola semiautomatica Para Ordinance P14/45 e con riferimento all’ipotesi di porto e detenzione della pistola Smith&Wesson cal. 40, nulla dicendo in dispositivo con riferimento alla pistola mitragliatrice espressamente qualificata in motivazione quale arma da guerra.

Il Tribunale giungeva a tali conclusioni all’esito di un’articolata attività istruttoria, fondata su acquisizioni documentali, assunzioni testimoniali e accertamenti peritali biologici e genetico- forensi.

5.1. Parte centrale dell’attività istruttoria erano stati gli accertamenti peritali, disposti con ordinanza del 19 febbraio 2008 e volti alla comparazione tra le tracce ematiche lasciate dal rapinatore ferito nel corso della sparatoria del 3 giugno 1998 e campioni di materiale biologico significativo riferibili all’imputato, idonei per estrarre elementi genotipici utili alla comparazione.

L’incarico peritale, conferito al Dott. P.A., era stato ulteriormente precisato all’udienza del 18 marzo 2008, a seguito del rilievo del mancato consenso dell’imputato al prelievo ematico e salivare, con l’indicazione della comparazione da farsi tra il profilo genetico desunto dai reperti biologici sequestrati il 3 giugno 1998 (macchie di sangue), ove disponibili, o dal DNA da essi estratto o dai profili elettroferografici relativi disponibili presso il R.I.S. di Parma, con il profilo genetico relativo all’imputato N. desunto dall’indumento intimo sequestrato o da oggetti allo stesso riconducibili.

Il profilo genetico dell’imputato, risultato affidabile, ben caratterizzabile e ripetibile per tutti i marcatori esaminati, era stato estratto da parte del perito da una macchia di sangue rilevata su un asciugamano blu di pertinenza di N., sequestrato nell’istituto penitenziario ove lo stesso era ristretto.

In mancanza dei reperti biologici sequestrati il 3 giugno 1998, non più in possesso del R.I.S. di Parma, e degli estratti del DNA, utilizzati dal R.I.S. per le analisi, il perito aveva confrontato il profilo genetico sicuramente attribuibile al N., ricavato dalla macchia di sangue presente nell’asciugamano, con i dati ricavabili dalla documentazione trasmessa dal R.I.S., e in particolare con i dati contenuti in tabella, contrassegnata come "risultati delle analisi" e relativa ai risultati ottenuti con quindici marcatori su specificati campioni (reperti 4, 8, 2b, 5, 6, 2c, P.R.) e con gli elettroferogrammi indicati come relativi a " P.R. 812/98", "reperto 5 (sangue pistola) e reperto 6 (sangue pistola) 812/98", "reperto 2b (telogen berretto), reperto 4 (sangue giubbotto), reperto 8 (telogen berretto), reperto 2c (cappello telogen nella calza di nylon) 812/98". 5.2. A conclusione di tale confronto, il perito aveva rilevato che il profilo genetico ricavato dai reperti 5 e 6 (macchie di sangue trovate accanto alla pistola) "appariva perfettamente sovrapponile al profilo genetico ricavato dalla traccia di sangue presente sull’asciugamano sequestrato al N.".

Il calcolo biostatico, effettuato dal perito prendendo a base la popolazione italiana per valutare se la corrispondenza potesse essere casuale o determinata dal riferimento dei due campioni al medesimo soggetto, aveva dato un risultato superiore a 1 su 33 miliardi e il valore era stato ritenuto dal perito di elevatissima significatività. 5.3. Si era dato atto nel corso del giudizio che la tabella trasmessa dal R.I.S., contrassegnata come "risultati delle analisi", e relativa ai risultati ottenuti con quindici marcatori sui campioni (reperti 4, 8, 2b, 5, 6, 2c, P.R.), era la copia fedele della relazione n. 812/6 I.T. in data 14 luglio 1998, avente ad oggetto "accertamenti in relazione alla rapina commessa ai danni del Banco Ambrosiano Veneto ag. (OMISSIS)", che era stata esibita dal Pubblico Ministero.

Di detta relazione il Tribunale aveva disposto l’acquisizione quale atto irripetibile ai sensi dell’art. 431 c.p.p., lett. e), in quanto effettuata il 14 luglio 1998 nel corso di accertamenti tecnici nei confronti di ignoti, relativi alla rapina commessa il 3 giugno 1998, e quindi di accertamenti irripetibili all’epoca svolti del R.I.S. di Parma, e non oggetto della sanzione di inutilizzabilità stabilita da questa Corte con riferimento agli accertamenti eseguiti nel 2005 in violazione dell’art. 360 c.p.p., comma 5. 5.4. A seguito di precisazioni tecniche offerte dal perito durante il suo esame, svolto anche in contraddicono con il consulente della difesa, il Tribunale, con ordinanza del 5 giugno 2008, aveva disposto un supplemento di perizia volto a verificare, previa approfondita analisi dei profili genetici (elettroferogrammi) relativi alla relazione del R.I.S. n. 812/6 I.T. protocollo del 4.6.98, datata 14 luglio 1998, e acquisita, con particolare riferimento all’etichettatura dei ladders allelici e profili dei reperti 5 e 6, anche utilizzando dati informatici in possesso del R.I.S., se vi fosse o meno corrispondenza con l’assetto genetico ricavato dall’esame della traccia ematica presente sull’asciugamano sequestrato a N..

Con la relazione integrativa depositata l’11 luglio 2008, il perito aveva dato conto degli accertamenti integrativi svolti e dell’avvenuta acquisizione presso il R.I.S. della tabella di riferimento con le etichettature dei ladders allelici usati all’epoca, e aveva confermato il risultato di piena compatibilità tra il profilo genetico sicuramente attribuibile a N. e i marcatori impiegati nell’esame delle tracce 5 e 6, presenti nell’elettroferogramma inviato dal R.I.S., e l’elevata significatività statistica della compatibilità anche per tale via.

6. Gli esiti delle indagini tecniche erano ritenuti condivisibili da parte del Tribunale, che riteneva utilizzabile la tabella elaborata dal R.I.S. nel 1998 con riferimento alle tracce ematiche rinvenute vicino alla pistola (reperti 5 e 6), e contenente la completa etichettatura del profilo genetico estratto dai reperti attraverso quindici marcatori, per il raffronto con il profilo genetico dell’imputato, estratto dal perito da una macchia di sangue rilevata sull’asciugamano blu, sequestrato nella cella dell’imputato a (OMISSIS).

Erano, ad avviso del Tribunale, le indagini tecniche, la significatività statistica elevatissima dell’elettroferogramma ottenuto dai reperti e il rifiuto ingiustificato dell’imputato a sottoporsi ai prelievi necessari per gli esami comparativi del DNA, utilizzato come elemento di prova integrativo, che consentivano la certa identificazione dell’imputato.

L’istruzione compiuta aveva anche permesso di accertare il ruolo svolto dall’imputato nel corso della rapina, identificandosi lo stesso con il secondo rapinatore, armato della pistola Para Ordinance, che aveva sparato al maresciallo S. da distanza ravvicinata piegato sul ginocchio per mirare il bersaglio, era uscito dalla banca continuando a sparare per garantirsi la fuga, era stato ferito dal maresciallo C., aveva continuato a correre dopo essersi tolto il berretto con la calzamaglia, aveva lasciato a terra la pistola con il caricatore vuoto, e, in prossimità del luogo in cui vi erano le macchie di sangue repertate, era stato caricato dai complici a bordo dell’auto Lancia K, poi data alle fiamme, ed era riuscito a fuggire con i complici.

Era risultato provato l’uso delle armi da parte dell’imputato e dei complici.

Era anche provato, quanto al tentato omicidio aggravato, alla luce della ricostruzione della sparatoria, che il Tribunale rilevava essere stata "di dimensioni decisamente impressionanti", che l’imputato e i complici erano determinati ad affrontare con la rapina anche un confitto a fuoco per riuscire a fuggire con il denaro sottratto, utilizzando armi di particolare capacità offensiva, con determinazione e con condotta cosciente e volontaria.

Era risultata provata la ricettazione dell’auto Lancia K originariamente targata (OMISSIS) e della targa (OMISSIS), nonchè dell’auto FIAT UNO targ. (OMISSIS), trovata nel parcheggio antistante la banca oggetto della rapina.

Quanto al trattamento sanzionatorio, la condizione di marginalità sociale dell’imputato e il suo corretto comportamento processuale giustificavano, secondo il Tribunale, la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla contestata recidiva.

7. La Corte d’appello di Milano, sezione quarta penale, con sentenza del 3 febbraio 2010, depositata il 9 marzo 2010, confermava integralmente la decisione di primo grado, rigettando le doglianze di cui all’atto di appello dell’imputato, che aveva chiesto:

– la declaratoria di inutilizzabilità della perizia con conseguente richiesta di assoluzione da tutte le imputazioni ascrittegli;

– l’assoluzione, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, con riferimento al delitto di tentato omicidio aggravato;

– la derubricazione del reato di tentato omicidio nel reato di lesioni con declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione o in quello di lesioni dolose;

– il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, con riduzione dell’aumento per la continuazione e per la recidiva nei minimi;

– la riduzione della pena inflitta per i reati nei minimi edittali.

8. La Corte, in particolare, rilevava che i dati utilizzati dal perito erano contenuti nella indagine tecnica n. 812/98, eseguita nel luglio 1998 su incarico della Procura di Milano, e la cui utilizzabilità non aveva formato oggetto della decisione di questa Corte del 23 maggio 2007, che si era invece pronunciata in merito alla diversa questione della utilizzabilità in questo giudizio delle indagini tecniche eseguite nel 2005 dal R.I.S. di Parma, su incarico della Procura di Pavia, e l’aveva riconosciuta con limitato riferimento alla fase delle indagini preliminari.

Il perito, che il Tribunale aveva nominato dopo quella decisione, aveva acquisito ex novo il DNA di N., tratto da una traccia ematica sull’asciugamano allo stesso sequestrato, e l’aveva comparato ai profili genetici tratti dalle indagini tecniche svolte nel 1998 sulle tracce ematiche repertate dopo la rapina per cui è processo.

Secondo la Corte di merito neppure poteva profilarsi alcuna questione con riguardo alla irripetibilità della relazione R.I.S. di Parma del 14 luglio 1998 ai sensi dell’art. 431 c.p.p., lett. C, in quanto frutto di accertamenti tecnici effettuati nei confronti di ignoti nella indagine preliminare eseguita nel 1998 quando l’imputato non era indagato.

Legittima era, secondo la Corte, l’utilizzazione in dibattimento, anche nell’ambito della perizia disposta dal Tribunale, dei dati ricavati dalla relazione tecnica del 1998, in luogo dei reperti rilevati sul luogo della rapina, considerata la sopravvenuta irripetibilità dell’accertamento per l’imprevedibile smarrimento dei reperti.

Nè, secondo la Corte, era fondata la contestazione difensiva in merito alle modalità di acquisizione delle tracce ematiche da cui era stato ricavato il DNA dell’imputato, attesa l’assenza da parte dello stesso, che aveva assistito al sequestro, di qualsiasi riserva in ordine alla riferibilità a lui stesso degli oggetti sequestrati, e avuto riguardo alle stesse modalità del sequestro.

Le iniziali riserve espresse dal perito in merito agli accertamenti tecnici in corso, riportate e censurate in appello, non rappresentavano, secondo la Corte, le conclusioni peritali, che, alla luce delle successive precisazioni e acquisizioni documentali, avevano raggiunto un livello di completezza idoneo a superare perplessità ed incertezze, incompletezze di dati e carenze ricostruttive, con argomenti scientificamente ineccepibili fatti propri dal Tribunale in maniera corretta e motivata.

Nè, secondo la Corte, erano fondate le ulteriori doglianze alla luce della istruttoria dibattimentale svolta, della precisa ricostruzione e analisi dei fatti e degli elementi di prova, della completezza e logicità della motivazione.

Anche in ordine alla dosimetria della pena, la valutazione fatta dal Tribunale era da considerare adeguata alla obiettiva gravità del fatto e non eccessiva alla luce dei criteri indicati nell’art. 133 c.p.. Le risultanze processuali non consentivano, anche tenuto conto della evasione dell’imputato nel corso del dibattimento di primo grado, di individuare alcuna ragione che giustificasse il chiesto giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.

9. Avverso la predetta sentenza di secondo grado l’imputato ha proposto due ricorsi per cassazione, uno per mezzo dell’avv. Vincenzo Minasi, depositato il 26 aprile 2010, e l’altro per mezzo dell’avv. Patrizio Spinelli, depositato il 19 maggio 2010, chiedendone l’annullamento.

9.1. Con il primo ricorso l’imputato lamenta, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento agli artt. 192, 360, 359 bis e 224 bis c.p.p., deducendo che all’affermazione della sua responsabilità penale i Giudici di merito sono pervenuti sulla base di un riconoscimento ematologico, fondato su una presunta identità tra il suo DIMA e quello repertato sui luoghi, reso possibile dalla conoscenza della precedente perizia svolta dai carabinieri del R.I.S. di Parma.

Secondo l’appellante, avuto riguardo al principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza del 23 maggio 2007, intervenendo in sede cautelare nei confronti dell’odierno ricorrente, con richiamo all’art. 360 c.p.p., commi 4 e 5, l’accertamento tecnico disposto dal Pubblico Ministero non può essere esperito se prima del suo espletamento la parte fa richiesta di incidente probatorio. Per l’effetto, se l’accertamento viene svolto, lo stesso, se utile per le indagini, non può essere utilizzato nel dibattimento, e, nel caso di specie, il perito di ufficio, nominato dal Tribunale, non avrebbe dovuto utilizzarlo nella sua consulenza, nè il Giudice nella sua sentenza.

L’inosservanza di adeguate garanzie e la violazione della previsione normativa degli artt. 224 bis e 359 bis c.p.p. hanno, poi, reso inutilizzabile il prelievo del materiale presumibilmente appartenente a N. e ogni altro atto consequenziale.

9.2. Con il secondo ricorso, a ministero dell’avv. Spinelli, il ricorrente articola due motivi di censura.

9.2.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione o erronea applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 360, 431 e 512 c.p.p., e manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione sul punto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente, in particolare, rileva, dopo aver ripercorso la vicenda e i fatti del procedimento, che l’acquisizione della relazione R.I.S. dell’anno 1998 al fascicolo del dibattimento è stata disposta, in assenza dei presupposti indicati dall’art. 431 c.p.p. e dall’art. 360 c.p.p., sulla base di un presupposto inesistente e travisato, perchè smentito dalla stessa ricostruzione dei fatti proposta dalla sentenza impugnata: l’assunzione di atti nel corso di un procedimento iscritto contro ignoti, mentre il procedimento era stato iscritto contro soggetti noti.

Secondo il ricorrente, l’acquisizione di detta relazione come atto irripetibile per irripetibilità sopravvenuta è in contrasto con la costruzione logica e normativa della irripetibilità ontologica dell’accertamento, e l’accertamento effettuato dal R.I.S. sul campione dell’imputato, ricavato in occasione del conflitto a fuoco del 2005, è stato un atto ripetibile, come riconosciuto anche da questa Corte con sentenza del 23 maggio 2007, che si è pronunciata sulla utilizzabilità dell’accertamento delegato al R.I.S., per i fatti del (OMISSIS), limitatamente alla fase delle indagini preliminari.

9.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione o erronea applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192 e 533 c.p.p., e manifesta illogicità della motivazione sul punto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sul rilievo che la valutazione della perizia disposta dal primo giudice e degli elementi di riscontro alla prova indiretta costituita dall’accertamento sul DNA è avvenuta violando le regole fissate dall’art. 192 c.p.p., tenuto conto delle limitazioni e manchevolezze dell’accertamento compiuto dal R.I.S, nel 1998 e della natura dell’indagine tecnica, condotta sul DNA, come mero elemento indiziario e non prova per la valenza statistica dell’accertamento, il cui risultato cognitivo può (e deve) essere messo in discussione e inserito in un più ampio quadro di supporto e di riscontro.
Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso sono infondati.

2. Quanto alle censure dirette contro la congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, deve rilevarsi che, nella verifica della valenza e consistenza dei rilievi critici mossi alla sentenza d’appello, tale decisione deve essere valutata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo un iter logico concordante e saldandosi in unico complessivo corpo argomentativo, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio (Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c, Musumeci e altri, Rv. 191229, e da ultimo Sez. 1, n. 17309 del 10/03/2008, dep. 24/4/2008, Calisti e altri, Rv. 240001).

La sentenza impugnata, all’esito di un’analisi completa degli elementi probatori e delle acquisizioni tecniche, ha proceduto a una valutazione organica delle risultanze processuali, ritenendone l’univoca e convergente valenza probatoria al fine dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato. Essa, come quella di primo grado, nel suo sviluppo decisionale, ha chiaramente argomentato i singoli momenti dell’articolato sviluppo delle indagini e dell’articolata formazione della prova, illustrando e coerentemente giustificando la logica correlazione dei dati acquisiti, e ha sviluppato, rispetto a quella di primo grado, le valutazioni critiche alla luce delle obiezioni e deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello, cui ha fornito esauriente risposta.

In questo contesto non possono, quindi, trovare, accoglimento le prospettazioni difensive volte a impegnare questa Corte in una diversa lettura degli elementi di conoscenza apportati ai Giudici di merito dall’acquisito materiale probatorio di natura tecnica, in una alternativa, e non esclusiva sua diversa analisi valutativa, estranea, per sua natura, al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità.

Le riserve espresse nei motivi sulla adeguatezza scientifica degli accertamenti svolti e le contestazioni delle modalità e metodologie seguite dal perito per l’interpretazione dei risultati e della lettura datane in sentenza sono prive dei riferimenti alle regole scientifiche che si assumono violate, si risolvono in richiami per stralci ad affermazioni del perito e tendono a proporne una diversa analisi, in contrasto con la necessaria autosufficienza del ricorso, con la necessaria valutazione degli elementi tecnici nel loro sviluppo argomentativo avendo riguardo all’articolata attività peritale svolta e integrata nel corso del giudizio, e con la preclusione, in questa sede, di un dissenso di merito a fronte di una motivazione delle sentenze di merito logicamente articolata e coerente nella condotta analisi dei dati anche tecnici e nel ragionamento probatorio.

3. Nè sono fondate le censure di contraddittorietà della motivazione, svolte con riferimento alle affermazioni contenute nella sentenza che, dopo aver condiviso la decisione del primo giudice in ordine alle valutazioni svolte in merito alla irripetibilità delle relazione R.I.S. del 1998, ha motivato nel senso della ripetibilità della stessa.

Questa Corte ha ripetutamente affermato (tra le tante, Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233708) che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione deve mirare a verificare che la motivazione – oltre ad essere effettiva e non meramente apparente, non manifestamente illogica, e non logicamente incompatibile con altri atti del processo – non sia internamente contraddittoria, ossia sia esente da – insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute.

La motivazione della sentenza, esaminata alla luce di tali principi, non manifesta le contraddizioni interne dedotte.

La Corte, come emerge dal testo del provvedimento impugnato, ha, infatti, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto condivisibile pienamente la decisione di primo grado, conforme anche alla sentenza di questa Corte (n. 37708 del 24/09/2008, Rv. 242094), con riguardo alla irripetibilità della relazione del R.I.S. di Parma del 14 luglio 1998, alla mancanza di qualità di indagato a quella data dell’imputato e alla mancata utilizzazione in questo processo dell’atto di comparazione disposto dal Pubblico Ministero di Pavia tra il DNA dell’imputato, ricavato dai campioni ematici provenienti dal prelievo effettuato a seguito del ferimento del 2005 e il profilo genetico del 1998. La Corte ha anche valutato, sotto ulteriore profilo giuridico, avuto riguardo alle deduzioni svolte con i motivi di appello, il fondamento della irripetibilità delle indagini sul DNA, eseguite nel 1998 sui reperti ematici, individuandola nella sopravvenuta perdita degli stessi, e ha ritenuto legittima l’acquisizione e l’utilizzazione degli esiti delle indagini sulla base del disposto dell’art. 512 c.p.p..

La coordinata valutazione condotta dalla sentenza impugnata e l’esplicitazione coerente dei passaggi logici sottraggono la sentenza alle mosse censure.

4. Sono prive di pregio le denunce di violazione di legge.

4.1. La prima censura attiene alla violazione dell’art. 360 c.p.p., commi 4 e 5, in conseguenza dell’espletamento dell’accertamento tecnico disposto dal Pubblico Ministero, mettendo a confronto gli esiti della perizia del R.I.S. del 1998 con il campione ematico dell’imputato, arrestato per altra rapina, e del principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza del 23 maggio 2007 (decidendo il ricorso per cassazione proposto da N. contro l’ordinanza del Tribunale della libertà del 30 gennaio 2007 di conferma dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere del 23 gennaio 2007), in merito alla inutilizzabilità nel dibattimento dell’accertamento svolto nonostante l’espressa preventiva richiesta della parte di incidente probatorio.

L’infondatezza della censura discende dal rilevo che l’accertamento tecnico, del quale è dedotta l’inutilizzabilità, non è stato utilizzato nè nel corso della istruttoria dibattimentale nè ai fini della decisione, per avere il Tribunale disposto una perizia, che ha proceduto alla comparazione utilizzando campioni ematici di diversa autonoma provenienza.

Nè ha carattere di specificità la deduzione del ricorrente che assume l’avvenuto utilizzo di parti della relazione R.I.S. nell’accertamento condotto dal perito, poichè l’inutilizzabilità dedotta consegue all’accertamento e non agli elementi e ai dati oggetto dell’accertamento, e quindi alla relazione R.I.S..

La deduzione che l’utilizzabilità degli elementi istruttori acquisiti dal consulente tecnico, nominato dal Pubblico Ministero, sia limitata alla risposta ai quesiti, in dipendenza della estensione analogica della previsione di cui all’art. 228 c.p.p., oltre ad essere generica, non è rispondente alla lettura della norma invocata che limita "ai fini dell’accertamento peritale" solo le notizie richieste "all’imputato, alla parte offesa o ad altre persone". 4.2. Destituita di fondamento è anche la dedotta violazione degli art. 359 bis c.p.p., e art. 224 bis c.p.p., prospettata sotto il profilo della intervenuta violazione dei diritti dell’imputato in dipendenza del prelievo di elementi biologici su effetti personali dello stesso, senza l’osservanza delle indicazioni e prerogative previste, e dell’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 359 bis c.p.p., introdotto con L. n. 85 del 2009, per il principio tempus regit actum.

Ha carattere assorbente il rilievo che la norma di cui all’art. 359 bis c.p.p. attiene al "prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi" e, nel suo stretto collegamento con la previsione dell’art. 224 bis c.p.p., ha un contenuto limitato al compimento degli atti idonei a incidere sulla libertà personale, indicati esemplificatamente nel detto ultimo articolo (prelievo di capelli, di peli o mucosa del cavo orale).

Il prelievo del materiale biologico sull’asciugamano non rientra, pertanto, nella invocata previsione normativa.

Deve al riguardo condividersi il rilievo formulato dalla impugnata sentenza per il quale il prelievo del campione biologico, contenuto nell’asciugamano, non costituisce accertamento tecnico ma semplice attività di raccolte di tracce biologiche. Questa Corte ha, infatti, affermato che la nozione di accertamento tecnico concerne non l’attività di raccolta o prelievo di dati pertinenti a reato, priva di alcun carattere di invasività, ma, soltanto, il loro studio e la loro valutazione critica (tra le altre, Sez. 4, n. 25918, del 12/02/2009, dep. 19/06/2009, Di Paola e altri, Rv. 244224; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, dep. 16/01/2008, Pannone, Rv, 239101, Sez. 2, n. 12929 del 13/03/2007, dep. 29/03/2007, Mannella, Rv. 236390), e con riferimento specifico al prelievo del DIMA dalla persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, si è evidenziato il carattere non invasivo o costrittivo e si è esclusa la necessità dell’osservanza delle garanzie difensive, limitata alle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico (tra le altre, Sez. 2, n. 12929 del 13/03/2007, dep. 29/03/2007, Ninnella, Rv. 236390).

4.3. Infondate sono le deduzioni del ricorrente in merito alla utilizzabilità dei dati riportati nella relazione del RIS di Parma del 1998.

Assume, al riguardo, rilievo centrale la considerazione che per i reperti originari oggetto delle indagini tecniche svolte nel 1998, e consistenti nelle tracce ematiche lasciate dal rapinatore ferito nel corso della sparatoria del 3 giugno 1998, è sopraggiunta la irripetibilità delle indagini sul DNA. Tale valutazione della sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’atto, in dipendenza della perdita dei reperti ematici originari è stata congruamente valutata in sede di merito, essendosi dato conto degli accertamenti condotti e del loro esito con riferimento a precise circostanze di fatto, e come tale non è sindacabile in questa sede. E’, infatti, principio costantemente affermato che la sopravvenuta impossibilità, per fatti o circostanze imprevedibili, della ripetizione di atti assunti dalla polizia giudiziaria, nel corso delle indagini preliminari, deve essere liberamente apprezzata dal giudice di merito, la cui valutazione, se adeguatamente e logicamente valutata, non è sindacabile in sede di legittimità. 842 del 08/11/2007, dep. 10/01/2008, Ubbidiente e altri, Rv. 238664).

4.4. Infondato è anche il motivo con il quale il ricorrente deduce la violazione delle regole logico-giuridiche che presiedono il ragionamento probatorio, sotto il profilo del valore assegnato all’elemento di prova derivante dalla perizia disposta in primo grado e della valutazione degli elementi di riscontro alla prova indiretta costituita dall’accertamento del DNA. Questa Corte ha già affermato il principio che l’indagine genetica sul DNA ha valore probatorio di penale responsabilità e non di mero elemento indiziario ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, fondandosi su ricorrenze statistiche così elevate da rendere infinitesimale la possibilità di un errore (Sez. 1. n. 48349, del 30/06/2004, dep. 15/12/2004 Rizzetto, Rv. 231182, da ultimo Sez. 2, n. 28692 del 09/07/2010, dep. 21/07/2010 Merkohasanaj, Rv. 248215).

Nel caso di specie, gli esiti delle indagini tecniche sulla compatibilità dei profili genetici sono stati di elevatissima significatività statistica, e ampiamente documentati, rappresentati e motivati anche alla luce degli accertamenti integrativi condotti, sono stati ritenuti condivisibili dai Giudici di merito, che hanno dato ampio conto delle svolte verifiche e degli espressi risultati, come indicato in fatto.

La valutazione delle indagini genetiche, unitamente alla significatività statistica dei dati, e al rifiuto ingiustificato dell’imputato a sottoporsi ai prelievi necessari per gli esami comparativi del DNA, utilizzato come elemento di prova integrativo, compendia l’analisi della valutazione della prova compiutamente svolta dal primo Giudice, non contestata con i motivi di appello, e oggetto di generica censura in questa sede sulla base del presupposto erroneo che l’indagine genetica, in quanto prova indiretta, richieda elementi di riscontro estrinseco.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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