Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-03-2011) 23-03-2011, n. 11700

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Campobasso, qualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ha affermato la responsabilità di G.B. per tale reato riducendo la pena inflittagli e confermando la condanna al risarcimento del danno alle persone offese, costituitesi parti civili.

2. L’originaria imputazione era di violenza privata perchè adottando una condotta violenta e frasi minacciose, collocava barrire quali vetrine, cartelloni pubblicitari, gazebo all’entrata del negozio "Costantino Sport" in modo da bloccarne l’accesso e da impedire ai gestori, C.A.M. e R.G.P., l’accesso al magazzino e l’uso della galleria condominiale.

3. Ricorre il G. il quale con un primo motivo deduce l’assenza dell’elemento oggettivo della minaccia, invece ritenuta sussistente con vizio di motivazione, travisamento del fatto e omessa valutazione di prova testimoniale.

Fermo che non vi fu alcuna condotta violenta, le frasi asseritamele profferite potevano rappresentare espressioni di recriminazione in ordine alla proprietà delle cose, specie in relazione al contesto nel quale vennero pronunziate. D’altronde le parole riportate in querela non erano state udite dai testimoni indifferenti e quelle "questo è niente per quello che vi succederà" non erano state percepite nemmeno dai testi dipendenti delle persone offese. Il rilievo era stato avanzato nei motivi d’appello, ma la sentenza impugnata nulla ha argomentato al riguardo.

4. Nè v’era stata violenza sulle cose in quanto mancava ogni danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione d’uso delle aree occupate, in quanto i cosiddetti ostacoli non avevano creato alcun serio impedimento come può rilevarsi dalle fotografie.

Tali ostacoli per di più erano stati posti in loco anche negli anni precedenti e riguardavano solo il periodo estivo negli orari di pranzo e di cena quando il negozio delle persone offese era in via di chiusura.

5. Non v’era una controversia in atto al riguardo della collocazione di tali ostacoli, mentre l’unica controversia riguardava solo lo sfratto delle persone offese dal locale, per il quale gli ostacoli di cui si parla non potevano essere ragionevolmente intesi come strumentali.

6. Del tutto trascurato è stato poi l’elemento soggettivo del reato, col quale contrasta il fatto che il comportamento dell’imputato di utilizzare gli spazi antistanti il negozio si ripeteva ormai da anni e non poteva certo dirsi determinato dalla controversia sullo sfratto. Molti testi avevano confermato che le modalità erano sempre le stesse sicchè è illogica la sentenza quando ipotizza un aggravamento dell’occupazione. In ogni modo tale circostanza doveva essere provata dall’accusa ed invece la sentenza ritiene che era onere del ricorrente provare l’identità della sua condotta nel tempo. E per di più al riguardo era stata svalutata la testimonianza di una dipendente dell’imputato senza alcuna dimostrazione della sua inattendibilità.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

Nessun vizio di motivazione è dato riscontrare nell’aver ritenuta minacciosa l’espressione "questo è niente per quello che vi succederà", dato che simile giudizio si è basato su massime di esperienza largamente condivise in ordine al turbamento psicologico che una simile frase può provocare.

La sentenza in esame, anche richiamandosi a quella di primo grado, fornisce logica spiegazione del perchè debbano considerarsi attendibili le persone offese sulla circostanza che tale espressione sia stata in realtà pronunziata e il ricorrente con le sue censure invita ad una terza lettura degli atti.

2. Corrisponde a violenza sulle cose ingombrare il fondo comune, in modo tale da renderlo praticamente inagibile agli usi precedenti.

Il numero degli ostacoli e il grado di ingombro è oggetto di valutazione di fatto non ripetibile in questa Sede.

3. Che la minaccia alle persone e la violenza sulle cose fossero strumentali ad accelerare lo sfratto delle persone offese è anch’esso risultato di un ragionevole giudizio di fatto, nel quale si è dato conto delle occupazioni del suolo operate nelle precedenti stagioni e dell’aggravamento in relazione a quella per cui è processo.

4. Ne risulta che le censure dedotte sono o non consentite o manifestamente infondate.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa dell’ammende di una somma che si stima equo liquidare in mille Euro.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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