Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 23-03-2011, n. 11540 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con sentenza del 02/02/2010, la Corte di Assise di Catania confermava la sentenza del 3/06/2008 con la quale la Corte di Assise di Siracusa aveva ritenuto L.R.C. responsabile – in concorso con altre persone in parte processate separatamente dell’omicidio premeditato, aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, di M.A., Mo.Cl., N.E., S.R. ed Ot.Sa. (c.d. strage di (OMISSIS)). Ad avviso della Corte territoriale, il contesto ed il movente della strage erano stati individuati, grazie alle dichiarazioni dei collaboranti, in dissidi nati all’interno della cosca dei Piscopo (condannati come mandanti in separato processo) e cioè fra costoro e il M.A..

Il primo a parlare di quello che sapeva della strage era stato, appena due giorni dopo, tale I. e le sue dichiarazioni avevano indirizzato le indagini nel corso delle quali assunsero un rilievo decisivo le dichiarazioni confessorie di P.G., P. A. (classe (OMISSIS) fratello di P.G.) e, soprattutto di A.D. che indicarono il L.R. come l’autista di una delle auto che era servita per la strage. In particolare, era emerso che la suddetta auto, una Lancia Thema rubata il (OMISSIS), era stata affidata, appunto al L.R. che, essendo meccanico ne doveva curare la messa a punto, circostanza questa che aveva trovato un riscontro nella perizia dattiloscopica a seguito della quale erano state rintracciate impronte papillari della mano del L.R. nel vano motore della suddetta auto.

La Corte, in sostanza, riteneva che la responsabilità del prevenuto andasse affermata sulla base delle dichiarazioni dell’ A. che erano, a loro volta, state riscontrate sia da quelle rese da P. G. che da P.A. sebbene costoro avessero reso dichiarazioni non del tutto attendibili e contraddittorie. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo dei propri difensori, ha proposto due separati ricorsi per cassazione (i cui motivi però, sono sovrapponibili essendo state sollevate le medesime censure) deducendo omessa motivazione sulle doglianze proposte con l’atto di appello e violazione dell’art. 192 c.p.p. per essersi la Corte territoriale discostata dai principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità in ordine alla valutazione delle chiamate di correo. Rileva, infatti, il ricorrente, che la Corte territoriale – rispetto alla Corte di primo grado – aveva valutato diversamente il materiale probatorio: infatti, mentre questa aveva assegnato a ciascuna dichiarazione resa dai collaboratori di giustizia lo stesso valore delle altre con una certa preminenza per quelle rese da P.G., al contrario, la Corte territoriale, aveva assegnato il ruolo di prova regina alle dichiarazioni di A., quella meramente indiziaria alle dichiarazioni di P.G. e quella di riscontro a quelle di P.A.. Ma, così motivando, la Corte aveva violato i canoni logici e delle regole di diritto enunciate dalla Corte di legittimità avendo declassato la fonte di maggior peso, a causa della ritenuta inattendibilità, a mero contorno delle "propalazioni, balbettanti e contraddittorie, di A.D.". Passando, poi, all’esame delle dichiarazioni accusatone, il ricorrente rileva che quelle rese da P.G. sono inattendibili sul piano intrinseco e prive di riscontro sul versante estrinseco, come implicitamente ritenuto dalla stessa Corte territoriale. rifatti, la pretesa riconducibilità della strage a seguito di un contrasto insorto con il M. per un’estorsione eseguita a danno di tale Ma. e a causa del pestaggio di m.e. e L.M.V. (zio di L.R.), sarebbe poco credibile perchè nè m. nè L.M. facevano parte del gruppo mafioso e collideva con quanto dichiarato da I.A. che aveva ricondotto l’origine dei contrasti ad una partita di eroina.

Sostiene, quindi, il ricorrente che sarebbe del tutto evidente che il preteso movente (ossia il risentimento del L.R. nei confronti del M. per il pestaggio che costui aveva ordinato nei confronti di suo zio L.M.) non sarebbe stato "sufficiente per spingere un soggetto compos sui a partecipare a un delitto quale quello in esame": sul punto la Corte non aveva dato alcuna risposta nonostante la circostanza fosse stata posta ben in rilievo.

Contraddittoria, poi, era stata la dichiarazione del P. nella parte in cui aveva affermato che aveva coinvolto il L.R. nella strage in quanto bravo pilota e persona fidata "salvo poi affermare che lo stesso sarebbe entrato nell’organizzazione dopo la strage".

Falsa doveva ritenersi anche l’affermazione secondo la quale le operazioni di controllo dell’auto rubata e che sarebbe dovuta servire per l’agguato, furono effettuate dal L.R. alla presenza di esso P. che aveva escluso che il ricorrente avesse aperto il cofano anteriore: affermazione questa smentita dal ritrovamento nel cofano motore di impronte riconducibili proprio al L.R.. Ed ancora, il ricorrente evidenzia il contrasto insanabile fra le dichiarazioni rese da I.A. ed il P. in ordine all’attività svolta da m.e.: il primo aveva sostenuto che costui aveva partecipato alla strage nel ruolo di autista del commando; il secondo, ne aveva escluso ogni coinvolgimento. Sul punto, la Corte, dopo avere risentito il P. che aveva insistito nella sua versione, aveva preferito glissare.

Anche in ordine al pedinamento di M. si registravano discrepanze. A. aveva affermato di avere sospeso il pedinamento su ordine di uno sconosciuto gelese con cui aveva parlato al telefono, all’insaputa di Av. dal quale aveva ricevuto l’incarico del pedinamento. P. aveva, invece, riferito che Av. era a conoscenza dell’ordine di sospensione del pedinamento e, successivamente, aveva sostenuto che il L.R., prima della strage, aveva compiuto con la macchina il percorso tra il bar Esso (dove avvenne la strage) e l’uscita da Vittoria: ma, tale ultimo particolare non poteva essere vero perchè nessuno sapeva dove avrebbe dovuto essere compiuto l’omicidio.

Il ricorrente, poi, evidenzia altre contraddizioni e contrasti fra le dichiarazioni rese dal P. e quelle dell’ A. in ordine al momento in cui venne deciso l’omicidio (pag. 19 – 20 ricorso), al momento in cui i killers scesero dall’auto e alla loro identificazione (pag. 21), alla dinamica dell’esecuzione (pag. 22).

Conclude, quindi, il ricorrente che, da una parte, la Corte territoriale aveva violato le regole di cui all’art. 192 c.p.p. e, dall’altra, non aveva risposto alle censure analitiche e dettagliate formulate dalla difesa. Quanto alle dichiarazioni rese da P. A. (fratello di P.G.), il ricorrente osserva che, nonostante la stessa Corte le avesse drasticamente ridimensionate, esse non avevano, comunque, alcuna attitudine a convalidare alcunchè come ritenuto nella sentenza impugnata.

Sostiene, infatti, il ricorrente che, nonostante numerose contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni rese dal P. A. (che non aveva partecipato alla strage essendosi occupato solo di reperire l’auto che sarebbe servita per l’agguato) e riconosciute dalla stessa Corte territoriale, tuttavia erano state utilizzate "per puntellare il narrato di A." senza però adempiere all’obbligo di motivazione rinforzato richiesto dalla giurisprudenza quando si utilizzano solo una parte delle dichiarazioni.

Quanto all’ A., il ricorrente sostiene che anche le dichiarazioni rese da costui, non avrebbero potuto essere considerate attendibili essendo inficiate da contraddizioni logiche, divergenze rispetto alle propalazioni fornite da altri collaboranti e collidenti con i dati di fatto acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

Innanzitutto, A., in un primo momento, aveva indicato il soggetto alla guida dell’auto da dove erano scesi i killers in tale O.C..

Successivamente, però, muta versione ed afferma che si trattava di L.R.C..

Ma, tale dichiarazione non poteva essere credibile perchè lo stesso A. aveva affermato che, subito dopo la strage aveva stretto amicizia e collaborazione proprio con il L.R., sicchè non risultava comprensibile la confusione e l’incertezza del collaboratore nell’indicare colui che era alla guida dell’auto.

L’ A. aveva affermato che il soggetto alla guida dell’auto era senza occhiali: ma ciò era errato perchè il L.R. era affetto da miopia di una certa importanza che rendeva impossibile la guida dell’auto senza occhiali, circostanza questa confermata dal P. G. che aveva dichiarato, appunto, che il L.R. indossava gli occhiali.

Le dichiarazioni rese dall’ A. in ordine al ruolo ed alla dinamica della sparatoria, collidevano con quelle rese dal P. (pag. 30 – 31 ricorso), sicchè "le due propalazioni, vere colonne della pronuncia di penale responsabilità a carico di L.R., si rivelano irrimediabilmente contraddittorie e dunque inadeguate a riscontrarsi vicendevolmente".

Infine, la versione dell’ A. non era compatibile con la ricostruzione della strage effettuata nella sentenza irrevocabile con la quale era stato chiarito che il m.e. era colui che aveva indicato le vittime ai killers, era stato individuato come il soggetto che guidava l’auto. Era chiaro, quindi, che "non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori".

Quanto, infine, all’esito della perizia dattiloscopica, il ricorrente osserva che non solo non era individualizzante ma non aveva fornito neppure un generico riscontro esterno alle chiamate di correo, atteso che il P.G. aveva dichiarato che il L.R. aveva aperto solo il cofano posteriore e non quello anteriore dove vennero rilevate le impronte. In secondo luogo, in nessun modo quelle impronte indicavano e, perciò, individualizzavano, il ruolo svolto dal L.R. nella strage,indicando, al più che il medesimo, di professione meccanico, aveva toccato, in circostanze che non era possibile precisare, il motore di quell’auto.
Motivi della decisione

p. 3. Come si è anticipato in parte narrativa, la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità del prevenuto sulla base delle dichiarazioni rese da A.D., dichiarazioni ritenute attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente nonchè riscontrate sia oggettivamente (impronte digitali rinvenute nel cofano dell’auto) sia dalle dichiarazioni rese da P.A. sia, ma solo a livello indiziario, da quelle rese da P.G.. La tesi difensiva, come si è visto, è tutta tesa a dimostrare l’assoluta inattendibilità di P.G., la contraddittorietà delle dichiarazioni rese da A., la mancanza del carattere individualizzante quanto alle impronte digitali. Questo essendo il thema decidendum, l’esame della vicenda per cui è processo non può che partire dall’analisi delle dichiarazioni rese da A.D. ossia valutare se la Corte abbia rispettato il tradizionale e consolidato principio di diritto secondo il quale "ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all’accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l’intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri come precisione, coerenza, costanza, spontaneità; infine deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. Questo esame deve essere compiuto seguendo l’indicato ordine logico perchè non si può procedere a una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sè, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa. In presenza di tutti i suddetti requisiti, la chiamata di correo ha valore di prova diretta contro l’accusato": ex plurimis Cass. 2350/2004 Rv. 230716. p. 3.1. Requisito della credibilità del dichiarante A.: la Corte territoriale non ha dubbi nel ritenerne l’attendibilità soggettiva, alla luce anche "della coerenza logica del narrato e assenza di vuoti di memoria, concordanza dei contenuti nel tempo" così come aveva già ritenuto la Corte di primo grado le cui argomentazioni venivano quindi condivise (pag. 22 sentenza impugnata). Sul punto si può aggiungere che, al di là del rinvio alla valutazione effettuata dalla Corte di primo grado, nella sentenza impugnata risulta evidente la credibilità che viene attribuita all’ A. essendo costui addentro alla cosca che faceva capo al P.G. (ossia colui che aveva interesse ad eliminare il M.), e nella quale, all’inizio, ricopriva il ruolo secondario di estorsore per poi, dopo la strage, divenirne il responsabile una volta arrestato Av.Gi. ossia colui che l’aveva introdotto nella cosca (cfr pag. 12 e 26 sentenza impugnata).

D’altra parte, sotto questo primo profilo, è significativo che la difesa non abbia ritenuto di spendere alcuna parola (come risulta dai ricorsi e come da atto la stessa Corte territoriale che ha parlato "di generiche critiche per così dire di stile"), profondendo, al contrario, tutti gli argomenti nel cercare di dimostrare l’inattendibilità estrinseca delle dichiarazioni rese. Si può, quindi, affermare che l’attendibilità soggettiva dell’ A. risulta essere stata affrontata e risolta positivamente dalla Corte territoriale, alla stregua dei consueti criteri indicati da questa Corte di legittimità. p. 3.2. Requisito dell’intrinseca consistenza delle dichiarazioni accusatorie: risulta dalla sentenza impugnata che l’ A. fu arrestato nel dicembre del 2002 ed iniziò a collaborare nell’aprile del 2003 rendendo le seguenti dichiarazioni (pag. 12/13):

– esso A. era stato introdotto nel giro delle estorsioni da tale Av.Gi. il quale, però, subito dopo, gli disse che erano insorte difficoltà con tali M., Tu. (D. M.) e tale G. ai quali, quindi bisognava dare una lezione (rectius: una bastonata). A tal fine l’ Av. gli ordinò di pedinare il M. ed il D.M. e di comunicare, il momento in cui si fossero trovati all’interno del bar Esso, ad un ignoto interlocutore del quale gli aveva fornito il solo numero di telefono;

– la mattina del 2 gennaio 1999, si sentì chiamare al telefono dall’ignoto interlocutore il quale lo sollecitava a riferire dove si trovasse il M. perchè loro erano pronti. Nel pomeriggio, mentre era intento nella sua attività di intercettazione dei movimenti del M., lo vide arrivare insieme a N. e Mo. nel bar dove si intrattennero. A quel punto giunse una seconda telefonata dall’ignoto interlocutore al quale comunicò che il M. si trovava nel bar Esso;

– avendo capito dalla risposta ("basta, stiamo venendo, se ne deve andare anche se è lui solo") quali erano le vere intenzioni del gruppo, egli fece appena a tempo ad uscire dal bar quando vide arrivare una Lancia Thema proveniente da (OMISSIS) con a bordo "tre persone, due sedute dietro ed il guidatore era C. il meccanico, cugino di tale O.S., e che lavorava in un’officina sulla stradale per S. insieme a tale C. G.";

– successivamente (dalla metà aprile a tutto luglio del 2003), dopo aver esaminato 103 foto di vari soggetti, indicò, "senza perplessità e dichiarando che non ne ricordava il cognome" C. il meccanico come il L.R., sostenendo che costui, che all’epoca della strage non conosceva, gli era divenuto familiare successivamente perchè frequentavano la stessa organizzazione e trafficavano in droga (cfr pag. 22 sentenza impugnata). p. 3.2.1. La difesa, incrociando le suddette dichiarazioni anche con quelle rese da P.G., ha rilevato le seguenti contraddizioni:

1. l’ A. non poteva essere credibile quando, nel 2003, e cioè dopo quattro anni dalla strage, aveva dichiarato di non conoscere il cognome di L.R. atteso che egli stesso aveva dichiarato che, dopo la strage aveva incominciato a frequentarlo essendo inserito nella stessa organizzazione;

2. l’ A. aveva affermato che il soggetto alla guida dell’auto era senza occhiali: ma ciò era errato perchè il L.R. era affetto da miopia di una certa importanza che rendeva impossibile la guida dell’auto senza occhiali, circostanza questa confermata dal P.G. che aveva dichiarato, appunto, che il L.R. indossava gli occhiali;

3. le dichiarazioni rese dall’ A., in ordine al ruolo ed alla dinamica della sparatoria, collidevano con quelle rese dal P. (pag. 30 – 31 ricorso), sicchè "le due propalazioni, vere colonne della pronuncia di penale responsabilità a carico di L.R., si rivelano irrimediabilmente contraddittorie e dunque inadeguate a riscontrarsi vicendevolmente";

4. infine, la versione dell’ A. non era compatibile con la ricostruzione della strage effettuata nella sentenza irrevocabile con la quale era stato chiarito che il m.e. era colui che aveva indicato le vittime ai killers, e come il soggetto che guidava l’auto. Era chiaro, quindi, che "non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori". p. 3.2.2. Si tratta, però, di critiche fuorvianti per le ragioni di seguito indicate. p. 3.2.2.1. Conoscenza del L.R. (censura sub 1): per comprendere la fallacia della censura, è necessario ripercorre, cronologicamente, le dichiarazioni rese dall’ A.. Costui, nell’aprile del 2003, nel descrivere il momento immediatamente antecedente alla strage, riferì che, mentre usciva dal bar, vide arrivare una Lancia Thema alla cui guida vi era C. il meccanico, cugino di tale O.. Nel corso delle ulteriori dichiarazioni (rese dall’aprile al luglio 2003), riferì: a) che all’epoca dei fatti non conosceva il L.R.; b) che lo aveva conosciuto successivamente quando aveva incominciato a frequentarlo facendo parte entrambi della cosca; c) quando aveva effettuato la ricognizione fotografica era convinto che il C. in questione si chiamasse O..

Ora, da queste dichiarazioni si può agevolmente dedurre che nessuna contraddizione è ravvisabile posto che: a) da subito l’ A. riferì che l’autista della Lancia Thema lui lo conosceva come C. il meccanico: e tali due elementi sono perfettamente aderenti al L.R. che si chiama, appunto, C. e di professione faceva il meccanico; b) l’obiezione della difesa sarebbe fondata se vi fosse la certezza che l’ A., frequentando il L. R. (nel periodo dopo la strage) era venuto a conoscenza del suo cognome. Invece, l’ A. ha sempre riferito che egli lo conosceva solo per nome ( C.) e mestiere (meccanico) credendolo, però, cugino di tale O.. La Corte, quindi, non è incorsa in alcuna illogicità nè lacuna (cfr pag. 22 sentenza) perchè non è illogico nè inusuale che i componenti di un clan (ed, in genere, di un gruppo di persone) si possano conoscere solo per nome, tanto più che, nella specie, l’ A. era convinto che il C. in questione si chiamasse O. (quindi era convinto di conoscerne anche il cognome). Il che spiega anche il fatto che, solo all’esito della individuazione fotografica, riconoscendo in una delle foto il C. di sua conoscenza, venne a sapere che il suddetto si chiamava, in realtà, L.R. e non O., chiarendo, così l’equivoco in cui era caduto lui e gli stessi inquirenti che, evidentemente fuorviati dalla falsa indicazione del cognome, non erano riusciti ad identificare l’autista della Lancia Thema. p. 3.2.2.2. Gli occhiali (censura sub 2): la difesa ritiene che vi sia una discrasia fra le dichiarazioni rese da P. (secondo il quale il L.R. indossava degli occhiali da vista) e quelle rese da A. (secondo il quale l’autista era senza occhiali). Si tratta di una pretesa contraddizione che non risulta dalla sentenza impugnata nella quale è scritto che l’ A. aveva riferito di aver visto alla guida dell’auto C. il meccanico (senza specificare se avesse o meno gli occhiali: pag. 13). Era stato il P.G. a riferire che il L.R. indossava "un cappellino e degli occhialini scuri" senza però precisare se erano da vista. In realtà, va poi osservato che la censura dedotta in questo grado di giudizio, non era stata neppure oggetto di alcuna specifica doglianza nei motivi di appello. Ciò spiega il motivo per cui la Corte territoriale non fa alcun cenno alla questione sollevata dalla difesa in questo grado di giudizio. Il che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), rende la censura, sul punto, inammissibile. p. 3.2.2.3. Ruolo e dinamica della sparatoria (motivo sub 3 censura):

si tratta della censura sviluppata dal ricorrente a pag. 30 del ricorso (sottoscritto da entrambi i difensori) con la quale viene evidenziato un preteso contrasto insanabile fra quanto dichiarato dall’ A. (il quale aveva riferito che il L.R., quando si frequentavano, gli aveva confidato di un progetto omicidiario ai danni di esso A. e che esso L.R. lo aveva risparmiato:

cfr pag. 17 sentenza) e quanto dichiarato dal P.G. (che non aveva mai riferito nulla in merito al suddetto progetto, avendo solo detto che durante la ruga aveva riferito al L.R. che, stava per sparare al "palo" ossia all’ A. non avendolo riconosciuto). Ora, a parte l’estrema genericità con la quale la pretesa contraddizione è stata dedotta (in pratica, nè la sentenza nè la stessa difesa, hanno approfondito il particolare del preteso mandato omicidiario), resta il fatto che non si ravvede alcuna contraddizione fra le due dichiarazioni per la semplice ragione che non può esservi contraddizione fra una dichiarazione che riferisce un determinato fatto (nella specie, il preteso progetto omicidiario) ed un’altra che nulla riferisce sul punto. In ogni caso, si tratta di un elemento del tutto irrilevante perchè è stato riferito dall’ A. non per scienza diretta ma in quanto confidatogli dal L.R., sicchè, sul punto, ogni riscontro (positivo o negativo che sia) è impossibile. p. 3.2.2.4. Il ruolo di m.e.: anche in tal caso si tratta di una doglianza infondata frutto di una fuorviante lettura della sentenza. La Corte territoriale, quanto al m.e., scrive che, con sentenza passata in giudicato, è stata accertato che costui (insieme ai fratelli ed al cugino P.) oltre che essere il mandante della strage e l’autista di una delle auto (pag. 21 sentenza) "prese parte all’esecuzione indicando agli uccisori le persone delle vittime" (pag. 12 sentenza). Sostiene il ricorrente che "la presenza del m. nel ruolo rivestito secondo la Corte di Assise di appello di Catania nel primo processo sulla strage, non collima con le versioni fornite da P.G. e A. D.: non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori. Anche su questo punto, o errano vistosamente i giudici catanesi del primo processo o non sono credibili – dal punto di vista prettamente logico – le propalazioni di A. e dei P.". Sennonchè, va replicato che nessuna contraddizione è ravvisabile laddove si tenga presente che l’ A. stava velocemente allontanandosi dal bar, sicchè fece appena in tempo a vedere il sopraggiungere della sola Lancia Thema, tant’è che non riferì di altre vetture (che, pacificamente, invece, erano più di una), sicchè si limitò a dichiarare quello che aveva visto e sentito, dalla sua limitata visuale, in quei concitati istanti. Non vi può essere, quindi, alcuna contraddizione fra la versione dei fatti dell’ A. e quella accertata nella sentenza passata in giudicato che si occupò degli altri soggetti coinvolti nella strage.

All’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dall’ A., si può, pertanto, concludere che le medesime, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non sono affatto contraddittorie. Di conseguenza, non si presta ad alcuna censura la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto le suddette dichiarazioni sono attendibili intrinsecamente per "la coerenza logica del narrato e assenza di vuoti di memoria, concordanza dei contenuti nel tempo" così come, d’altra parte, aveva già ritenuto la Corte di primo grado (pag. 22 sentenza impugnata). p. 3.3.1 riscontri esterni: la Corte territoriale, infine, a pag. 23 ss della sentenza, ha illustrato i riscontri esterni alla chiamata in reità effettuata dall’ A. nei confronti del L.R.. Ha osservato la Corte che, all’interno del cofano motore vennero rilevate tre frammenti di impronte papillari che la perizia dattiloscopica accertò essere riconducibili al L.R.. Sul punto, la Corte scrive: "(…) la valenza è indiscutibile per il fatto che qui viene in considerazione come riscontro oggettivo estrinseco, rispetto alla chiamata in reità di A., il quale nulla sapeva del come i killers erano venuti in possesso della macchina, nè quale fosse stato il rapporto fisico di L.R. col veicolo, se non quello di essersi posto alla guida dello stesso. Ed è per questo che la testimonianza di P.A. funziona da ulteriore riscontro, a completamento del quadro accusatorio, per l’autonomia che caratterizza la dichiarazione sul punto in cui spiega questa cosa, sin dal tempo del primo esame circa l’oggetto della collaborazione: dal momento in cui suo fratello G. si assunse il compito di organizzare l’uccisione di M., gli girò l’incarico di reperire una macchina veloce: il che egli fece per tramite del cognato R. che la fece rubare da due ragazzi di Vittoria e gliela consegnò, senza sapere alcunchè dell’uso che se ne sarebbe fatto; egli a sua volta, su indicazione del fratello, la consegnò a L.R. che è un suo cugino acquisito: si limitò a consegnargli la vettura senza dare alcuna spiegazione nè fare alcun commento, sapendo solo, in base quanto gli aveva detto il G., che egli ( L.R.) avrebbe saputo cosa fare".

Conclude la Corte rilevando che la testimonianza di P. G. era residuale e consisteva nel fatto che aveva fornito il movente della partecipazione dell’imputato alla strage: " L.R. C. non è persona estranea alla famiglia e anzi ha mantenuto rapporti personali con il dichiarante improntate al rispetto reciproco e M. gli diede pure motivi di rivalsa, per essersela presa con un suo zio per cause che il collaborante non approfondì; e tanta fu la stima che ne ebbe, che decise di farne il suo vice: A.D., dopo che l’eccidio fu consumato, doveva decidere da che parte stare; anzi non aveva scelta, perchè se non si fosse legato definitivamente alla cosca, sarebbe stato eliminato.

Ebbene, tanto L.R. che A. divennero nel giro di poco tempo, gli uomini di punta della "famiglia" e anzi il bracciante agricolo mafioso per caso (così A. presentò se stesso ai giudici) ne divenne "responsabile" quando fu arrestato Av.

G. e L.R.C. ne fu il braccio destro e destinato a sostituirlo in caso di arresto – siccome avvenne nel 2002; L.R. si occupò prevalentemente del traffico degli stupefacenti e fu depositario di armi del gruppo. In tal senso deposero i collaboranti Al.An. e Al.Gi., i quali dissero che avevano trafficato con A. e L.R., "rispettando le regole," e scelsero di poi, di collaborare tra la fine del 20040 l’inizio dell’anno successivo. Sulla scorta delle loro dichiarazioni e di quelle di A., oltre che sulla base di una imponente prova risultante le intercettazioni telefoniche che ebbero ad oggetto le estorsioni perpetrate in (OMISSIS), L. R. fu condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis e per un certo numero di estorsioni aggravate ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, dal GUP di Catania, con sentenza che è divenuta irrevocabile il 6.12.2008". Si tratta di considerazioni ineccepibili sul piano logico, tant’è che la stessa difesa nulla ha saputo replicare se non che il rilevamento delle impronte non avevano natura individualizzante ben potendo il ricorrente essere entrato in contatto con l’auto per ragioni professionali.

Al che si deve ribattere che si tratta di un’obiezione di poco momento in quanto si limita ad offrire una mera ricostruzione alternativa priva del minima riscontro fattuale. p. 3.4. In conclusione il ricorso va rigettato perchè la sentenza impugnata:

– ricostruisce il movente della strage (cfr pag. 11) e le ragioni per le quali il L.R. vi partecipò (sia per vendicare il pestaggio che il M. aveva ordinato ai danni dello zio – circostanza questa risultata vera: cfr pag. 16 – sia, soprattutto, perchè il L. R. ambiva ad entrare a far parte della famiglia mafiosa che faceva capo ai P. e quella era, quindi, la grande occasione, tant’è che subito dopo, divenne uno dei capi del clan);

– vi è la prova diretta a carico del ricorrente costituita dalla testimonianza dell’ A. che ha dichiarato di averlo visto e riconosciuto alla guida della Lancia Thema dalla quale scesero i killers: la suddetta testimonianza, si è rivelata, alla stregua dei criteri indicati da questa Corte di legittimità, attendibile soggettivamente, priva di contraddizioni e riscontrata oggettivamente;

– vi è l’ulteriore prova che al L.R., prima della strage, fu consegnata la Lancia Thema che era stata appositamente rubata per l’agguato, auto che il L.R., essendo meccanico, doveva controllare per renderla efficiente: e tale prova è stata desunta dal fatto che furono rinvenute le impronte papillari della mano del ricorrente.

Alla stregua del suddetto quadro probatorio, dal quale la Corte territoriale, con ragionamento logico, congruo ed adeguato, ha desunto la responsabilità penale dell’imputato, la difesa non ha evidenziato elementi di illogicità e/o carenza o altri vizi di legittimità. La pretesa contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal P.G., sono state tenute ben presenti dalla Corte territoriale la quale, non a caso, le ha relegate al semplice ruolo di mero indizio con valenza ai soli fini della ricostruzione del movente, movente, peraltro, che trova ulteriori riscontri in altre fonti.

Stessa cosa dicasi per le dichiarazioni rese da P.A., utilizzate solo marginalmente come riscontro ab estrinseco unitamente alle impronte digitali.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè a quelle sostenute dalle parti civili.
P.Q.M.

RIGETTA Il ricorso e CONDANNA Il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle seguenti parti civili:

1. N.G.; G.F.E., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore N.C.;

N.S.; N.F.; N.D.; M. R.; M.T.; M.G., liquidate in Euro 9.775,00 oltre Iva e Cpa;

2. N.M. – Ro.Ro. – Mo.Da. – Mo.

L. – Mo.Ga. – Mo.Do. – M.M. C., liquidate per tutti in complessivi Euro 8.800,00 oltre Iva e Cpa;

3. Provincia di Ragusa, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 oltre Iva e Cpa;

4. S.F. – S.G. – T.R.A. – Ot.Ga. – Ca.Ma. – Ot.Da. – Ot.

R., liquidate in complessivi Euro 5.705,00 oltre rimborso spese generale, Iva e Cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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