Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12641 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Curatore del Fallimento della Giesse S.r.l., dichiarata fallita in data 8 aprile 1983, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Fermo B.M., chiedendo di revocare l’atto in data 11 maggio 1982, con cui la Giesse S.r.l. aveva venduto al convenuto un appezzamento di terreno sito nel Comune di (OMISSIS); il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

La causa veniva istruita con produzione di documenti e l’assunzione di prove testimoniali.

Il Tribunale revocava l’atto di compravendita e condannava il convenuto a rifondere alla Curatela le spese di lite, ritenendo provata la scientia decoctionis da parte del convenuto, atteso che dalle deposizioni testimoniali era emerso che il B. aveva appreso già nell’anno 1980, in base ad una verifica puntuale e dettagliata elaborata da un tecnico di fiducia, che il passivo delle nove aziende che facevano capo all’amministratore unico S.G., compresa la Giesse S.r.l., ammontava alla somma rilevante di L. 2 miliardi e che il convenuto era intervenuto come fideiussore presso banche ed aveva pagato personalmente titoli cambiari di favore scontati e dallo stesso avallati, emessi dalla Giesse per proprie esigenze di liquidità, risultando tali circostanze anche confermate dalla documentazione prodotta.

Avverso detta sentenza proponevano appello T.M.C. e B.E.R., eredi di B.M.; il Fallimento si costituiva, contestando la fondatezza del gravame.

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 2 luglio 2005, ha respinto l’appello, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado al Fallimento.

La Corte del merito, premesso che la prova della conoscenza in capo al terzo dello stato di insolvenza dell’imprenditore poi dichiarato fallito può essere data anche attraverso presunzioni, che devono vertere sull’effettiva conoscenza non sulla mera conoscibilità, ha rilevato che tale prova risultava da una serie di elementi valorizzati dal primo giudice, e in particolare dalla testimonianza di P.A., il quale aveva precisato di avere iniziato a controllare, su incarico del B., le imprese facenti capo allo S., tra cui quella gestita dalla Giesse S.r.l., redigendo anche una relazione, che evidenziava un passivo di L. 2 miliardi, derivante in massima parte da titoli cambiari insoluti scontati presso banche, e che le società di capitali controllate dallo S. operavano al solo fine di creare liquidità attraverso lo sconto dei titoli, il cui netto ricavo veniva fatto rifluire nelle casse sociali della Giesse e di una società di fatto;

lo stesso testimone aveva riferito che il B. era solito provvedere a ritirare, pagando con denaro proprio, i titoli scontati e che, a partire dal secondo semestre del 1981, le banche avevano preteso la firma per avallo del B. dei titoli scontati, nonostante questi avesse prestato fideiussione con riguardo ai castelletti di sconto. Secondo la Corte territoriale, da detta testimonianza emergeva l’esistenza di un sicuro, anche se non chiarito nei particolari, interesse del B. alle vicende delle società facenti capo allo S., eppertanto la conoscenza della situazione patrimoniale delle dette società, ed in particolare, della situazione di insolvenza della Giesse. Il Giudice del merito ha ritenuto altresì rilevante la scrittura privata del 16/4/1982, di poco anteriore alla compravendita oggetto della revocatoria, sottoscritta dal B. e dalla S., in proprio e quale legale rappresentante della Giesse s.r.l. e di G.S. Linea Arredamenti s.r.l., in cui si dava atto che Giesse o S. avevano negoziato presso privati o Istituti di credito un portafoglio di favore che sarebbe rimasto insoluto, e, nell’ambito di un accordo transattivo, il B. si impegnava a pagare agli Istituti di credito l’importo complessivo di L. 1.470.000.000, per scoperti di conto corrente ed insoluti.

Nè infine gli elementi probatori valutati erano smentiti dai rilievi degli appellanti, atteso che la deposizione del P. faceva riferimento a tutte le società facenti capo allo S., e quindi anche alla Giesse, e la negoziazione dei titoli di favore senza reale rapporto di provvista, il cui netto ricavo affluiva nelle casse della società di fatto e della Giesse, evidenziava una situazione di dissesto manifestata dalla necessità di procurarsi liquidità attraverso operazioni fittizie, necessariamente conosciuta dal B., avendo questi provveduto ad effettuare i pagamenti per consentire il ritiro dei titoli negoziati; nè valeva in contrario l’assenza di protesti ed esecuzioni, trattandosi di sintomi tipici, ma non esclusivi dello stato di insolvenza.

Avverso detta sentenza propongono separati ricorsi B.E. R. e T.M.C., sulla base di un unico motivo.

Si difende il Fallimento con controricorso in ambedue i procedimenti.
Motivi della decisione

1.1.- I due ricorsi vanno riuniti.

1.2.- Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente B. denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la prova della scientia decoctionis, punto decisivo della controversia in relazione all’art. 67, comma 2, L. Fall..

Secondo il ricorrente, gli elementi presuntivi valutati sono sostanzialmente due, e cioè la relazione redatta nel 1980 dal tecnico di fiducia del B., che risale a tre anni prima della dichiarazione di fallimento, quindi ad un periodo non sospetto, peraltro confusa e riferentesi ad altre otto società; e la scrittura privata del 16/4/1982, in relazione alla quale la sentenza impugnata non spiega l’interesse che avrebbe avuto il B. a sottoscrivere la scrittura, conoscendo lo stato di insolvenza della Giesse s.r.l., e d’altronde, gli scoperti di conto corrente, gli insoluti o i titoli negoziati per lo sconto fanno parte del normale esercizio di impresa.

1.3.- Con l’unico motivo di ricorso, T.M.C. denuncia il vizio di motivazione sotto il solo profilo dell’insufficienza in relazione al punto decisivo della controversia, della prova della conoscenza dello stato di insolvenza, deducendo che la Corte territoriale ha desunto tale prova dall’indagine effettuata dal B. a mezzo del tecnico di fiducia e dalla scrittura del 1982; quanto al primo elemento, la presunzione dello stato di insolvenza riguarda solo l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, e quindi avrebbe dovuto essere provata, ed in ogni caso, indebitamento non equivale a stato di insolvenza, specie non conoscendosi nel caso nulla delle società, nè bilancio, nè fatturato, nè entrate, nè uscite, ed anche ad ammettere che il ricorso a titoli di favore per procurarsi liquidità possa di per sè essere considerato sintomo di insolvenza, non è emerso nulla di specifico rispetto alla Giesse; quanto al secondo elemento, la scrittura proverebbe invero il contrario, perchè secondo l’id quod plerumque accidit, chi contrae si accerta che la controparte sia solida e solvibile.

2.1.- I due motivi, in quanto sostanzialmente attinenti ad analoghe censure, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.

E’ opportuno premettere che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione si configura v. solo quando dal ragionamento del Giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, nè tali vizi consistono nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal Giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al primo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal Giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (così Cass. 18119/08, 23929/07, 15489/07, 16459/04, tra le tante).

Dal principio sopra esposto consegue che non è sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la ratio decidendi (così le pronunce 20911/05 e 10330/03).

Alla stregua di detti principi, vanno esaminate le censure dei ricorrenti.

Quanto al rilievo della anteriorità della relazione fatta eseguire dal B. e relativa alle nove società facenti capo allo S., tale per cui non poteva valere la presunzione di insolvenza, va rilevato che la Corte del merito ha fatto riferimento alla relazione del 1981 come illustrativa di un meccanismo di funzionamento delle società, che operavano al solo fine di procurarsi liquidità con sconto dei titoli, il cui netto ricavo andava ad affluire nelle casse della Giesse e della società di fatto, che non era mutato nel corso degli anni, nonchè del fatto che il B. era solito provvedere a ritirare i titoli scontati, pagando con denaro proprio, e che le banche avevano richiesto allo stesso, già costituitosi fideiussore con riguardo ai castelletti di sconto, la firma per avallo sui titoli: elementi tutti che riguardavano la Giesse e che, noti al B., erano palesemente indicativi dello stato di dissesto della società, che ricorreva ad operazioni fittizie per procurarsi liquidità.

Quanto alla scrittura del 1982, non v’è alcuna contraddittorietà o illogicità nelle valutazione omissione, avendo la Corte territoriale valutato la scrittura, che conteneva pattuizioni complesse e ritenute di valenza transattiva, per quanto interessava, ovvero al fine di ritenere la conoscenza dello stato di insolvenza della Giesse, nel resto essendo irrilevanti i più ampi rapporti tra le parti.

Infine, totalmente infondata è la denuncia della mancata valutazione da parte dei Giudici del merito dell’assenza di protesti ed esecuzioni a carico della Giesse, avendo la Corte anconetana esplicitamente e congruamente motivato a riguardo.

3.1.- I ricorsi vanno pertanto respinti.

Ciascuno dei ricorrenti va condannato a rifondere al Fallimento le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento a favore del Fallimento delle spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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