Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12637 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I sigg. F.F. e L.P., recedettero dalla Società Cooperativa Liguria Nuova a r.l., presso la quale avevano prenotato un alloggio, rinunziando a quanto già versato in conto capitale e in conto mutuo. Al loro posto subentrò la s.a.s. La Dorica di Cantimori Paolo e C..

Sopraggiunto il fallimento del F. e della L. quali soci della s.a.s. R. e V. di Lova Pierangela, la curatela fallimentare convenne in giudizio, nel marzo 1997, la cooperativa e la s.a.s. La Dorica per sentir dichiarare inefficaci, ai sensi dell’art. 2901 c.c., sia la rinunzia dei falliti alla prenotazione sia la cessione del credito di restituzione degli esborsi effettuati in favore della cooperativa per complessive L. 92.425.420.

Le convenute resistettero e nel giudizio intervenne la s.a.s. Dorica di Cantimori Paolo e C., la quale fece presente che l’operazione tra i falliti e la s.a.s. La Dorica era basata sull’impegno di quest’ultima di ripianare debiti liquidi ed esigibili della s.a.s. R. e V. nei confronti di essa interveniente.

Il Tribunale di Genova respinse quindi la domanda e la Corte d’appello respinse poi il gravame della curatela fallimentare, che peraltro aveva ridotto la domanda alla revoca della sola cessione del credito.

Ritenne, la Corte, che dalle affermazioni delle due s.a.s. e dalla testimonianza della teste M., dipendente della s.a.s. Dorica, emergeva che l’operazione compiuta dai falliti non era stata gratuita, perchè essi avevano ottenuto, a condizioni non svantaggiose, il ripianamento dei debiti scaduti della loro società nei confronti della s.a.s. Dorica, per oltre 200 milioni di lire, impiegando l’unico cespite di cui – come ammesso dalla stessa curatela – disponevano. Sicchè trovava piena applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è revocabile l’atto di disposizione diretto ad ottenere con il ricavato il ripiananamento di un debito, tanto più in mancanza di alternative a tale scelta, dato che la stessa curatela aveva confermato che quello di cui trattasi era l’unico bene di cui il F. e la L. potevano disporre.

Avverso la sentenza di appello il curatore fallimentare ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura. La cooperativa Liguria Nuova ha resistito con controricorso. Le s.a.s. La Dorica e Dorica hanno resistito con controricorso e con memoria.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia accertato la sostanziale onerosità dell’operazione elevando a dignità di prova mere affermazioni di parte (le s.a.s. Dorica e La Dorica) e una dichiarazione vaga e inlnfluente della teste M.. Quest’ultima, in realtà, nulla aveva detto circa l’impegno di ripianamento di debiti della società poi fallita, limitandosi ad affermare che "la pendenza fu definita in sede di bilancio attraverso le due ditte Dorica e La Dorica", e i giudici di appello non hanno considerato che: a) è senza rilievo la deposizione di un teste priva di alcun riscontro documentale, "in una materia in cui, quanto meno ai fini fiscali, il documento scritto è d’obbligo"; b) dell’impegno di estinzione del debito della s.a.s. R. e V., asseritamente assunto dalla s.a.s. La Dorica, non v’era traccia nella contabilità della società fallita, pur trattandosi di importo rilevante; c) nella comparsa di risposta la s.a.s. La Dorica non aveva fatto alcun cenno all’impegno asseritamente assunto; d) nell’atto di intervento la s.a.s. Dorica affermava che "una volta accolta la tesi attrice… verrebbe meno la causa giuridico-economica del fatto che dette fatture siano sino ad oggi rimaste prive di pagamento". 1.1. – Il motivo non può trovare accoglimento. Non sussiste la violazione di legge, perchè la Corte d’appello ha considerato come prova la testimonianza della sig.ra M., non le affermazioni delle due società parti in causa, affermazioni che quella testimonianza serviva appunto a confermare.

Nè sussiste il lamentato vizio di motivazione. Quanto al rilievo sub a), invero, può osservarsi come nulla imponga che le dichiarazioni testimoniali siano necessariamente fornite di riscontri documentali;

quanto ai restanti rilievi, può ricordarsi che, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (giurisp. costante: cfr., per tutte, Cass. 5748/1995).

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., si deduce che, secondo la giurisprudenza di legittimità, sono esenti da revocatoria le sole alienazioni di beni effettuate per soddisfare i creditori, poichè in tal caso la vendita si pone in rapporto di strumentalità necessaria con quella soddisfazione, che esclude il pregiudizio per i creditori richiesto per la revocabilità dell’atto. Perchè ricorra quel nesso di strumentalità occorre, però, che sussista la necessità di procedere all’alienazione, nel senso che questa sia l’unico mezzo con cui il debitore, privo di risorse, può procurarsi il danaro occorrente. Nella specie, invece, non vi era stata alcuna alienazione a fronte della quale i debitori avessero ricevuto una somma di denaro per pagare i propri creditori, che peraltro nemmeno risultavano essere stati soddisfatti; anzi, l’anormalità del mezzo satisfattivo, articolatosi mediante una serie di negozi collegati, era di per sè sufficiente ad imporre la revoca, come insegna la giurisprudenza in materia di revocabilità della datio in solutum e come affermato da Cass. 8188/1994 con riguardo al negozio complesso.

2.1. – Il motivo è infondato.

Secondo il primo orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente, non è assoggettabile ad azione revocatoria ordinaria l’alienazione di un bene immobile da parte del debitore qualora il relativo prezzo sia stato destinato, anche in parte, al pagamento di debiti scaduti del venditore-debitore, atteso che in tale ipotesi la vendita riveste carattere di strumentante necessaria nei riguardi del pagamento di debiti scaduti, che è sufficiente ad escludere la revocabilità dell’atto di disposizione, purchè sia accertata la sussistenza della necessità di procedere all’alienazione, quale unico mezzo per il debitore per procurarsi il danaro (Cass. 13435/2004, richiamata in ricorso, e successivamente Cass. 16756/2006, 11051/2009, 14557/2009).

Il ricorrente – si ribadisce – non mette in discussione tale principio; ritiene, però, che esso trovi applicazione solo in relazione a veri e propri atti di vendita, finalizzati all’acquisizione di danaro da destinare al pagamento, e allude, inoltre (sia pure vagamente), a quella giurisprudenza che ritiene assoggettabile a revocatoria ordinaria la datio in solutum (ma anche la stessa cessione di credito in funzione solutoria: cfr. Cass. 28981/2008, 2559/1981).

E’ agevole rispondere che, nella prospettiva di Cass. 13435/2004 e successive conformi, ciò che conta è il nesso di strumentante necessaria dell’operazione rispetto al pagamento, che vale ad escludere il presupposto del pregiudizio per i creditori quale che sia l’operazione in concreto posta in essere: dunque non soltanto una vendita per procurarsi il denaro necessario per pagare, ma anche, e a maggior ragione, la cessione di un bene o, come nel caso che ci occupa, di un credito, che quell’effetto solutorio producono anzi più direttamente e immediatamente. L’unica condizione – si ripete – è che l’operazione posta in essere costituisca il solo mezzo disponibile per soddisfare il debito scaduto, e tanto la Corte d’appello ha appunto accertato nella specie (come meglio si vedrà nell’esaminare il prossimo motivo di ricorso).

Nè tale conclusione contrasta con la giurisprudenza, cui il ricorrente ha alluso, che assoggetta a revocatoria ordinaria la cessione di credito solutoria, posto che il nesso di strumentante necessaria sopra illustrato (l’essere, cioè, l’atto l’unico mezzo in concreto disponibile per estinguere il debito scaduto del cedente) è elemento ulteriore della fattispecie qui considerata, non presente in quella giurisprudenza che considera la cessione in se stessa. E lo stesso vale quanto a Cass. 8188/1994 riguardante i negozi complessi o collegati.

3. – Con il terzo motivo, denunciando ancora violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c. e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello non abbia accertato se la s.a.s. R. e V., ancor prima dei suoi soci, non disponesse di altri mezzi per onorare il proprio debito estinto mediante l’operazione di cui si discute. Inoltre le ultime due fatture della s.a.s. Dorica in atti, datate 30 novembre e 3 dicembre 1993, erano successive all’operazione oggetto di revoca, risalente al 12 novembre dello stesso anno; onde era anzitutto da escludere che l’intero debito estinto fosse scaduto nel 1993, e comunque doveva ritenersi che la s.a.s. R. e V. godesse ancora di credito presso la fornitrice e, conseguentemente, escludersi che l’alienazione del cespite per cui è causa costituisse l’unico mezzo per estinguere il suo debito.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

I giudici, d’appello, allorchè affermano che "sono gli stessi fallimenti a confermarci che l’unico bene di cui il F. e la L. potevano in realtà sperare di disporre era proprio quello oggetto di cessione a La Dorica s.a.s.", prendono evidentemente in considerazione l’intero patrimonio dei due, comprensivo delle risorse di cui disponevano in quanto soci della R. e V. Il ricorrente, dunque, per censurare tale accertamento di fatto aveva l’onere anzitutto di indicare quali beni, invece, la società avrebbe potuto destinare all’estinzione del debito. Tale indicazione, invece, manca del tutto.

Nè giova al ricorrente sottolineare le circostanze richiamate nell’ultima parte del motivo.

Il riferimento alle fatture, infatti, è generico, non essendo indicato nemmeno l’importo delle stesse, e inoltre la contestazione dell’esigibilità di parte del credito estinto è nuova (come deve ritenersi in difetto non solo di menzione di essa nella sentenza impugnata, ma altresì della indicazione, da parte del ricorrente, di averla tempestivamente sollevata nel giudizio di appello) e dunque non dedudicibile per la prima volta nel giudizio di legittimità.

Il credito di cui avrebbe ancora goduto la R. e V. s.a.s. nei confronti della Dorica s.a.s., infine, è circostanza tutt’altro che decisiva, dato che qui non rileva l’accertamento dello stato d’insolvenza della debitrice, ma soltanto l’indisponibilità di altri mezzi per estinguere un debito scaduto, e il godimento di ulteriore credito, se può avere qualche rilievo nell’accertamento dell’insolvenza, certamente non è un mezzo di estinzione del debito.

4. – Con il quarto motivo, denunciando violazione dell’art. 2901 c.c. e art. 100 c.p.c., si censura la statuizione di difetto di legittimazione passiva della cooperativa.

4.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto riferito a statuizione non rientrante nella ratio della decisione impugnata, la quale in effetti statuisce "il rigetto dell’appello anche nei confronti della Società Cooperativa Nuova Liguria" (pag. 11, ultimo capoverso) e immediatamente aggiunge: "senza considerare che parti necessarie ex art. 2901 c.c., non possono essere che il creditore pregiudicato e le parti contraenti del negozio pregiudizievole da rendere inefficace".

L’affermazione aggiuntiva, dunque, è fatta solo ad abundantiam.

5. – Il ricorso va in conclusione respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la curatela ricorrente alle spese processuali liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, in favore delle s.a.s. La Dorica e Dorica in solido, e in Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, in favore della cooperativa Liguria Nuova, oltre spese generali ed accessori di legge.

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